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La lezione simulata come prova di concorso

Pubblicato il: 06/05/2013 12:29:58 -


L’inserimento della lezione simulata tra le prove del concorso, certamente apprezzabile per l’attenzione data alla competenza fondamentale del docente, sollecita alcune osservazioni e richiede la considerazione di alcuni limiti.
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La nuova procedura di reclutamento dei docenti prevede lo svolgimento di una lezione simulata, seguita da un colloquio di approfondimento metodologico-didattico.

L’analisi del dispositivo del bando consente di enucleare alcuni passaggi-chiave significativi delle dimensioni culturali e professionali richieste al candidato e, in particolare, delle competenze didattiche e metadidattiche attese.

Sul piano didattico, si possono considerare certamente le competenze nella progettazione, nell’utilizzo delle discipline in funzione formativa; nell’allestimento di ambienti di apprendimento stimolanti e motivanti; nella gestione della relazione educativa e nella conduzione dei gruppi di apprendimento; nell’utilizzo di mediatori didattici differenti, in modo specifico tecnologici, per supportare azioni didattiche e processi di apprendimento; nell’adozione di metodologie individualizzate e personalizzate mirate, in risposta ai bisogni educativi particolari e talvolta speciali.

In questo ambito la competenza nel “fare lezione” occupa certamente un posto di rilievo e si concretizza nella “lezione simulata”, in cui non possono mancare alcune funzioni pedagogiche e azioni didattiche, essenziali per l’attivazione dei processi di apprendimento e fondamentali per garantire, realmente, condizioni ottimali per il successo formativo di ciascun alunno, e unitarietà ed equità dei processi educativi.

Al docente è richiesto di dimostrare, attraverso la simulazione, di saper attuare le azioni didattiche richieste dai diversi momenti dell’interazione con gli alunni: dalle azioni di stimolo per l’attivazione dei processi attentivi e motivazionali, alla presentazione del compito, alla promozione della partecipazione attiva degli alunni, all’orientamento dei processi di apprendimento e alle azioni di scaffolding cognitivo e affettivo, alla spiegazione, al feedback regolativo e orientativo, alle azioni di transfer per la formazione di competenze, alle esercitazioni per la ritenzione, alla verifica…

Sul piano metadidattico, al docente si chiede di dimostrare di saper utilizzare “in situazione” i modelli teorici e le metodologie appresi e di recuperarli dopo la lezione, nel colloquio successivo, in cui sono approfonditi i contenuti e le scelte didattiche utilizzati nella simulazione e mediati dai principali approcci sperimentati in campo educativo.

Ma cosa significa “fare lezione”?

“Fare lezione” coincide, in larga parte, con l’assumere azioni didattiche attraverso il comportamento verbale, e “insegnare”, nella maggior parte del processo di insegnamento-apprendimento, equivale a “parlare”, ad assumere, cioè, comportamenti di intervento didattico finalizzati a produrre l’apprendimento, vale a dire l’acquisizione di abilità cognitive, affettive, sociali. Esistono in letteratura molti studi sul “fare lezione” e sui tipi di “lezione”. Come riepilogava già G. Ballanti nel 1975, in una classificazione di sintesi ancora attuale, la lezione può assumere le seguenti forme:
– la lezione trasmissiva, che richiede il solo ascolto o l’attenzione degli alunni;
– la lezione-esercitazione, che sollecita la partecipazione degli alunni;
– la lezione-attività di gruppo, che promuove l’apprendimento attraverso l’interazione di gruppo;
– la lezione-ricerca, che impegna gli alunni in situazioni di apprendimento tipiche del problem solving cognitivo.

Le forme di lezione indicate si differenziano anche per le azioni didattiche “dominanti” nel comportamento insegnante: dalla spiegazione/esposizione nella lezione trasmissiva, al feedback e controllo delle prestazioni nella lezione-esercitazione, alle funzioni di guida, mediazione, orientamento nella lezione-attività di gruppo e nella lezione-ricerca.

