Gli insegnanti, la Costituzione, i valori
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Una ricerca realizzata dal Cidi nell’ambito delle iniziative patrocinate da Italia 150 ha indagato sulle motivazioni e le disillusioni, le idee e i comportamenti, i valori e le prospettive dei docenti italiani in un momento non certo facile.
La ricerca restituisce l’immagine di insegnanti ancora capaci di credere nel mandato costituzionale (che ritengono solo in parte realizzato), convinti di svolgere un ruolo importante per il Paese, ma consapevoli dell’efficacia solo parziale dei propri sforzi e attraversati da qualche consistente elemento di disagio; nel complesso gratificati dal rapporto con i giovani, anche al di là delle cause di frustrazione, dello scarso riconoscimento sociale e delle condizioni di lavoro sempre più difficili.
UNA RICERCA
Le sempre più vivaci occasioni di confronto e discussione sulla professionalità degli insegnanti rivelano quanto sentito e attuale sia oggi questo tema. Il dibattito ruota attorno a questioni nodali, ancorché aperte, che vanno ben oltre gli aspetti didattico-disciplinari: dalle competenze alla formazione, passando per la valutazione e la carriera. Questioni che si intrecciano con considerazioni più generali sul ruolo sociale e istituzionale dell’insegnante, in un momento storico particolarmente delicato per la scuola pubblica, e non soltanto sul fronte dei tagli al personale. C’è n’è davvero per tutti i gusti: gli attacchi dai media, la messa in discussione della funzione di promozione sociale, le critiche per i bassi livelli di apprendimento misurati dalle indagini internazionali, le accuse di non voler mettere in discussione la propria autoreferenzialità di ceto certamente malpagato e spesso vilipeso. Sia che si ragioni sull’opportunità di politiche più incisive in merito al reclutamento, piuttosto che sulla valorizzazione della carriera docente o, ancora, sulla necessità di incentivare e rendere obbligatoria la formazione in servizio, e meccanismi in grado di legare il trattamento retributivo (accessorio) ai processi di innovazione e al miglioramento delle pratiche didattiche, un punto però appare chiaro: il dibattito sulla scuola è, nella sostanza, il dibattito sugli insegnanti. Non sfugge che il corpo docente vive oggi una forte crisi, che è di identità, di visibilità e di autorevolezza. Numerosi studi, da circa un ventennio a questa parte, registrano un diffuso disagio e una crescente demotivazione tra gli insegnanti.
Disaffezione, stress, percezione della perdita del proprio prestigio sociale, disorientamento, sono i sintomi più frequenti di un malessere che solo superficialmente può essere interpretato come insoddisfazione verso una retribuzione ritenuta poco gratificante. Il tema della condizione professionale del corpo docente fa da sfondo anche all’indagine “Gli insegnanti e la scuola della Costituzione. Valori e comportamenti”, realizzata dal Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, con il sostegno del Comitato Italia 150, e affidata a un gruppo di ricerca del Cidi Torino composto da Caterina Amadio, Mario Ambel, Anna Baglione, Marina D’Agati, Carlo Palumbo e Luigi Tremoloso. Lo studio, che ha coinvolto tra il mese di febbraio e settembre 2010 53 istituti scolastici di tutta Italia e circa 2400 docenti, propone una riflessione critica sul ruolo sociale e “costituzionale” dell’insegnante in rapporto alla scuola della Repubblica. Nella cornice dei 150 anni dell’Unità nazionale, l’obiettivo centrale della ricerca era esplorare come chi quotidianamente fa scuola vive la propria professione, ne percepisce il proprio ruolo e mandato, riflette sulle criticità del sistema scolastico: dunque motivazioni, comportamenti, valori, disillusioni, prospettive, ma anche le rappresentazioni della scuola e dell’insegnamento. Il report integrale è pubblicato dalla rivista “dossier insegnare” con il titolo “Un’indagine sugli insegnanti italiani” (www.insegnareonline.it ).
IL RAPPORTO CON LA COSTITUZIONE
Come si lega tutto ciò con la Carta costituzionale, il cui riferimento appare nel titolo della ricerca? La scuola è l’istituzione attraverso la quale l’individuo costruisce il primo patto di cittadinanza con la Repubblica. È un’istituzione insostituibile, che va curata e valorizzata, posta in grado di assumersi la responsabilità che le compete, perché è la stessa Costituzione che le assegna un ruolo centrale nell’educazione alla cittadinanza: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, così come sancito dall’articolo 3. L’impianto della ricerca si è articolato attorno ad un interrogativo che rimanda a un elemento ritenuto cruciale dell’identità dell’insegnante oggi: quanto, a fronte di un contesto a tratti confuso e contraddittorio, la consapevolezza dell’indirizzo tracciato dalla Costituzione sia stata determinante nel definire i comportamenti e la coscienza di sé delle ultime generazioni di insegnanti. In questo scenario, si è avanzata l’ipotesi che gli insegnanti hanno perso le vecchie caratteristiche professionali, quelle di tipo prevalentemente trasmissivo, senza tuttavia avere radicato un nuovo status identitario riconosciuto dalla stessa categoria di lavoratori e dalla società. I risultati dell’indagine ci restituiscono questa “criticità”, se così la si può definire, soprattutto in forma di contraddizioni e ambiiguità che confermano la presenza di quel malessere di fondo già descritto in numerose ricerche condotte a livello nazionale.
