Home » Politiche educative » Scuola oggi scuola domani

Scuola oggi scuola domani

Pubblicato il: 05/10/2010 15:12:18 -


“A un ministro che ci sollecita a promuovere il ‘merito’ dobbiamo solo rispondere che tutti i soggetti in apprendimento sono meritevoli, ciascuno secondo le sue capacità”. La sintesi dell’intervento del professor Maurizio Tiriticco tenuto durante il primo Seminario Nazionale del Forum Politiche dell’Istruzione del PD a Roma il 25 e 26 settembre 2010.
Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Dalla mappa concettuale diacronica che qui presentiamo (Fig. 1), si evince quali innovazioni il dpr 275/99 e il novellato Titolo V (2001) hanno apportato al nostro Sistema nazionale educativo di istruzione e formazione. Prima del ’99 vigeva un processo lineare verticale, che potremmo definire a cascata. Il Ministero per la Pubblica Istruzione (Mpi) emanava i “suoi” Programmi, a cui le unità scolastiche dovevano semplicemente attenersi: pertanto, gli studenti che “rispondevano” ai contenuti di cui ai Programmi erano promossi, gli altri bocciati. Con le innovazioni suddette si è voluta cancellare tale linearità per dar vita a un vero e proprio sistema in cui diversi soggetti istituzionali autonomi dovrebbero svolgere funzioni diverse, anche se strettamente correlate. Il Mpi cessa così di essere il primo e indiscusso interlocutore e diventa un soggetto i cui compiti dovrebbero essere essenzialmente di indirizzo, orientamento, determinazione delle risorse, valutazione. Non dovrebbe più erogare Programmi, ma limitarsi a dare semplici Indicazioni, che le istituzioni scolastiche nella loro autonomia dovrebbero tradurre in curricoli.

Fig. 1

L’innovazione, inoltre, affidava alle istituzioni scolastiche compiti nuovi, che andavano oltre la semplice istruzione (conoscenza da parte degli alunni di precisi contenuti disciplinari): loro compito dovrebbe essere anche quello di educare (il cittadino) e di formare (la persona): un ampliamento di orizzonte e di impegno che avrebbe dovuto garantire a ciascun alunno il suo personale “successo formativo” (vedi art. 1, c. 2 del dpr 275/99). Assumemmo anche l’impegno che nessun alunno potesse uscire dal sistema di istruzione, educazione e formazione se non avesse conseguito almeno una qualifica entro il 18° anno di età. Com’è noto, la formazione professionale regionale attribuisce la prima qualifica ai 17 anni di età, corrispondente al secondo livello dell’EQF. Altre competenze venivano affidate alle Regioni e agli Enti Locali, ed è anche noto che su questa tematica e su quella dell’individuazione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), di competenza dello Stato, la discussione è ancora aperta e riguarda la difficile prospettiva federalista.

A dieci anni da tali profonde innovazioni istituzionali, il nuovo sistema delle Autonomie è entrato a regime? I soggetti coinvolti nella operazione hanno trovato ciascuno il suo ruolo? A mio vedere, no! Ne fa fede il fatto che le Indicazioni nazionali relative al secondo ciclo di istruzione prodotte negli ultimi mesi da questo governo sono un insieme di documenti che si sviluppano per centinaia di pagine, spesso di difficile lettura, ora ripetitive, ora contraddittorie; non riescono a centrare quali sono le finalità che vengono proposte alle istituzioni scolastiche e le competenze che gli studenti devono acquisire. A fronte di un cambiamento di orizzonte così impegnativo – trasformare una scuola centrata da sempre sulle conoscenze a una suola centrata sulle competenze – le Indicazioni sono assolutamente insufficienti, ora sovrabbondanti, ora imprecise, e purtroppo finiscono con l’essere ben più vincolanti dei vecchi Programmi!

Il momento è quindi molto difficile! La società che molti chiamano della conoscenza impegna i sistemi di istruzione a formare persone che conseguano competenze tali che permettano loro di far fronte a un mercato del lavoro sempre più complesso e difficile, e di possedere tutti quegli strumenti che permettano loro di leggere e comprendere un mondo che si fa sempre più complesso. Purtroppo, com’è noto, appena un terzo degli italiani possiede una competenza linguistica funzionale!