La critica pedagogica recente e le principali ricerche nel campo dell’apprendimento scolastico hanno dimostrato chiaramente i limiti della lezione trasmissiva, utilizzabile, soprattutto, come momento finale di un percorso, in funzione riassuntivo-espositiva; ad esempio, come sintesi al termine di un’attività o di un compito di apprendimento, quale momento finale della “lezione”, oppure nella restituzione di un lavoro di gruppo o dei risultati di una ricerca, gestito dall’insegnante, ma praticabile anche dai singoli alunni.

È chiaro, perciò, che “fare lezione” comprende azioni didattiche differenti e aggiuntive rispetto alla semplice spiegazione del docente e include, necessariamente, la partecipazione degli alunni al processo di interazione verbale di classe (fanno domande, formulano ipotesi, ricercano, progettano, chiedono aiuto o conferme…).

Limiti della lezione simulata nella procedura concorsuale

Gli aspetti considerati evidenziano come la simulazione della lezione, nella procedura concorsuale, pur apprezzabile per l’attenzione posta al “saper fare” del docente, ossia alla sua “competenza” tecnico-professionale fondamentale, presenti, tuttavia, alcuni limiti importanti, che richiedono un’attenta considerazione, da parte dei candidati durante la preparazione e nella simulazione della lezione, e della commissione giudicatrice nella valutazione della stessa prova.

Il primo limite è legato al fatto che nella simulazione mancano gli alunni, manca cioè la parte dinamica e interattiva della lezione, relativa alle azioni e ai comportamenti assunti dagli alunni nella situazione didattica.
Ogni esperienza didattica significativa è un evento complesso, nel quale interagiscono almeno quattro elementi principali: l’insegnante, l’alunno, la disciplina, il contesto.
L’assenza degli alunni, dei loro pensieri, sentimenti e azioni, genera il rischio di uno sbilanciamento della simulazione verso la forma trasmissiva, per cui l’assenza di azioni didattiche fondamentali, richieste dai momenti di interazione (dare il feedback, guidare, approvare, rinforzare, individualizzare,…), fa aumentare le azioni didattiche tipiche della lezione trasmissiva (spiega, espone, trasmette conoscenze).

Il secondo limite riguarda proprio la focalizzazione sul “fare lezione”, ossia sull’insegnamento diretto, riferito all’agire in prima persona con gli alunni, attraverso, soprattutto, l’interazione verbale.
L’attenzione a questo aspetto pone in secondo piano l’insegnamento indiretto, relativo alla predisposizione dell’ambiente di apprendimento, alle scelte progettuali e organizzative operate dall’insegnante, che precedono l’insegnamento diretto (l’attività d’aula) e che richiedono, invece, un necessario recupero, in quanto fattori importanti del processo di insegnamento-apprendimento ed elementi significativi della professionalità docente.

Questi limiti assumono maggiore rilevanza se si considera, invece, la centralità e l’importanza dell’ambiente di apprendimento e di approcci didattici attivi, cooperativi e laboratoriali per la promozione del successo, così come suggeriscono la ricerca didattica, le stesse Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e del I ciclo e per i Licei e le Linee Guida per gli Istituti Tecnici e per gli Istituti Professionali.

È opportuno che nella “lezione” vengano recuperati i momenti didattici fondamentali che impegnano il docente: dalla progettazione e organizzazione dell’ambiente di apprendimento (prima), allo svolgimento di funzioni pedagogiche e azioni didattiche importanti (durante), alla riflessione sulle situazioni osservate, sui punti di forza rilevati e sulle criticità emerse (dopo).

(Rielaborazione da “Fare lezione nella scuola primaria – 15 lezioni simulate e suggerimenti metodologico-didattici per il colloquio” di Antonia Carlini, Tecnodid Editore, Napoli, 2013.)

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Immagine in testata di pixabay (licenza free to share)

Antonia Carlini

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