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Nello specchio della scuola – Intervista a Patrizio Bianchi

Pubblicato il: 09/12/2020 07:04:08 -


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Patrizio Bianchi è professore ordinario di Economia Applicata e titolare della Cattedra Unesco in Educazione, Crescita ed Eguaglianza presso l’Università di Ferrara, dove è stato Rettore fino al 2010. È stato Assessore a scuola, università, ricerca, formazione e lavoro della regione Emilia-Romagna fino agli inizi del 2020. Ha recentemente coordinato il Comitato degli esperti presso il Ministero dell’istruzione[1].

Con il libro Nello Specchio della Scuola, Il Mulino 2020, Patrizio Bianchi non solo traccia un quadro generale, anche storico, del rapporto scuola-società, ma prospetta un sistema di riforme organiche in gran parte coincidenti con quelle formulate dal Comitato da lui diretto

L’epidemia del COVID19 ha reso evidenti e aggravato le debolezze e le disfunzioni del sistema scolastico. Pensare alla ‘Next Generation’ significa però non solo restaurare, ma promuovere un sistema organico di riforme. Perché è necessario?

La scuola è il pilastro dello sviluppo; lo sviluppo è conoscenza, ma conoscenza diffusa, partecipata, e inclusiva e solo una scuola aperta, democratica e pienamente inclusiva può garantire una base per una crescita che coinvolga l’intero Paese, l’intera società. Chi non investe in educazione si condanna alla stagnazione perpetua, e purtroppo è il caso dell’Italia di questi ultimi anni a richiamarci a questo duro monito. Pensare alla scuola per le Next Generations significa non accontentarci più della situazione preesistente, un’Italia che lasciava indietro troppe persone, troppi giovani. e quindi non aveva le forze intellettuali, competenti e sufficienti per sostenere un grande disegno di rilancio, oltre la palude della stagnazione, oltre il Covid e oltre le nostre paure.

Il suo libro colloca il problema della scuola e della sua funzione nel contesto sociale ed economico sia storicamente sia in prospettiva. La scuola ha una gamma di finalità tutte irrinunciabili, ma da o integrare. Lei le riassume nel suo schema della “la rosa dei venti” . Perché, contrariamente a certe opinioni, lo sviluppo della persona e lo sviluppo economico non sono incompatibili?

RISPOSTA: Le quattro storiche missioni della scuola – preparazione delle classi dirigenti, le leadership, lo sviluppo della persona e della comunità nel suo insieme, la predisposizione per uno sviluppo umano e inclusivo – oggi più che mai sono parte integrante di una visione dello sviluppo economico che richiede persone pienamente consapevoli di sé stesse e capaci di partecipare alla vita collettiva della nostra comunità nazionale ed europea. Non solo non vi è contraddizione fra sviluppo della persona – della coscienza di sé stessi, della conoscenza di sé stessi – e uno sviluppo che sempre più richiede persone aventi visione del futuro e capacità di fare comunità .

Dal punto di vista del governo della scuola le ritiene una  scelta strategica il rilancio dell’autonomia, promossa da Luigi Berlinguer alla fine del secolo scorso, ma in buona parte disattesa. Perchè non è solo un problema amministrativo, ma di politica generale?

’articolo 21 della Legge 59/1997 delineava un’autonomia scolastica come parte integrante, direi fondante, di un rinnovamento profondo della società italiana in previsione di cambiamenti epocali, come l’entrata fin da subito nella moneta unica e la globalizzazione dell’economia italiana ed europea. Una trasformazione profonda della società italiana che in realtà richiedeva massicci investimenti in educazione, in particolare dopo la crisi del 2009-2011, crisi della illusione nefasta che si potesse avere una crescita centrata sulla speculazione finanziaria, senza porre il lavoro al centro di un nuovo ordine mondiale. Proprio in quegli anni cruciali il nostro Paese ha vissuto la drammatica crisi fiscale dello Stato e quindi il rischio di un default, a cui si è reagito con un drastico taglio della spesa pubblica, colpendo proprio l’istruzione e la ricerca. Come esito siamo giunti impreparati a questa vicenda Covid, che ha messo in evidenza i ritardi digitali delle nostre persone. Riaprire il cantiere Autonomia scolastica oggi vuol dire più che mai riaprire il dialogo con il territorio attraverso Patti educativi di comunità, che ristabiliscano la passione collettiva di una comunità per la propria scuola e nel contempo la partecipazione e condivisione di una scuola che venga vista come luogo dell’integrazione e dell’inclusione sociale come base di un nuovo sviluppo.

