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Scuola primaria: lingua inglese low cost?

Pubblicato il: 30/04/2009 15:22:46 -


Qual è lo stato di salute dell’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria? C'è una qualche incertezza nelle più recenti decisioni del Parlamento...
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Dopo l’emergenza matematica, un altro campanello d’allarme è risuonato per la scuola italiana. La conoscenza delle lingue straniere (comunitarie) sembra essere diventata la bestia nera dei nostri allievi: a metà anno scolastico le insufficienze in questo ambito disciplinare superavano ormai la quota del 60% degli studenti di scuola secondaria di I e II grado: una vera debacle… Servirebbe un piano straordinario per migliorare i livelli di apprendimento, per moltiplicare gli scambi tra studenti, per rinnovare le didattiche, per sviluppare le tecnologie e i laboratori. E, soprattutto, sarebbe urgente costruire un curricolo verticale coinvolgendo pienamente i primi gradini della scuola di base, infanzia ed elementare. In questa sede ci vorremmo occupare dello stato di salute dell’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria, che è oggetto di qualche incertezza in relazione alle più recenti decisioni del Parlamento (leggi 133 e 169 del 2008).

Una scuola bruneriana? È vero che da vent’anni nella scuola primaria italiana è previsto l’insegnamento di una lingua comunitaria, introdotto dai “mitici” programmi didattici del 1985. La proposta era coerente con l’impianto pedagogico di quegli anni, a forte matrice “bruneriana”, per cui l’incontro con i saperi, i linguaggi, i codici della cultura rappresentavano il punto di forza della nuova scuola elementare, all’insegna dell’alfabetizzazione culturale (cioè del valore formativo delle discipline). Da quel principio scaturiva anche un diverso modello organizzativo, ben rappresentato dal team docente che prendeva il posto dell’insegnante unico, con l’esigenza di una migliore conoscenze delle discipline non solo per gli allievi, ma soprattutto per i docenti. Anche in fatto di lingue straniere. L’incontro con una pluralità di lingue (non solo con l’inglese) avrebbe favorito una più ampia capacità di lettura della realtà, in una dimensione interculturale aperta all’incontro con nuovi mondi. Non era poco, in quella stagione, quando la parola “globalizzazione” non era ancora comparsa sui dizionari, l’Europa rimaneva ancora un’intuizione per nostalgici europeisti, la presenza di allievi non italofoni nelle nostre classi una rarità. Programmi ambiziosi, si è scritto, forse sovradimensionati rispetto alle possibilità della nostra scuola, interpretati poi in una ottica precocemente disciplinarista. Forse non siamo stati dei veri “bruneriani” ed anche il modulo (con il suo indotto di cattedre, materie, orari, quaderni ecc.) ha spesso imboccato la strada di una scuola secondaria in miniatura. L’idea originaria, invece, era quella di un sapere che si costruisce facendo esperienza, che si rappresenta con molti linguaggi e codici, che si pratica attraverso una didattica laboratoriale.

Inglese per tutti? Pensiamo a cosa è avvenuto per l’inglese. Di fatto, ha finito con il prevalere la spinta abilitativa ed utilitaristica dei genitori: “Se impara precocemente una lingua straniera ? meglio l’inglese ? partirà avvantaggiato”. Dall’idea di un “breve momento” dedicato giornalmente al contatto con le lingue straniere, quindi deciso e pensato dagli insegnanti (questa era l’intuizione dei programmi del 1985), si è passati alla definizione di un orario settimanale a scacchiera (tre ore), alla configurazione di una quasi-cattedra (il docente “specialista”), all’impiego di un notevole numero di insegnanti extra-organico che si affiancavano ai docenti del team (parliamo di almeno 12.000 docenti). È pur vero che questo sforzo ha consentito di diffondere erga omnes un insegnamento che sembrava destinato a poche nicchie sperimentali, ampliandolo fino alle prime due classi elementari (la previsione iniziale era per terza, quarta e quinta) e invogliando tanti insegnanti elementari a formarsi e specializzarsi nell’insegnamento della lingua inglese. I genitori si sono via via orientati verso questa scelta, con una dinamica poi sanzionata dalla riforma Moratti ed oggi rilanciata nei provvedimenti del Ministro Gelmini, con la formula dell’inglese “potenziato”. Nel frattempo, però, si è andata frammentando la presenza di insegnanti nelle nostre classi elementari (e questo è senza dubbio un fattore di indebolimento dell’idea di pluralità docente) e non si è mai realizzato un programma di rilevazione degli apprendimenti conseguiti dai nostri allievi, né possiamo esprimerci sulla qualità dell’insegnamento realizzato dai docenti specialisti (nei laboratori) o specializzati (in classe). Anzi, il fabbisogno crescente di maestri elementari in grado di insegnare la lingua straniera ha spesso portato a corsi di formazione intensivi ed emergenziali, con il tentativo di coinvolgere fasce crescenti di insegnanti di ruolo, spesso ad uno stadio troppo avanzato della loro carriera.

Oggi, quindi, è tempo di ripensamenti.

Giancarlo Cerini

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