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Qualche interrogativo in più o di troppo?

Pubblicato il: 19/11/2009 17:28:39 -


Come è che non si prende spunto dalla organizzazione educativa e dalle pratiche “professionali” diffuse e consolidate nella scuola primaria?
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Si fa tanto parlare degli esiti soddisfacenti della scuola Primaria, ci si interroga sulle ragioni dei risultati non positivi della scuola Secondaria di primo grado (ex media), ma non viene attivata una riflessione seria sui punti di forza di questo primo segmento formativo. La scuola primaria con i suoi esiti apprezzabili, riconosciuti anche dalle ricerche internazionali, non è riuscita ad avere sufficiente autorevolezza per fare da traino. Ad oggi non ha avuto l’opportunità di fare emergere con sufficiente determinazione questi suoi punti di forza e indicarli come possibili soluzioni per rimuovere le criticità presenti negli altri segmenti.

Come sottovalutare l’attenzione data dai docenti della scuola primaria al soggetto che apprende, ai suoi bisogni, alle sue difficoltà di apprendimento, alle sue attitudini e capacità? Come sottovalutare il costume consolidato nella scuola primaria della programmazione e della condivisione in team dell’attività didattica ed educativa? Prassi didattiche che sono diventate regole, conferendo alla scuola primaria una sua specificità e che rappresentano, a parere di molti, i valori aggiunti di questo segmento. Nella scuola primaria, a partire dagli anni della esplosione della cultura della programmazione, questa pratica ha mantenuto la sua centralità nella organizzazione didattica. Non è mai stata abolita, seppure portata avanti, negli anni, con accenti e modalità diverse. I docenti di scuola primaria hanno continuato a organizzare, insieme, i percorsi da realizzare con gli allievi, hanno continuato a confrontarsi sugli esiti, – anche se qualche volta in modo empirico e non sempre rigorosamente scientifico -, interrogandosi e riflettendo insieme sulle azioni educative e didattiche intraprese. Tutto ciò rappresenta, ad oggi, uno dei tratti caratterizzanti della scuola primaria che non potranno/dovranno essere intaccati neppure dai recenti regolamenti entrati in vigore da pochi settimane.

Non credo che le criticità della scuola media vadano ricercate tutte nella sua organizzazione “per discipline”, nel peso che ciascun docente assegna alla propria disciplina. Vanno, altresì, ricercate nella “incapacità”, diffusa tra molti docenti della scuola media, di sapere mettere in atto pratiche “vere”, e con scadenza periodica, di attività di programmazione, di riflessione didattica e di valutazione riferita agli esiti delle azioni didattiche e educative intraprese.

La scuola media continua ad essere per molti studenti una occasione mancata. Molti nostri ragazzi non riescono a ritrovare occasioni e contesti per sviluppare una adeguata motivazione allo studio, per valorizzare e incrementare il proprio talento e le proprie attitudini, perdono l’interesse per la scuola. Le ragioni alla base di questa tendenza sono molte e non facili da rimuovere. L’età dei ragazzi rappresenta di certo un fattore decisivo, ma non l’unico. I fattori che concorrono a mantenere questo andamento sono più d’uno.

Negli anni sessanta la scuola media, grazie alla riforma che la rendeva obbligatoria e gratuita per tutti, -approvata nel dicembre del 1962 e in Gazzetta Ufficiale il 31 gennaio 1963-,aprì una stagione di riforme che faceva ben sperare per l’evoluzione dell’ intero sistema scolastico del nostro Paese. Così non è stato. O meglio, questa riforma, pur trasmettendo nuovi impulsi, non ha avuto la forza di mantenere e consolidare nel tempo il processo avviato. Una riforma che, comunque, è riuscita a recepire le novità della ricerca internazionale e nazionale su come e che cosa insegnare, orientando la elaborazione dei nuovi programmi per la scuola media del 1979, per la scuola primaria del 1985 e dell’infanzia 1991. Un cammino che ha messo in evidenza le spinte all’innovazione, sentite e largamente diffuse nel Paese.

Le ultime indagini OCSE-Pisa, che hanno testato le competenze dei quindicenni in ambito scientifico nel 2006, e gli ultimi test dell’INVALSI, giugno 2009, a conclusione della scuola secondaria di primo grado, continuano, invece, a segnalare la persistenza delle difficoltà della nostra scuola media. Il Ministro Fioroni, nel suo programma di governo, aveva programmato azioni specifiche rivolte ai docenti di lingua italiana e matematica per supportare i docenti e gli studenti nella prospettiva di intervenire per l’innalzamento dei livelli di apprendimento. La Commissione per il Miglioramento dell’insegnamento della Matematica (2007), le iniziative rivolte all’insegnamento della lingua italiana e l’introduzione, anche se in via sperimentale, della prova nazionale INVALSI sulla lingua italiana e matematica, andavano in questa direzione.

Le azioni di riforma, intraprese in questo ultimo anno, dal governo in carica, hanno allargato gli interventi a tutti i segmenti del sistema, mettendo in secondo piano le criticità della scuola media. In queste ultime settimane l’ attenzione è rivolta, in modo particolare, alla scuola secondaria di secondo grado: la riforma dei Licei e degli Istituti tecnici e Professionali. Un percorso obbligato, considerati i ritardi nel nostro Paese. Ma della scuola secondaria di primo grado, chi ne parla ancora? È sufficiente mettere a regime la prova INVALSI, che anche quest’anno si svolgerà durante l’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo dell’obbligo? E i traguardi che devono raggiungere gli studenti restano quelli indicati dalle Indicazioni Fioroni o dalla riforma Moratti?

I nuovi Regolamenti riferiti al Primo ciclo di istruzione e l’Atto di Indirizzo, emanato dal Ministro l’8 settembre, sono sufficienti a dare risposte alle criticità emerse e sulle quali si stava concentrando l’azione dei precedenti governi? In questi anni l’attenzione dei governi che si sono succeduti è stata puntata più sugli aspetti ordinamentali, tempo scuola ecc., che non su che cosa i ragazzi devono sapere e come, sui loro tempi di apprendimento, sulla loro motivazione. Sono forse queste le abitudini dei “cattivi maestri” degli anni sessanta/settanta che vanno rimosse?

Maria Rosa Ardizzone

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