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La Buona Scuola e l’insegnamento della Storia

Pubblicato il: 16/03/2015 15:45:17 -


Un incontro a Roma per riaprire il dibattito sul valore e la didattica della storia.
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Il 20 febbraio 2015, presso la Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma, si è svolto l’incontro L’insegnamento della storia e la scuola di domani: ripensare il curriculum, ridefinire gli obiettivi, organizzato dalla Società italiana per la storia dell’età moderna (SISEM). Non è certo la prima volta che le società scientifiche si occupano di scuola. La SISEM è sempre stata attenta alla didattica della storia e alla formazione dei docenti. La novità di oggi è forse costituita dall’interesse dimostrato verso questi temi da tutte le componenti accademiche e professionali, a partire dalla Giunta centrale per gli studi storici, presieduta da Andrea Giardina, che ha patrocinato l’incontro. Senza dubbio, il ruolo diretto delle università nella formazione post lauream degli insegnanti nei percorsi PAS e TFA, dopo la fruttuosa esperienza delle SSIS, ha reso più urgente e sentita l’intera questione. Si è rafforzata anche la coscienza del valore strategico da attribuire a un corpo docente motivato e ben preparato, anche didatticamente.
Tuttavia, ad alcuni anni dalla ‘riforma’ del primo ciclo d’istruzione e dall’avvio della ‘riforma’ della scuola superiore, alcune serie criticità del curriculum disciplinare restano purtroppo inevase. E sono state largamente ignorate, finora, anche dagli attuali progetti di intervento del governo Renzi.
Insegnanti, storici accademici, esperti di didattica e di politiche scolastiche, oltre ai presidenti delle società dei medievisti, dei modernisti, dei contemporaneisti e delle storiche italiane, si sono dunque confrontati sui tempi, i modi e i contenuti dell’insegnamento di questa disciplina fondamentale per la formazione intellettuale e la creazione di una cittadinanza attiva.

Le criticità dell’insegnamento della storia nella scuola italiana, frutto del susseguirsi di interventi legislativi scoordinati e parziali, sono state ripercorse da Andrea Zannini, dell’Università di Udine, nell’introduzione ai lavori: la ripetizione degli stessi argomenti nei due cicli di istruzione che mortifica la pluralità degli approcci e dei metodi didattici; la discrasia tra le competenze disciplinari e trasversali per la cittadinanza richieste alla fine dell’obbligo (16 anni) e la scansione dei programmi (fermi per il biennio all’XI secolo); la generale riduzione delle ore; la difficoltà di intraprendere percorsi tematici e modulari che possano, almeno in parte, compensare una visione meramente sequenziale delle civiltà umane.
Così, l’incontro di Roma, vivace e partecipato, è servito a mettere a fuoco le linee di fondo del dibattito in corso, a partire da quella ‘dipendenza dei programmi dall’architettura scolastica’ emersa chiaramente in molti interventi. La disamina proposta da Luigi Cajani delle soluzioni proposte dai diversi paesi europei ha evidenziato come un ripensamento sul senso dell’insegnamento della storia non possa essere disgiunto da una riflessione sui cicli, il cui riordino appare auspicabile anche alla luce di esperienze già consolidate. La scuola media inferiore, ad esempio, esito di una soluzione che – pochi lo ricordano – doveva essere solo provvisoria, rimane ancora troppo isolata. Anche negli odierni istituti comprensivi è solo giustapposta/aggregata alla primaria, dalla quale resta ben distinta per metodi e corpo docente. Questo ‘primo ciclo d’istruzione’, insomma, vive più nelle intenzioni del legislatore che nei fatti. Anche la questione dell’obbligo scolastico rimane strutturalmente irrisolta perché una certificazione che, in teoria, dovrebbe avere valore strategico, si riassume troppo spesso in un adempimento burocratico poco o per nulla significativo per gli studenti, nonostante la buona volontà dei docenti.

È appunto sulla centralità dello studente che si sono concentrati gli interventi di Elvira Valleri e Camilla Hermanin, sottolineando la necessità di una didattica della storia più coinvolgente, attenta alle domande che emergono dalla complessità del sociale, che sappia approfittare delle potenzialità delle nuove tecnologie.
La carenza di strumenti innovativi e più efficaci per una didattica di tipo modulare è stata più volte sottolineata, in special modo da Lavinia Pinzarrone e da Antonio Brusa, uno dei più impegnati interpreti del rinnovamento didattico degli ultimi decenni. È arrivato il momento di un vero salto di qualità: si devono pensare nuovi percorsi didattici tematici, anche su argomenti e spunti non ‘tradizionali’, come la storia dell’alimentazione o della tecnologia. Si deve soprattutto immaginare un forte legame tra lezione in classe ed esplorazione del patrimonio storico-artistico e culturale. Le proposte e i materiali, costruiti magari in collaborazione tra le società scientifiche e le scuole, potrebbero trovare diffusione come risorse open-source. Anche in questo caso, non mancano buone pratiche e ottimi esempi, che in Italia restano però molto isolati, mentre soprattutto nel mondo angloamericano sono ormai a un livello di piena maturazione e di quotidiano utilizzo (come English Heritage, Teaching History, Teaching American History).
È ormai ora di costruire un sito ufficiale dal quale gli insegnanti possano attingere per costruire le loro lezioni, invece di caldeggiare la redazione di manuali fai-da-te di dubbia utilità.

