La scuola media: problemi e paradigmi di risposta
“Che cos'è la scuola media? È davvero l’anello debole del nostro sistema educativo?”. Alle domande di Giancarlo Cerini risponde anche Ermanno Puricelli.
Nel suo intervento dal titolo Scuola media: alcune domande impertinenti Giancarlo Cerini propone due quesiti importanti e densi di significato: “Che cos’è la scuola media? È davvero l’anello debole del nostro sistema educativo?”. Il primo verte sulla questione dell’identità della scuola media ed è una domanda che, con il dovuto rispetto, ricorda un po’ la famosa frase di Pilato “Che cos’è la verità?”, nel senso che lascia intendere che non si sappia che cosa sia e, persino, se sia qualcosa; il secondo solleva la questione relativa alla incapacità della scuola media di reggere il confronto con gli “anelli forti” del sistema educativo: la scuola elementare e quella superiore. Ed è una domanda di evidente sapore retorico, la cui risposta sembra scontata; basta, infatti, proseguire nella lettura per rendersi conto che il quadro che egli tratteggia è caratterizzato da un evidente predominio di tratti negativi, a cui fanno riscontro pochi elementi di positività: si parla di una scuola alla ricerca di un’identità; con alte percentuali di insuccesso; con differenze di ceto, cultura e territorio che si fanno sentire; con età media degli insegnanti molto elevata, con modelli organizzativi datati; con una frammentazione disciplinare eccessiva ecc.; e, soprattutto, si parla di una scuola che non appare in sintonia con i bisogni, le caratteristiche, gli interessi degli studenti che la frequentano.
Nessuno, ovviamente, intende negare la verità dei dati sopra richiamati, ma è chiaro che basterebbe poco per dimostrare che di questi stessi mali, e altri in aggiunta, non soffre solo la scuola media, ma anche gli altri settori del sistema scolastico nazionale.
Fatta questa debita premessa, si può accettare in linea ipotetica il quadro di crisi proposto.
La diagnosi dei mali della scuola media tratteggiata da Cerini non è nuova; mi ricorda molto da vicino quella circolante alla fine degli anni Novanta, a legittimazione della “riforma dei cicli”. Mi sembra importante allora recuperare, oltre che la diagnosi, anche la memoria storica delle soluzioni che sono state proposte – e questo per non cominciare ogni volta da capo.
Nel recente passato, come si ricorderà, sono state proposte tre modalità, a loro modo paradigmatiche, di affrontare i problemi della scuola media.
a) Una prima modalità di risposta è costituita dalla già menzionata “riforma dei cicli”, di cui alla Lg. 10 febbraio 2000, n. 30. Ai sensi di questa legge, la scuola di base ha durata di sette anni ed è caratterizzata da un percorso educativo unitario e articolato, in rapporto alle esigenze di sviluppo degli alunni; si raccorda da un lato alla scuola dell’infanzia e dall’altro alla scuola secondaria. Sembra evidente che la soluzione dei problemi della scuola media consisteva, secondo questo paradigma, nel cancellare semplicemente la scuola media dalla faccia della terra. Sarebbe interessante sapere che cosa pensa, oggi, Giancarlo Cerini di questa soluzione, considerato che, a suo tempo, la valutò in questi termini: “La proposta ha un suo fascino ‘pedagogico’ di forte impatto innovativo, ma rischia – se non sostenuta da un robusto processo di ricerca sul nuovo curricolo verticale – di essere interpretata secondo i canoni della realtà odierna”, vale a dire come “una riproposizione delle attuali scuole elementari (magari accorciate di un anno) e scuola media (salvata comunque nella sua triennalità)”. (Riordino dei cicli. Testo e commento, Tecnodid).
b) Una seconda modalità fu quella proposta dal Gruppo Ristretto di Lavoro insediato dal ministro Moratti nel 2001, presieduto dal prof. Bertagna. Prevedeva un primo ciclo unitario di istruzione dai 6 ai 14 anni, articolato in quattro bienni che facessero progressivamente passare gli allievi da uno studio epistemologicamente primario a uno studio secondario per maturare competenze da documentare nel portfolio personale; docente prevalente fino alla terza classe della scuola primaria e poi progressivo ampliamento del numero dei docenti, ma senza giungere ai minimo nove attuali della media; istituzione di un docente coordinatore tutor che accompagnasse i piani di studio personalizzati degli allievi e, in particolare, di quelli con maggiori problemi di apprendimento; pari dignità e durata dei percorsi di formazione iniziale dei docenti. Cerini, ma soprattutto la sua parte politica e sindacale, si distinse nel respingere anche questa proposta.
c) Una terza modalità è rappresentata dalla Legge 28 marzo 2003, n. 53, e poi, a seguire, dalle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati. L’intento della Lg. 53 era, evidentemente, quello di rafforzare l’identità della scuola media. Vi si legge, infatti, che “la scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale; organizza e accresce, anche attraverso l’alfabetizzazione e l’approfondimento nelle tecnologie informatiche, le conoscenze e le abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’allievo; cura la dimensione sistematica delle discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione europea; aiuta a orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione” (art. 2).
Anche se è sempre antipatico rivestire i panni del reduce (la camicia rossa garibaldina nel terzo millennio), mi sembra di poter dire che – messa da parte la fastidiosa terminologia (di cui è responsabile però l’art. 8 delle 275/99 inopinatamente imposto dai ministeriali nel 2004 e disinvoltamente aggirato nel 2007 con le Indicazioni per il curricolo Fioroni) che ha accompagnato la riforma Moratti e ne ha oscurato il disegno che riprendeva, in realtà, molte suggestioni della seconda modalità – ci sia materia su cui riflettere, per chi voglia lavorare senza ideologismi a un rafforzamento dell’identità della scuola media.
Ciò che, a mio parere, la legge n. 53 disegna, infatti, è un’identità “a delta” della scuola media, nel senso di una scuola a un’entrata e a molte uscite: come un delta di fiume, appunto. Che cosa significhi poi, concretamente, una scuola a delta sotto il profilo educativo, didattico e organizzativo, è ciò su cui si potrà eventualmente ritornare.
Ermanno Puricelli