Nel discutere dell’assetto generale della scuole e in particolare della secondaria superiore lei sostiene la necessità di scegliere un modello ‘tedesco’ (ma anche scandinavo): il parallelismo fra un percorso ‘accademico’(Licei in particolare) ridotto a 4 anni e un percorso professionalizzante, che parta dalla prima qualifica a 16 anni fino al sistema postsecondario/terziario degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), che lei propone di rinominare Istituti Superiori di Tecnologie Applicate. Come deve essere ridisegnato questo secondo percorso?

RISPOSTA: nella mia esperienza di Assessore a scuola, formazione e lavoro della Regione Emilia-Romagna ho visto nella formazione professionale una leva necessaria per ridurre la dispersione, dando a ognuno un’opportunità, ma essenziale per uno sviluppo ampio e inclusivo. D’altra parte questa offerta è distribuita in modo ineguale in Italia, e in particolare proprio in quelle regioni in cui più ve ne sarebbe più necessità. Per questo un Piano nazionale che riprenda l’attenzione per l’intero comparto tecnico e professionale, fino all’ITS, che deve essere riconosciuto come perno di una crescita tale da coinvolgere l’intero Paese. In questo piano le tematiche sono chiare: 1) Il rapporto tra istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale, costruendo percorsi personalizzati che possano –con dovuto accompagnamento e orientamento –  portare i ragazzi verso esperienze d’inserimento lavorativo, necessarie per lo sviluppo delle stesse imprese; 2) un deciso rilancio degli ITS, con un obiettivo di almeno 150 mila iscritti in 5 anni; 3) un ridisegno del rapporto fra Stato e Regioni, anche con confini variabili in ragione delle effettive disponibilità e capacità delle Regioni per costruire una rete nazionale di formazione, che permetta di costituire un’infrastruttura necessaria per la crescita di tutti.

Gli ITS dovrebbero dunque diventare il vero punto forte della formazione specialistica non accademica. Ma siamo ben lontano da questo: come arrivarci?

Gli ITS sono stati un’intuizione importante, che tuttavia non è stata finora colta in tutta la sua rilevanza, mantenendoci lontani dai risultati raggiunti in altri Paesi. Tuttavia è ora di realizzare un salto di qualità e quantità in un’offerta didattica che si sta dimostrando molto articolata e diversificata sul territorio nazionale. Considerando la natura degli ITS  – fondazione di diritto privato con partecipanti pubblici e privati – vi sono tre questioni da sviluppare: 1) il  personale, 2) le strutture e il finanziamento, 3) il valore del titolo e il coordinamento nazionale, trovando il referente nel governo, ora che il MIUR è stato separato nuovamente. Dopo 10 anni è ora di darsi obiettivi di sistema e presentare a tutto il Paese questa come un’offerta strutturata e a disposizione di tutti i ragazzi del Paese.

Una conseguenza del mancato sviluppo dell’autonomia è l’assoluta rigidità della struttura curricolare. Non ci sono pratiche, comuni in molti sistemi scolastici, come la modulazione delle discipline, la possibilità di scelte in itinere degli studenti, tutte concentrate nella iniziale scelta del tipo di scuola, lo sviluppo organico di collegamenti fra didattica scolastica e il contesto esterno. Quale strategia seguire per un sistema più aperto, dinamico, culturalmente forte?