In tale situazione, se vogliamo cambiare il Paese in materia di istruzione, dobbiamo muoverci su due fronti: da un lato, tallonare il governo e il Miur punto per punto, perché il processo dell’autonomia esca dalle secche in cui è stato cacciato e riprenda il suo corso; dall’altro, sostenere concretamente scuole e insegnanti a operare per conquistare passo dopo passo quell’autonomia che di fatto non si vuole loro né riconoscere né concedere.

La realizzazione dell’autonomia è strettamente legata a un modello di scuola che non può essere dettato dall’alto.

Lo Stato dovrebbe limitarsi a dettare le norme generali sull’istruzione e i Lep. In effetti, le Indicazioni del secondo ciclo sono un insieme di documenti sovrabbondanti, fortemente assertivi e non sempre tra loro correlati; le Indicazioni per il primo ciclo sono ancora allo studio nelle stanze del Miur. La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che Regioni ed Enti locali dovrebbero erogare al fine di evitare disuguaglianze sul territorio nazionale in materia di soddisfazione del diritto all’istruzione è ancora una materia in fieri. Pertanto, le due condizioni fondamentali per l’avvio di un rigoroso e produttivo processo autonomistico non sono a tutt’oggi soddisfatte.

In tale situazione di incertezza, c’è un solo punto fermo: le competenze terminali del ciclo obbligatorio (dm 129/07 e 9/10) che dal prossimo giugno le nostre scuole dovranno certificare. Ma ciò è insufficiente, se vogliamo ragionare in un’ottica di sistema. Perché anche le competenze terminali del secondo ciclo (augurandoci che possa concludersi ai 18 anni di età) vanno individuate e definite. Insomma, tutte le strategie di insegnare/apprendere che ci vengono da un lontano passato vanno assolutamente del tutto rinnovate. La nostra scuola ha attraversato tre stagioni (Fig. 2).

Fig. 2

La prima è quella in cui sono centrali l’apprendimento dei contenuti descritti nei Programmi ministeriali e la valutazione delle conoscenze che tali contenuti implicano. Con l’avvio della scuola cosiddetta “di massa”, nel primo ciclo di istruzione l’attenzione viene spostata alle abilità, cioè all’utilizzo delle conoscenze acquisite; la valutazione decimale era assolutamente inadatta a valutare tali abilità, per cui venne sostituita con la cosiddetta valutazione di criterio. Va sottolineato, però, che tale innovazione non ha interessato il secondo ciclo se non in casi di sperimentazioni avanzate. Con il Terzo millennio, e con tutto ciò che si è verificato nel mondo delle conoscenze, della ricerca, del lavoro, con la necessità di doverci misurare con altri sistemi di istruzione più avanzati del nostro e con quanto ci chiede e attende l’UE, si è compiuto (o meglio, si dovrebbe effettivamente compiere) un nuovo passaggio: l’acquisizione di competenze, che il soggetto spenderà negli studi ulteriori, nel mondo della cultura, delle professioni e del lavoro, nonché nelle interazioni con altri soggetti. Si tratta di un passaggio veramente epocale, anche perché, per quanto concerne la valutazione, né quella decimale né quella di criterio sono adeguate. Una competenza c’è o non c’è e, se si accerta, si certifica.

In tale scenario dovrebbe entrare in gioco, da parte del collettivo degli insegnanti, tutta un’attenta attività di osservazione continua, stimolo, rinforzo, che conduce alla certificazione finale. È necessario considerare che un cambiamento di rotta così radicale richiede una innovazione profonda del complessivo Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, innovazione che la “riforma epocale” della Gelmini non può affatto garantire.

A un ministro che ci sollecita a promuovere il “merito” dobbiamo solo rispondere che tutti i soggetti in apprendimento sono meritevoli, ciascuno secondo le sue capacità. Appartiene al nostro passato la scuola che promuove i “meritevoli” e boccia gli “immeritevoli”. Nel nostro futuro deve esserci una scuola che promuove il “successo formativo” di ciascuno e per ciascuno. Le nostre ideali “linee guida” devono essere i quattro pilastri dell’educazione di un Delors (anni Novanta) e i sette saperi necessari all’educazione di un Morin (anni Duemila)!

Per approfondire:
tutti gli interventi del primo Seminario Nazionale sulle Politiche dell’Istruzione del PD
• la discussione sulla riforma dei licei e sulla certificazione delle competenze sui forum di Education 2.0

Maurizio Tiriticco

26 recommended

Rispondi

0 notes
784 views
bookmark icon

Rispondi