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Formazione e professionalità dei docenti sono la chiave dell’autonomia

Pubblicato il: 05/05/2009 12:10:29 -


Per rispondere alla complessità delle domande formative serve una scuola autonoma, e per la realizzazione della scuola autonoma servono tre leve fondamentali: la formazione, l’articolazione della funzione docente, uno sviluppo di carriera fondato sulla valutazione e sull’impegno nell’organizzazione della didattica.
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Porsi il problema della formazione degli insegnanti oggi nel nostro paese implica in primo luogo pensare che esista un qualcosa che si possa chiamare identità professionale, costituita da quegli attrezzi di un mestiere specifico cui si possa guardare senza il disprezzo che trasversalmente i più accreditati opinionisti della grande stampa riservano alla ricerca educativa e didattica.

Come fa osservare giustamente Mario Reguzzoni guardando all’esperienza europea, la scuola di massa, con i processi di differenziazione che sono intervenuti nei bisogni formativi e negli stessi valori di riferimento dei giovani, implica per gli insegnanti non solo un aumento quantitativo di competenze e responsabilità, ma un mutamento qualitativo riconducibile al restringimento dell’area della routine e l’allargamento dell’area della progettazione.

L’unica via possibile per sostenere questo compito è la costruzione di una cultura professionale fondata sulla capacità di riflettere sui dati dell’esperienza quotidiana e ri-costruirla continuamente nell’attività di progettazione e di documentazione (che è l’esatto contrario del “progettificio” incapace di modificare la didattica ordinaria).

La chiave di volta di una simile professionalità sta proprio nella capacità di confrontare l’esperienza vissuta con i propri studenti con quella degli altri docenti, in una dimensione di ricerca certo cooperativa, ma che qualcuno deve saper coordinare e gestire, sia negli aspetti didattici, sia negli aspetti organizzativi.

Per questo c’è bisogno di tre leve fondamentali: formazione (iniziale e in servizio), individuazione e riconoscimento di funzioni specifiche, sviluppo professionale e di carriera. Non si tratta certo di temi nuovi, perché sono stati a lungo (diciamo prima dell’ultimo decennio) pratiche volontarie, prima ancora che rivendicazioni, di una parte della categoria. La novità è che ora, come dimostrano alcune ricerche recenti, questa esigenza è avvertita da settori più ampi, e che il ddl Aprea la pone sul tappeto del dibattito parlamentare.

Quanto alla formazione, è ormai evidente che non può essere affidata a un generico “diritto-dovere” né incentivata con premialità rivolte all’esercizio di un’attività che va considerata essenziale allo svolgimento della professione (come per i medici, per intenderci). C’è piuttosto da chiarire bene che non stiamo parlando della formazione “ex cathedra”, svolta da docenti lontani e sostanzialmente incapaci di inter-agire (per questo ho molte riserve sulla formazione a distanza quando questa venga vissuta come forma di risparmio sui costi), ma di quella in cui gli esperti accettano di mettersi in gioco nella partecipazione al lavoro di progettazione-realizzazione-verifica di un percorso didattico.

Carriera docente e organizzazione della scuola autonoma sono strettamente inter-relate. Per questo concorsi interni per titoli, valutazione e riconoscimento delle funzioni non debbono essere contrapposti. Di certo sono necessarie sia figure di staff organizzativo, sia di coordinamento didattico, come quelle esemplificate nei commenti all’articolo di Walter Moro: l’importante è che esse non siano elettive ma rispondano a requisiti di base chiaramente identificati.

Non credo invece che sia possibile, e neppure auspicabile, differenziare chi fa esattamente lo stesso lavoro, più o meno bene. Su quali basi, poi? Del raffinamento delle valutazioni esterne? Questo potrebbe aiutare a individuare le patologie, non penso proprio a premiare le eccellenze del lavoro d’aula. È realistico, oggi, fare questi discorsi? Certo occorrono:
• un Ministero – di qualunque colore sia – che non pretenda di “controllare” dall’alto ciò che deve essere lasciato alla libertà didattica delle scuole e per questo collabori con l’Associazionismo professionale e lo sostenga;
• un sindacato che contratti spazi e strumenti obbligatori di formazione;
• una università che accetti di “sporcarsi le mani” con le scuole mettendo a confronto la ricerca accademica con quella condotta dai docenti sul campo e utilizzi i frutti di questa collaborazione nella prima formazione.

Aldo Tropea

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