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La formazione alla pratica di insegnamento

Pubblicato il: 15/06/2009 19:09:55 -


La formazione dei docenti è elemento centrale di un possibile rinnovamento della scuola. Non solo le risorse investite sono scarse, ma anche i modelli formativi generalmente utilizzati sono inadeguati e poco efficaci. La modifica delle SSIS è l’occasione per riportare il tema al centro del dibattito.
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Viviamo un’epoca di profondi mutamenti economici, sociali e culturali che inevitabilmente irrompono dentro la scuola sottoponendola a profondi sommovimenti, brusche sollecitazioni, drastiche virate. In questo contesto, la formazione degli insegnanti in servizio, e più ancora quella iniziale, diventano i vettori fondamentali del complesso poligono di forze la cui risultante è il livello d’efficacia della scuola.

È stato emanato da parte del Ministero il Regolamento che istituisce il nuovo percorso di formazione e reclutamento iniziale dei nuovi docenti, dopo la chiusura delle SSIS. Dalla bozza che sta circolando, a parte il necessario ridimensionamento a sei anni del percorso complessivo (3 + 2 di laurea + 1 di specializzazione), emergono alcuni aspetti su cui è necessaria una riflessione attenta, per non disperdere quelle esperienze positive che, fra luci e ombre, in dieci anni di attività le SSIS hanno espresso.

Si possono individuare alcuni punti forti del modello sperimentato, anche per estenderli, con i necessari adeguamenti, alla formazione in servizio. Quella docente è una professionalità articolata che non si può esaurire nella sola competenza disciplinare; l’operazione necessaria e complessa è quella di trasformare i “saperi sapienti” (Chevallard 1985) o accademici in “saperi da insegnare”, senza banalizzarli con una semplicistica semplificazione o riduzione. È un’operazione che Università e scuola non possono che fare insieme, in uno sforzo comune di trasformazione dei saperi accademici, che Chevallard definisce “monumentalizzati”, in saperi che abbiano senso per la scuola nelle sue diverse articolazioni, mutando di significato e di funzione nel momento in cui diventano strumentali a un processo educativo e formativo. È a partire da questi saperi finalizzati che gli insegnanti potranno poi compiere una ulteriore trasposizione didattica che esprime la loro specifica professionalità, trasformandoli ancora in “saperi insegnati” in quel contesto, in quella classe.

Saper fare questo richiede una professionalità che si manifesta anche attraverso una conoscenza pratica o “tacita” (Polanyi 1979) che supera il concetto di pratica come semplice applicazione della teoria e che qualifica il sapere professionale come un sapere per, funzionale al fare, e non un sapere che, orientato al puro conoscere (Damiano 2006).

Occorre quindi far emergere expertise, intuizioni o “abilità artistiche”, espressione della fusione di teoria e pratica, che i professionisti sanno agire nelle situazioni di incertezza, unicità e conflitti di valore che quotidianamente si presentano loro. Abilità che si manifestano in un costante adattamento della pratica attraverso l’anticipazione, il riconoscimento e la correzione dell’errore in azione (Chevallard 2007) e che consentono di co-costruire, insieme al discente, una nuova conoscenza contestualizzata.

Sviluppare e valorizzare questa competenza negli insegnanti, trasformandola in un habitus professionale indispensabile per fronteggiare la dinamicità dei saperi e dei contesti, significa andare ben oltre la mera esperienza. La sola esperienza non è elemento sufficiente, è necessaria una rielaborazione e una riflessione su di essa perché la conoscenza della pratica si trasformi in pensiero e professionalità consapevole; occorre arrivare all’esplicitazione del significato di un’esperienza, alla sua reinterpretazione, per trasformarla in apprendimento intenzionale (Mezirow 2003).

Dalla bozza del Regolamento sembra invece emergere il rischio di una separazione netta tra i compiti dell’Università e della Scuola, di approfondimento teorico e disciplinare da un lato, di esperienza pratica dall’altro. Ciò significa sostanzialmente trasformare il tirocinio in apprendistato, riproponendo una dicotomia superata dalla più recente ricerca didattica e dalle migliori esperienze SSIS. Occorre invece allestire dispositivi formativi centrati su pratiche e laboratori riflessivi dove tra le due dimensioni vi sia sinergia e integrazione attraverso la riflessione comune delle situazioni osservate, delle esperienze svolte e delle conoscenze teoriche affrontate, trasformando l’insegnante in insegnante-ricercatore didattico.

Per approfondire:
• Chevallard Y. (1985), La transposition didactique, Grenoble, La Pensée Sauvage.
• Damiano (2006), La nuova alleanza, Brescia, La Scuola.
• Mezirow J, (2003), Apprendimento e trasformazione, Milano, Raffaello Cortina.
• Polanyi M. (1979), La conoscenza inespressa, Roma, Armando.
• Colombo M. e Varani A. (2008), Costruttivismo e riflessività. La formazione alla pratica di insegnamento, Bergamo, Junior.

Andrea Varani

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