Investire in istruzione e “derivati”
Ripubblichiamo l'articolo di Franco De Anna apparso su Education 2.0 il 21 maggio accompagnato da un ricco saggio dell'autore.
Investire nell’istruzione e nella scuola, oggi, è come investire in “derivati”. Prodotti a rischio, o meglio che impacchettano i rischi confidando che la loro ripartizione suddivida il rischio stesso garantendo rendimenti. Certo non una cattiva idea, in linea di principio. Ma sappiamo come è andata tra assenza di controlli adeguati al mercato, e una combinazione varia di opportunismi bancari, illusioni dei piccoli e diffusi acquirenti, vero e proprio banditismo finanziario.
Se non si “spacchettano” i derivati, mettendone sotto controllo la composizione di rischio, sappiamo purtroppo, per esperienza bruciante, che cosa possa succedere. Prima o poi. In termini strettamente economici ciò che in passato (il passato di tanti di noi che discettano di scuola) dava all’investimento in istruzione (pubblico e delle famiglie) una sostanziale e socialmente condivisa certezza di redditività, erano in sostanza due elementi interconnessi. Il primo era costituito, in una fase di sviluppo economico come quella conosciuta nel dopoguerra, dalla concreta possibilità di trasferire il valore potenziale della conoscenza e delle competenze acquisite nell’istruzione in “valore aggiunto” nella produzione del reddito (occupazione e qualità dei processi produttivi, composizione tecnica della produzione stessa). Il secondo era la percezione sociale dell’istruzione come canale sufficientemente certo di mobilità sociale verso l’alto. I figli più istruiti sarebbero vissuti meglio dei padri.
Ciò che oggi rende “a rischio” l’investimento in istruzione (pubblico e delle famiglie) è il venire meno innanzi tutto di quelle due condizioni. Non è affatto certo che il potenziale della conoscenza e delle competenze acquisite con l’istruzione si trasferisca organicamente in valore aggiunto nello sviluppo del reddito e, sull’altro fronte, “l’ascensore sociale” tanto invocato si è fatto in realtà assai stretto (come del resto tutti gli ascensori: occorrerebbe maggiore circospezione nell’uso disinvolto di metafore). Si può salire, ma in pochi.
Naturalmente l’approccio economico non è certo esaustivo, e nemmeno il più importante: la cultura, la formazione sono valori “non funzionali”. Sono valori in sé da perseguire comunque. A condizione che siano condivisi socialmente. Si abbia il coraggio però di comprendere che non è affatto detto che, oggi, investire in istruzione (e farlo per tutti) sia “redditivo”. È invece un investimento a rischio. Come i derivati, appunto.
Che indice si può dare del rischio connesso a un investimento? Quello usuale per i derivati. Per esempio il rapporto tra la dimensione finanziaria dell’investimento stesso e il valore del patrimonio che è sottostante. Più è alto tale rapporto, maggiore è il rischio. Nel “derivato-istruzione” sono impacchettate diverse componenti con diversi livelli di rischio. Se si vuole promuovere investimento in istruzione e condivisione sulla sua necessità, occorre discriminare gli elementi di rischio e riconnetterli al “patrimonio”: non sono proibiti gli investimenti a rischio, ma va recuperata una “razionalità decisoria” in proposito, soprattutto in una fase di risorse vieppiù limitate.
Per impostare una politica di investimento (e non solo di spesa) nell’istruzione occorre perciò innanzi tutto guardare al “patrimonio” costituito dal sistema nazionale di istruzione e intervenire su di esso per rendere credibile la sua “garanzia” rispetto all’investimento stesso. La radicalità della crisi non consente né la superficialità della “politica contingente”, né la pura e semplice riproposizione del “patrimonio” così come è.
La crisi, lasciata alla sua dinamica, “toserà” tutti i patrimoni. Ma il patrimonio “istruzione” ha molte componenti, non solo materiali (come sempre tutti i “patrimoni” a ben guardare). Strutture, professionalità, know how, ma anche quella fondamentale della “funzionalità sociale” e del grado di riconoscimento e del grado di fiducia dei cittadini che sono, in ultima analisi, gli “investitori”, costituiscono altrettanti oggetti di analisi del patrimonio.
L’interrogativo di cui sopra ha dunque una dimensione squisitamente “politica” con la quale cimentarsi.
Il saggio di Franco De Anna, L’investimento in istruzione
Franco De Anna