Ciò emerge in particolare quando si prendono in considerazione le motivazioni all’insegnamento, declinato in varie forme: perché si è scelto di insegnare; se oggi si farebbe altrettanto; come è valutata oggi la professione. Se, da un lato, i dati mostrano un corpo docente tutto sommato consapevole, che crede nella propria professione intesa in senso “vocazionale” (il 53,1% dichiara di insegnare “per realizzare una mia aspirazione personale” e il 41,1% “per contribuire alla formazione dei giovani”) dall’altro più di un terzo del campione esprime incertezza nel confermare oggi la scelta di insegnare. I dubbi aumentano soprattutto con l’ordine di istruzione: nella secondaria di II grado solo un insegnante su due dichiara fermamente che rifarebbe la stessa scelta. È probabile che dietro tale indecisione si nascondano i sintomi di una profonda insoddisfazione per una professione che ha “scarso riconoscimento sociale” (per il 69,4% del campione) e che è caratterizzata dalla “mancanza di una progressione economica” (per il 52,7%). Gli insegnanti puntano il dito anche su alcune trasformazioni della scuola: ben il 34% del campione esprime per esempio un giudizio negativo sull’autonomia scolastica, ritenuta colpevole di aver “trasformato la scuola in un’azienda”, ma anche considerandola “un’occasione perduta perché applicata male e senza risorse” (per il 35,5%).
GIOVANI E VALORI DI CITTADINANZA
Dalla ricerca emergono non pochi aspetti positivi, che rendono lo scenario ancora più articolato e interessante. Tra le ragioni che fanno apprezzare il lavoro di insegnante spiccano su tutte “mi mette a contatto con i giovani” (55,7%), “so che il mio lavoro è molto importante per la società” (per il 48,5%) ed “è un lavoro creativo” (48,2%). Confronto con le nuove leve, rilevanza sociale della propria professione, libertà e autonomia didattica: se attorno a questi elementi si gioca un fetta importante dell’identità degli insegnanti, il discorso sulla professionalità docente non può fare prescindere da un tassello altrettanto importante, rappresentato dalle finalità dell’istruzione. Qui è la funzione socializzante in senso stretto, quella che riguarda cioè la trasmissione di principi morali e norme generali di comportamento, a prevalere: per oltre l’80% tra le mura scolastiche si “educa ai valori e alle regole della convivenza civile”. Seguono, seppur con un forte distacco, le finalità tradizionali della scuola, tra le quali emergono “acquisire un metodo di apprendimento” (54,1%) e “acquisire conoscenze e competenze disciplinari” (51%) mentre scarso rilievo assumono “preparare e orientare a una professione” (17,7%) e “fornire un’occasione di conoscere cose nuove” (17%). Ma che valori hanno in mente gli insegnanti quando affermano che la scuola dovrebbe educare ai valori e alle regole della convivenza civile? Il “rispetto delle norme, l’importanza della cultura, la libertà di pensiero e di espressione, il rispetto degli altri e la loro integrazione”: per oltre il 98% del campione la scuola dovrebbe insegnarli “molto o abbastanza”. Tra le mura scolastiche non si dovrebbero, invece, insegnare il “successo economico” (per quasi due terzi degli intervistati) e il “rispetto e la difesa del nostro paese” (la scuola dovrebbe trasmetterlo “poco o per nulla” per circa il 12%).
Che succede quanto dal dover essere ci si sposta nella sfera dell’essere, ovvero a ciò che effettivamente è realizzato nella quotidianità della vita di classe? I dati rivelano tutto sommato una congruenza, anche se con percentuali che denotano forse un’efficacia inferiore rispetto alle attese: restano ai primi posti “la libertà di pensiero e di espressione” (per il 77,7% degli insegnanti intervistati la scuola la insegna “molto o abbastanza”), “l’uguaglianza delle persone” (76,4%), “il rispetto degli altri e la loro integrazione” (per il 73,5%). Secondo le percezioni degli intervistati, la scuola ha successo nel trasmettere soprattutto questi valori (e, dunque, il gap tra “dover essere” ed “essere” è minimo). Per contro, gli insegnanti sembrano avvertire qualche difficoltà (qui, al contrario, gli scarti tra “dover essere” ed “essere” sono elevati, con punte del 40%) nel trasmettere “l’etica del lavoro” (52,4%), “la disciplina” (58,6%), “la difesa dell’ambiente” (57,3%), “la realizzazione personale” (56,9%).
