Il particolare? Serve a coprire il generale
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Non ci sfugga il fatto che le affermazioni di certi esponenti politici volutamente confondono causa ed effetto, volutamente riducono il generale al particolare, volutamente distraggono l’attenzione da una politica che nei fatti sta massacrando la scuola TUTTA, credendo così di rassicurarci: “distruggeremo ‘solo’ quella dei disabili, delocalizzandoli... E così i problemi ‘degli altri’ si risolvono meglio”. Non è così. Non lasciatevi distrarre.
Su “La Repubblica” di qualche giorno fa, un articolo descriveva in questi termini la situazione delle scuole della provincia di Roma: “Sono sempre di più i bambini e i ragazzi che nella Capitale hanno bisogno di un insegnante di sostegno. Solo quest’anno le richieste hanno toccato quota 16.600, a fronte di circa 6.250 posti disponibili. Un rapporto tra docenti e diversamente abili che sfiora quasi l’uno a tre. Poco o nulla rispetto alle esigenze reali”.
“Alla Pistelli, alla Vaccari e al Parco della Vittoria abbiamo meno insegnanti di sostegno del necessario – racconta la preside dei tre istituti Brunella Maiolini – Alla scuola d’infanzia della Pistelli ci sono 8 bimbi disabili, di cui 6 gravi, inseriti in classi numerose (anche di 27-28 alunni) e solo 3 docenti di sostegno. Una situazione simile a quella dell’elementare Pistelli, dove ci sono 26 alunni disabili e solo 11 insegnanti”.
Le autrici dell’articolo, Viola Giannoli e Sara Grattoggi, concludevano ricordando che “per molti genitori l’unica soluzione (per tentare di veder riconosciuto il diritto dei propri figli a un’istruzione idonea e alla presenza più costante e incisiva dell’insegnante di sostegno, N.d.R.) è la battaglia legale. Chi fa ricorso, quasi sempre lo vince – spiega Paolo Mazzoli, presidente dell’Asal (Associazione scuole autonome del Lazio) – Però non è giusto che per vedere riconosciuto un proprio diritto i genitori siano costretti a questo. Così si penalizzano le famiglie più povere che non si possono permettere di pagare dei legali e dunque di ottenere il giusto sostegno per i figli”.
Quando è il ministero competente (o chi per lui, nascosto, nemmeno tanto bene, dietro le quinte) a imporre dal centro tagli della portata che conosciamo e a imporre, anche per via economica, una visione dell’istruzione pubblica che definire riduttiva e squalificante è poco, è ovvio che si scatena una reazione a catena che investe progressivamente (o simultaneamente) molti ambiti e molti “attori” del settore scolastico. Questo per dire che le difficoltà degli alunni disabili e degli insegnanti di sostegno (a “paradossale” conferma del fatto che la scuola di tutti è davvero di tutti, anche e soprattutto quando “sono dolori”. Insomma, i problemi sono davvero integrati) si inseriscono tra quelle che devono affrontare tutti gli altri studenti e tutti gli insegnanti curricolari e, a volte, li aggravano.
È anche da questo punto di vista che le parole dissennate che abbiamo sentito provenire da più parti nelle ultime settimane (il caso dell’assessore di Chieri, quello del Presidente della Provincia di Udine ecc.) si dimostrano del tutto strumentali e assolutamente non mirate. Almeno nella misura in cui si rivolgono a una particolare categoria di persone (gli studenti con disabilità), suggerendo che, dati i tempi, riceverebbero un’istruzione migliore se “delocalizzati” in istituti speciali(zzati), piuttosto che nella scuola pubblica, insieme agli altri allievi normodotati, fingendo di ignorare che, come dicevamo, il problema e le difficoltà non riguardano tanto chi ha un deficit, quanto l’istituzione scolastica nel suo complesso.
Quando il Presidente della Provincia afferma che “gli insegnanti di sostegno fanno più assistenza che appoggio durante le lezioni”, dimentica che è l’istruzione di tutti a rischiare la stessa sorte, lo stesso scivolamento verso qualcosa d’altro: gli insegnanti curricolari si troveranno ad avere classi numerosissime dovendo di necessità rinunciare ad una parte di educazione per riuscire a garantire almeno la “gestione” di tutti quegli alunni.
I contenuti “trasmessi” rischiano una regressione nozionistica secondo un modello didattico-educativo che si poteva pensare superato una volta per tutte. I contenuti di tutti, non quelli “di sostegno”. E così via.
Ecco perché quelli provenienti da più parti sembrano interventi strumentali, quasi l’indicazione di un capro espiatorio, che, come si sa, non coincide mai con l’effettivo responsabile di uno “strato di cose”. Ma la cui individuazione è utile, strumentale appunto, a chi invece quello stato di cose ha partecipato a definire. In questo caso per coprire, mascherare, mistificare.
Giorgio Genta, della Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), giustamente sottolinea che così “si nega nei fatti la possibilità di integrazione nella ‘scuola di tutti’ delle disabilità più gravi, specialmente di quelle intellettive, ovvero quelle che potenzialmente possono trarre il maggior beneficio dall’inserimento (certo con gli opportuni supporti) in un ambiente sociale ‘normale’ e non in una struttura coercitiva”. E sono giusti anche i richiami alla ricchezza che rappresenta la presenza di alunni disabili per tutti gli altri studenti, ovvero chi commenta quegli interventi richiamando il valore (anche pedagogico) della diversità e rimarcando che la scuola raffigura il luogo privilegiato per imparare a vivere in un contesto diversificato.
Ma, soprattutto, non ci sfugga il fatto che le affermazioni di quegli esponenti politici volutamente confondono causa ed effetto, volutamente riducono il generale al particolare, volutamente distraggono l’attenzione da una politica che nei fatti sta massacrando la scuola tutta, credendo così di rassicurarci: “distruggeremo ‘solo’ quella dei disabili, delocalizzandoli… E così i problemi ‘degli altri’ si risolvono meglio”. Non è così. Non lasciatevi distrarre.
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Claudio Imprudente