In questi anni sono state sviluppate moltissime esperienze avanzate, che però non sono diventate patrimonio comune del Paese. In questo autonomia, patti territoriali di comunità e innovazione curricolare sono temi fra loro strettamente legati. Su questi contenuti ricordo la proposta avanzata dal Comitato degli esperti del Ministero dell’Istruzione, che ha consegnato il proprio documento finale lo scorso 13 luglio, che prevedeva proprio come  la rimodulazione delle discipline e il rapporto con l’esterno passasse per una forte tensione verso la costruzione di comunità aperte, inclusive e dinamiche, in particolare attraverso ‘materie’ che potremmo definire CAMPUS, quindi Computer/coding, arte e musica, ‘public life’, e sport inteso come educazione alla conoscenza del proprio corpo. Tuttavia il perno resta l’autonomia scolastica e l’enfasi che autonomia non significa abbandonare ognuno a se stesso ma il suo contrario, cioè la definizione di obiettivi nazionali da raggiungere da parte di tutti i ragazzi del nostro Paese,  offrendo nel contempo  a ognuno gli strumenti e le risorse per poterli raggiungere, come base di una democrazia matura che vuole dare a ognuno il modo per realizzare se stesso e per partecipare attivamente alla vita della comunità. Questo è il momento del coraggio e della lungimiranza: solo guardando lontano si può uscire dall’emergenza e solo pensando alle nuove generazioni possiamo avere la forza per spingere noi stessi oltre al cammino finora seguito.

Il problema della digitalizzazione è da lei esaminato sia come una rivisitazione della didattica, sia come un problema cruciale di competenze presenti nella società. Cita una impressionante tabella del documento della Commissione europea sulla Digital Economy and Society Index, che rivela come l’Italia sia l’ultimo Paese in Europa per la disponibilità di competenze adeguate alla società della comunicazione. È un grande problema: come affrontarlo?

Siamo giunti in ritardo all’appuntamento con il Covid, che c ha costretto a  dimostrare la nostra maturità nell’uso di tutti gli strumenti digitali. In realtà abbiamo capito che tutto il Paese era in arretrato sul passo della storia e stiamo capendo che la dotazione di competenze di cui oggi disponiamo non è adeguata a sostenere un nuovo sviluppo umano, sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale. Per questo bisogna affrontare con coraggio questa nuova fase con un grande piano nazionale per affrontare le vecchie e nuove povertà educative del Paese, utilizzando tutti gli strumenti che il nostro tempo pone a nostra disposizione, ampliando la nostra capacità di comprendere questo mondo mai così complesso, ma soprattutto proponendoci come costruttori di comunità in questa fase così incerta e conflittuale.

[1] Il Comitato ha individuato le questioni fondamentali da affrontare nell’ambito del Next Generation Plan e suggerito un ampio e organico insieme di misure.  Patrizio Bianchi, che lo ha coordinato, ne illustra le ragioni e la struttura nell’ultimo capitolo del suo libro. Qui lo riportiamo in sintesi:

Povertà educativa e dispersione scolastica

  1. Un grande piano nazionale contro la dispersione scolastica, per recuperare quanti hanno abbandonato o sono a rischio di abbandono.
  2. Un rilancio dell’istruzione e della formazione professionali per diffondere nel Paese una base di competenze al passo con i tempi e ridurre lo spreco dei talenti.
  3. Un progetto di alfabetizzazione digitale, che costituisca il punto di partenza di percorsi di formazione permanente che coinvolgano tutta la popolazione.
  4. La rivisitazione e il rilancio delle norme sull’autonomia.

Autonomia e territorio

  1. La messa a disposizione di risorse finanziarie e umane adeguate, con un piano nazionale di architettura scolastica coerente con i nuovi bisogni educativi.
  2. La definizione dei rapporti fra Amministrazione Centrale, Regioni, Comuni e Province per garantire all’autonomia strutture adeguate.

Le persone al centro del  nostro sviluppo

  1. L’elaborazione di un piano per il diritto allo studio e l’accesso alle nuove tecnologie.
  2. La ridefinizione di contenuti, curricula e durata degli studi.
  3. La preparazione degli insegnanti, dei dirigenti e di tutto il personale.
  4. La partecipazione delle famiglie e il rilancio degli organi collegiali.

Mario Fierli

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