Professione docente: valutazione e sviluppo professionale
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In Italia la strada per definire, all’interno di un sistema di valutazione del “pianeta scuola”, un qualsiasi meccanismo pianificato e trasparente di “lettura” del lavoro svolto dai docenti è tortuosa e ardua. Fermo restando il quadro orario “fronte classe”, la quota d’impegno per tutte le funzioni “connesse all’attività d’insegnamento” risulta ai più nebulosa, mentre ai diretti interessati si presenta ancora nella forma di “lavoro sommerso”.
Oggi, per “stare in classe” non bastano la formazione universitaria, la conoscenza disciplinare, né la presunta “vocazione”. Il docente si deve confrontare con il rapido mutamento dell’economia, la stratificazione e la parcellizzazione della realtà sociale, con la fine delle aggregazioni politico-ideologiche “tradizionali” e con i flussi migratori, con la logica dei nuovi media e il loro modo “invasivo” di produrre linguaggi e “abitudini culturali”, con la crisi della famiglia.
Occorre, inoltre, conoscere e districarsi nella “normativa” mai diminuita anche a dispetto dell’Autonomia scolastica. Si tratta, poi, di gestire il rapporto con gli enti locali, per cercare di “rimpolpare” le magre risorse e la strumentazione rapidamente obsoleta, di attivare la partecipazione agli organi collegiali, di prevedere la frequentazione di soggetti diversi (assistenza sociale, cooperazione e terzo settore) per l’intervento sulle tante forme di disagio. Non si può, d’altra parte, ignorare la necessità di impadronirsi delle TIC e dei codici introdotti dall’informatica; infine ci si misura, nel quotidiano, con l’impegno a offrire una “relazione positiva, da adulti, fatta d’ascolto ed attenzione”, che, spesso, costituisce il vero baricentro delle richieste del singolo studente specie in età adolescenziale.
Come sia possibile “navigare” in una così articolata dinamica, senza veri “rinforzi”, in termini salariali e di riconoscimento sociale e, parallelamente, accettare percorsi di verifica delle proprie azioni è una questione centrale, che nessuna politica scolastica può ignorare.
Parlare ai docenti di “valutare” la propria azione didattica, l’insegnamento è una delle iniziative più difficili e rischiose, ma impellenti. L’opinione pubblica, sotto l’influenza di stampa e TV, che a volte conducono inchieste e servizi semplificatori e di dubbia serietà, s’è da tempo avvezza a considerare la scuola come uno dei luoghi tipici dello “spreco” della spesa pubblica: troppi docenti, troppe vacanze, poche ore di lavoro.
In diverse realtà la “somministrazione” dei test da parte dell’INVALSI e le iniziative OCSE hanno promosso un’intelligente azione di confronto e un’ampia discussione sui processi in atto. Molti docenti hanno ormai accettato l’idea di standard nazionali, di test comuni, di definizione degli obiettivi e del monitoraggio conseguente a livello d’istituto e territoriale; un certo lessico è entrato nel senso comune e non poche scuole, nei loro POF, inseriscono e comunicano correttamente i criteri e i parametri della valutazione sui risultati degli apprendimenti. Tuttavia, altrove, si propone una versione rinnovata, magari rivista alla luce di ideologie “egualitarie”, della libertà d’insegnamento anche a fronte di esiti del tutto contraddittori, nello stesso ordine di scuole, se non addirittura nello stesso istituto, cioè il massimo dell’ineguaglianza; altri docenti rivendicano semplicemente uno status di “non misurabilità” della propria azione didattica.
Permangono, certo, i legittimi dubbi se attraverso i soli risultati degli apprendimenti si possa valutare pregi e difetti dell’insegnante e chi ne sarebbe responsabile (il dirigente scolastico, l’utenza, una struttura esterna) e ancor più si complica il quadro se si pensa di legare alla valutazione dei “risultati” una non ben definita “reputazione”.
La situazione va sbrogliata, facendo chiarezza almeno su alcuni punti.
1. La valutazione degli studenti è sempre il tratto conclusivo di una didattica; la riflessione rimette al centro la coerenza e il legame di “reciprocità” tra azioni del docente e conoscenze/competenze patrimonio “finale” dello studente, ma assume un valore di estrema utilità se concepiti come “validazione” e “rettifica” del proprio intervento.