VALUTAZIONE E SVILUPPO PROFESSIONALE Come si è detto, un nodo cruciale del dibattito sulla condizione degli insegnanti riguarda lo sviluppo della professionalità docente e l’annosa questione della valutazione. Partendo proprio da quest’ultima, è interessante osservare che gli intervistati la ritengono poco utile “a premiare chi studia e a punire chi non lo fa” (appena per il 5,8% del campione); ritengono, invece, che la funzione della valutazione sia soprattutto quella di “verificare quali contenuti e quali competenze non sono adeguati e vanno ripresi nella lezione” (lo ritiene poco più del 60% degli intervistati), ma anche “far comprendere agli allievi e alle famiglie quali sono i miglioramenti e quali le carenze nello studio” (60,9%) e “individuare gli allievi più deboli sui quali intervenire con azioni di recupero oppure quelli più meritevoli di approfondimento” (58,5%).
Spostandoci nell’ambito dello sviluppo della professionalità docente, quali possono essere, invece, le strategie per valorizzare al meglio la dimensione “professionale” dell’insegnante? Secondo la maggioranza del campione la professionalità docente può essere arricchita “partecipando ad esperienze di riflessione e progettazione didattica con i colleghi” (65,9%) e, seppure in misura minore, “partecipando alla formazione e all’aggiornamento organizzati dalle scuole e dal Ministero” (36,2%). Ritengono meno utile, al contrario, “fare il formatore degli insegnanti” (per il 3,9%) e “insegnare in scuole di livello più alto tipo Liceo” (3,3%). L’attività di formazione rivolta ad altri colleghi ritorna ancora, con riferimento al tema delle incentivazioni economiche. Queste ultime non dovrebbero essere assegnate a seguito di “attività di formazione rivolta ad altri docenti” (5,3%) o della “pubblicazione di studi e attività di ricerca” (7,3%) bensì, per la maggior parte degli insegnanti che hanno compilato il questionario, sulla base di “assunzione di responsabilità aggiuntive all’interno della scuola” (45,2%), di “anzianità ed esperienza” (38,7%) e della “qualità del lavoro certificabile” (38%).
IL “MODELLO” VOCAZIONALE Dopo questa carrellata di rappresentazioni della scuola e dell’insegnamento, viene da chiedersi chi sia oggi l’insegnante. In altri termini esiste, perlomeno nell’immaginario degli intervistati, un modello da seguire e a cui attenersi? E che cosa gli insegnanti del campione privilegiano nel loro lavoro quotidiano e cosa, per contro, riescono concretamente a fare con i propri allievi? Ritorna qui, ancora una volta, l’aspetto vocazionale: quasi un terzo del campione dichiara di sentirsi in sintonia con un modello di insegnante che “svolge un’attività lavorativa che si sceglie per vocazione”. Questa visione dell’insegnamento è attenuata, però, da quanti (circa il 27,4% del campione) affermano che per loro fare l’insegnante significa soprattutto esercitare “una professione che basa la sua attività sulle competenze culturali e specialistiche” o, ancora, da coloro che intendono la propria professione né più né meno che “una funzione pubblica dotata di specifiche competenze culturali e specialistiche” (circa il 21,2% del campione).
Nel proprio lavoro quotidiano di insegnanti, il campione afferma di privilegiare soprattutto un mix di aspetti che comprendono “potenziare le capacità individuali” (58,8%), “realizzare l’integrazione di tutti gli alunni della classe” (57,7%), “trasmettere conoscenze e competenze” (56,2%). La maggioranza degli intervistati afferma di riuscire soprattutto a “trasmettere conoscenze e competenze” (64,6%); “fornire una formazione culturale alta” raccoglie, al contrario, pochi consensi sia come aspetto da privilegiare (12%) sia come ciò che si riesce effettivamente a realizzare in classe (4,5%). IN CONCLUSIONE È una questione complessa quella degli insegnanti. E certamente una ricerca che li riguarda non risolve problemi che hanno radici profonde. Crediamo ciononostante che il punto di vista di coloro che quotidianamente fanno scuola debba orientare, più di quanto in realtà avvenga oggi, il discorso pubblico sulla scuola e le politiche scolastiche e formative. Non è pensabile infatti attuare un processo di trasformazione senza il coinvolgimento e la partecipazione dei docenti, che in ogni caso vanno anzitutto sostenuti e messi in condizione di fare bene il proprio lavoro. Ovvero l’esatto contrario di ciò che avviene da ormai troppo tempo a questa parte: il nostro Paese continua a disinvestire risorse e attenzioni culturalmente serie nei confronti del sistema istruzione, ovvero nei confronti del proprio futuro.
Marina D'Agati