Diritto allo studio: i rischi per l’istruzione nella modifica del Titolo V
Nella modifica del Titolo V della Costituzione s’intravedono discriminazioni fra scuole pubbliche e private, a favore di queste ultime.
Purtroppo non è molto noto, nella legislazione a carattere concorrente attribuita alle Regioni dal testo attualmente vigente dell’articolo 117 della Costituzione, figura anche il diritto allo studio.
La legge di parità – la n. 62 del 2000 – aveva stabilito, per l’erogazione delle borse di studio, un principio fondamentale che aveva lo scopo precipuo d’impedire che attraverso tale strumento potesse essere aggirato il divieto di finanziamento delle scuole paritarie. Tale principio stabiliva che le borse di studio da erogare agli studenti delle scuole paritarie dovessero avere la stessa entità economica di quelle erogate agli studenti delle scuole statali. Con tale norma si sarebbe dovuto impedire che attraverso l’erogazione delle borse di studio rientrasse la possibilità di finanziare il costo degli studi svolti presso un’istituzione scolastica privata ancorché paritaria.
Nella gran parte della legislazione regionale che ha regolato tale materia, come ho tentato di dimostrare nel capitolo nono di un mio recente lavoro riguardante le scuole paritarie, tale principio fondamentale è stato generalmente ignorato.
Il caso limite di tale violazione della normativa costituzionale è rappresentato dalla legge vigente in Lombardia che ha previsto per gli studenti delle scuole paritarie graduatorie e cospicui finanziamenti a essi praticamente riservati. Ciò con lo scopo di garantire una (costituzionalmente) presunta libertà di scelta educativa delle famiglie. Di recente il Tar della Lombardia ha riconosciuto tale impostazione essendo stato attivato in tale compito da un improvvido ricorso che, in odio alla legge di parità, aveva omesso di porre al suddetto tribunale la questione della violazione da parte della legge lombarda del richiamato principio fondamentale della “pari entità”.
Ora la modifica dell’articolo 117 della Costituzione, approvata lo scorso 8 luglio dalla Commissione affari costituzionali del Senato, sembra dare il via libera definitivo a tale impostazione che potrebbe in tal modo essere estesa, senza alcuna preoccupazione di incostituzionalità, in tutte le Regioni.
Infatti, nel nuovo articolo 117 si abolisce la legislazione concorrente delle Regioni e si precisano i rispettivi ambiti della legislazione esclusiva dello Stato e delle Regioni (esclusiva in quanto residuale).
La competenza esclusiva statale in materia d’istruzione riguardava le “norme generali sull’istruzione” e i “principi fondamentali” rispetto alla legislazione concorrente attribuita alle Regioni.
Nel nuovo testo sembra superato il concetto di “principio fondamentale”e la legislazione esclusiva statale, richiamata alla nuova lettera n) dell’articolo, risulta riguardare:“disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica”.
Mentre il vigente articolo 117 della Costituzione prevedeva che :”Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:… istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.”
Nel nuovo testo dell’art.117 si stabilisce che: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa… salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, istruzione e formazione professionale, promozione del diritto allo studio, anche universitario”.
Poiché il dibattito nella Commissione del Senato non ha finora minimamente reso conto del significato che si vuole attribuire al passaggio da “Norme generali” a “Dispozizioni generali e comuni” e soprattutto se quel “comuni” intenda in qualche modo sostituirsi alla funzione finora attribuita ai “principi fondamentali”, risulta difficile comprendere il reale significato che si deve attribuire alla nuova configurazione delle competenze legislative attribuite alla legislazione regionale.
In particolare cosa potrà concretamente significare quella competenza riguardante ”la promozione del diritto allo studio”. Se tale promozione potrà seguire la strada indicata dalla legislazione lombarda cioè rappresentare la forma futura e diffusa, sia pure con modalità arbitrariamente articolate su tutto il territorio nazionale, del finanziamento dei costi dell’istruzione paritaria.
A meno che non si voglia sostenere la tesi che la nuova normativa costituzionale comporti un superamento della stessa legge di parità sembrerebbe ragionevole sostenere che la legislazione regionale chiamata a “promuovere il diritto allo studio” non si sostituisca, Regione per Regione, a tale normativa da cui discendono anche disposizioni quali quelle che regolano l’erogazione dei contributi diretti a tale tipo di scuole.
Le “disposizioni generali” della legge di parità sono “comuni” nel senso che valgono per tutto il territorio nazionale.
Leggi il testo in discussione al Senato
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Osvaldo Roman