2. La valutazione “fronte docenti” non esclude la misurazione delle competenze acquisite dalla classe, ma appare logico pensare che si tratti spesso di esiti “di lunga durata”: sovente toccherà ad altri la verifica del processo stesso (il ciclo successivo, il mondo del lavoro, le facoltà universitarie, la vita sociale). Occorrerebbe il massimo d’integrazione territoriale e col mondo delle professioni per avere alcune indicazioni fruttuose sui cosiddetti “esiti”.
3. Il processo didattico non è (più) questione individuale; la responsabilità deve interpellare tutto il consiglio di classe/collegio e la logica della condivisione di successi/insuccessi deve prevalere sulle performances individuali del docente. Di qui il riconoscimento salariale specifico dei momenti di programmazione condivisa, che vanno potenziati e resi trasparenti in termini di carico orario.
4. Le capacità/competenze non acquisite in un’area possono essere attivate in un’altra, come tali vanno verificate sempre in un’ottica di sistema, anche “fuori dalla scuola” senza sentirsi sminuiti, ma cogliendo le possibilità che si aprono per il successo ottenuto in altre occasioni formative presenti nel territorio, con le quali è necessario dialogare e definire strategie di attenzione dai più piccoli agli adolescenti.
5. L’azione didattica deve evitare la strettoia tra irrilevanza e una pretesa di onnipotenza: da una parte studenti e studentesse comunque “passano” a scuola un terzo della loro giornata; con loro qualcosa è possibile, dall’altra una quota d’insuccesso è, per certi aspetti, probabilmente inevitabile. Il grado di soddisfazione dell’utenza non è, in una visione sistemica, una minaccia alla libertà d’insegnamento, ma il possibile rinforzo alle scelte e un’occasione di rettifica, se necessario: lo stare intorno a un tavolo, a misurare risultati positivi oppure a gestire gli errori non è una strada da liquidare in fretta.
Occorre migliorare la percezione “pubblica” del ruolo dei docenti, come specifici “nuovi professionisti ”, anche con una forte rivalutazione dell’autostima e a un giusto riconoscimento salariale per chi accetta questa nuova forma di professionalità, l’aggiornamento periodico e obbligatorio, contratti di stabilità in sede almeno triennali o quinquennali. Una parte della categoria potrebbe non accettare questa “ricollocazione” e quindi scegliere altre collocazioni nel sistema o in altri settori dei servizi.
Se poi si volesse davvero graduare la carriera si potrebbe discutere su parametri distinti per:
• l’anzianità, intesa come valore aggiunto, se e in quanto accompagnata da pratiche didattiche “virtuose” (progetti e realizzazioni, materiale didattico, unità di lavoro, esercizi) testimoniabili e spendibili per la loro “riproducibilità”, anche in funzione di “tutoraggio” dei docenti in formazione;
• i crediti formativi (aggiornamento, titoli, studi e ricerche) a patto che, oltre a una rigorosa certificazione, siano comunque “resi” nel luogo concreto della propria attività;
• le funzioni assunte nella scuola, di volta in volta (ex obiettivo, strumentali, nucleo di valutazione, orientamento, raccordo col territorio), in quanto legate all’articolazione di processi collegiali, con un quadro orario e d’impegni reso pubblico e certificato;
• la pratica d’iniziative di coinvolgimento dei colleghi e dell’utenza, tali che rendano visibile il miglioramento del “clima generale”;
• il legame tra pratiche d’insegnamento e la ricchezza dei percorsi intrapresi per la verifica dell’apprendimento: la scelta di una didattica collaborativa; l’adozione di pratiche di covalutazione, la disponibilità a offrire percorsi individualizzati, sia di “sportello” che di “potenziamento”; l’utilizzo di tecnologie on-line, per diffondere l’atteggiamento cooperativo; il confronto, nello “specifico disciplinare”, con tutte le iniziative regionali, nazionali, a proposito delle competenze richieste ai giovani, nell’Europa del XXI secolo.
In conclusione, la valutazione della professionalità del docente risulterebbe parte “costitutiva” della cosiddetta “valutazione di sistema”: sarebbe vano illudersi di trovare scorciatoie o suggestioni mediatiche come mi pare prevalgano anche nelle recenti iniziative ministeriali. Quand’anche si scoprissero un centinaio di docenti “super” nelle nostre classi che cosa resterebbe alla categoria per migliorare?
Emilio Molinari