La necessità di un cambiamento è in realtà sentita da tempo e da più parti, e le esperienze di didattica attiva e laboratoriale non sono certo una novità. Tuttavia, non sono mai riuscite a diventare la norma, né tanto meno hanno fatto breccia nel senso comune, che vuole che la storia ‘si faccia’ soltanto seguendo un asse cronologico-sequenziale costruito attorno ad alcuni eventi politici ritenuti essenziali. Nonostante le recenti Indicazioni nazionali recepiscano una visione epistemologica più moderna e problematica, nei fatti non sembra che le cose siano davvero cambiate. Lezioni dalla cattedra, manuali, riassunti fatti (sempre più) in fretta dominano ancora largamente l’insegnamento della storia. La Buona Scuola di domani dovrebbe diventare un luogo dove la conoscenza e la comparazione tra le diverse esperienze di civiltà, nel tempo e nello spazio, possa condurre a un concetto di cittadinanza più moderno, aperto e consapevole. L’insegnamento della storia mantiene un’importanza e un ruolo cruciale in questo processo, purché riesca a uscire da quella stereotipata ripetizione di contenuti che l’ha fino a oggi, nonostante tutto, caratterizzato.

Alle comunicazioni ha fatto seguito una tavola rotonda, introdotta da Maria Pia Donato dell’Università di Cagliari e condotta da Giorgio Zanchini con la sua consueta maestria e curiosità. Gli interventi di Antonio Brusa, di Marina Boscaino e Mario Piras, docenti e giornalisti, e dell’On. Milena Santerini hanno consentito di allargare l’analisi a problematiche di carattere più generale e alle priorità immediate: le questioni di metodo politico-culturale connesse alla Buona Scuola, la dispersione scolastica, il senso ultimo delle riforme, vicine e lontane.
In effetti, alla luce degli elementi emersi nel corso dell’incontro, appare sempre più urgente intraprendere una riflessione su qualcosa che vada al di là del pur importantissimo snodo della formazione dei docenti e del loro reclutamento, sul quale pare essersi per ora esclusivamente concentrato il Governo. Vale a dire che la riforma dei cicli, o almeno un loro aggiustamento, la formulazione di indicazioni programmatiche adeguate e percorsi di aggiornamento degli insegnanti in servizio dovrebbero seguire, o forse meglio accompagnare, il percorso intrapreso di stabilizzazione dei precari.
Infine, Walter Panciera dell’Università di Padova ha chiuso la giornata illustrando alcune idee elaborate dalla Commissione didattica della SISEM per la creazione di un nuovo e coerente curriculum di storia, dalla scuola dell’infanzia al liceo, e per la formazione dei docenti.

Le incertezze che ancora gravano sul percorso meritoriamente intrapreso qualche mese fa dal Governo rendono difficile, in questo momento, poter valutare quale ascolto e quale impatto questo tipo di proposte potranno avere. È lecito avanzare qualche dubbio sull’effettiva volontà della politica di mettere mano a una riforma organica della scuola, vuoi per gli scarsissimi mezzi a disposizione, vuoi per alcune ambiguità che ancora pesano sul discorso pubblico in tema di istruzione ed educazione. Quello su cui tutti i presenti all’incontro di Roma concordano è però la necessità di proposte pragmatiche e aggiornate, sul doppio binario della formazione dei docenti e del rinnovamento dei programmi didattici. Un’idea largamente condivisa è che in ogni ambito di intervento sul sistema di istruzione, oltre a consultazioni più o meno allargate, sia necessario aprire dei tavoli di lavoro su obiettivi concreti e senza pregiudiziali.

La strada della Buona Scuola è ancora lunga, ma le aspettative sono molte e gli obiettivi di riforma devono dunque puntare in alto, senza aver paura di ridisegnare gli ambienti, i percorsi e i metodi con i quali formare oggi dei cittadini consapevoli, oltre che adeguatamente istruiti.

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Immagine in testata di Lettera43

Walter Panciera

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