I dirigenti scolastici della “Buona scuola”
Saranno i dirigenti scolastici la leva sulla quale il Governo (e se vi sarà consenso, il Parlamento) punterà nell’immediato per iniziare a realizzare l’ambizioso progetto di riforma del sistema di istruzione e formazione.
La “buona scuola” è un progetto non semplice da decifrare. Da una parte infatti, dopo lunghi anni di tagli, la riforma si presenta come una manovra espansiva sia sulle risorse generali sia sull’incremento del personale da assumere, dall’altra nell’art. 21, elenca una lunga e importantissima serie di materie di delega, delle quali conosciamo solo i titoli, che impegneranno il Governo (con il parere della Conferenza Stato Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari) almeno per un anno e mezzo dopo l’approvazione del DDL. Tutto ciò, mentre l’intero mondo della scuola, e non solo, vorrebbe un confronto a tutto campo su una riforma complessa che aspira ad essere di profondo mutamento.
I dirigenti scolastici cui fa riferimento il DDL, fin dall’art. 2 del provvedimento, sono gli attuali dirigenti scolastici; il “riordino delle modalità di assunzione e formazione dei dirigenti scolastici, nonché del sistema di valutazione degli stessi in conseguenza del rafforzamento delle loro funzioni…” costituiscono infatti una delle tante deleghe dell’art. 21.
Eppure a ben leggere gli articoli 3, 4, 7, 9, 11, è del tutto evidente che, con l’approvazione del DDL, gli attuali dirigenti scolastici si ritroveranno ad avere da subito poteri ed ambiti di intervento finora mai esercitati e riconosciuti: potere di nomina dei docenti dell’organico funzionale, di premiare il merito dei docenti, di ridurre il numero di alunni per classe “allo scopo di migliorare la qualità didattica”.
Più in generale, accanto alle note competenze di tipo gestionale ed organizzativo, si legge nel provvedimento una marcata connotazione del DS nell’ambito educativo e persino didattico. I “bilanciamenti” democratici di questi nuovi poteri sono del tutto aleatori e formali.
Bisognerà attendere il quadro di riforma dell’organizzazione della scuola autonoma, materia anche questa oggetto di delega, per capire il modello di governance che potrà prendere forma nella scuola dei prossimi anni. Inutile sottolineare che questa “asimmetria” del processo, che rafforza i DS senza nessun immediato contrappeso, rischia di avere ripercussioni rilevanti nella vita della scuola. Non a caso questo è uno dei punti fondamentali delle critiche che in questi giorni sindacati ed associazioni hanno espresso nei confronti del DDL.
Ma qual è il profilo di questo DS?
Rileggendo gli articoli citati, sembra di riscontrare una sostanziale identità con il profilo attuale (art. 25-bis del D,lgs. 59/98 e D.lgs. 165/2001). Ma se le nuove norme in questione lasciano una certa ambiguità interpretativa, sono alcune dichiarazioni del sottosegretario Faraone e, molto più marginali, del Ministro Giannini, a fornire qualche traccia interessante.
Anche questo, se vogliamo, è un aspetto bizzarro di questa riforma. La “buona scuola” è infatti direttamente intestata al Presidente del Consiglio Renzi e al sottosegretario Faraone, con una evidente marginalità politica del titolare di Viale Trastevere. Non si era mai visto.
Ebbene, il dott. Faraone, in più di una occasione, ha voluto sottolineare il carattere di questi “presidi-sindaci”, espressione del tutto nuova per i dirigenti scolastici. E il Ministro Giannini, molto più defilata, ha accennato a una figura paragonabile ai rettori di università.
Se queste intenzioni accennate hanno un senso, la prima considerazione che viene da fare è che con la buona scuola tramonta definitivamente ogni aspettativa (per chi l’avesse coltivata) di equiparazione/aggancio con la dirigenza dello Stato. Le due figure evocate, infatti, presentano certo differenze non irrilevanti ma convergono su un punto: sono ambedue figure elettive e sono entrambe figure “ a termine”. I sindaci sono eletti dai cittadini e durano in carica 5 anni, con una possibilità di duplicare il mandato una volta; il rettore è eletto dalle componenti di ateneo (docenti, ATA, rappresentanti degli studenti e degli organi interni, ecc) e dura in carica 6 anni senza possibilità di essere rieletto.
Non sappiamo se questa sia solo un’interpretazione forzata del pensiero ma certo non può essere liquidata come una reminiscenza del tempo passato perché, anzi, è del tutto “moderna”. Quando negli anni ’70-80 si evocò per una breve stagione il preside elettivo, le dinamiche muovevano dalla domanda di potere della gestione assembleare e diretta (nella scuola e non solo). Quella stagione scomparve con la fine di quella suggestione. Oggi, questa lettura sta tutta dentro la personalizzazione estrema della politica e l’enfatizzazione della leadership come chiave del successo nella società di mercato.
Del resto la questione della leadership dei DS è da tempo al centro di molte elaborazioni e con molte varianti: da quella marcatamente manageriale, enfatizzata per premere strumentalmente verso l’obiettivo finale (l’equiparazione appunto con la dirigenza dello stato) a quella intesa come risorsa da distribuire in un processo di partecipazione diffusa.
Antonio Valentino, con grande generosità e sulla scia delle elaborazioni di Piero Romei, si è spinto a definirla “leadership democratica”.
Per approfondire leggi la continuazione dell’articolo dell’autore
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Immagine in testata tratta da l’Arena.it
Dario Missaglia