L’insostenibile leggerezza delle riforme (prima parte)
Licei, istruzione tecnica e professionale: dopo molte false partenze inizia una nuova stagione di un problematico riordino delle scuole secondarie superiori in Italia.
Dopo le stagioni riformatrici dei Ministri Berlinguer e Moratti e una norma quadro voluta da Fioroni nel 2007 per la riorganizzazione dell’istruzione tecnica e professionale, dal 1° settembre 2010 iniziano, con il solo primo anno, i percorsi educativi previsti dai regolamenti del Ministro Gelmini per l’intera fascia dell’istruzione secondaria di secondo grado.
Un terreno, dunque, più volte arato e analizzato in tutte le sue componenti, ma che non ha potuto accogliere, per contingenze varie, le nuove sementi proposte. L’angolatura da cui partono i regolamenti è stata dettata, com’è noto, dalla legge finanziaria del 2008 che ha sentito l’esigenza di collegare, nell’art. 64, la “ridefinizione dei curricoli vigenti”, con particolare riferimento a quelli degli istituti tecnici e professionali, alla “razionalizzazione e all’accorpamento delle classi di concorso”.
Il collegamento, ovviamente, c’è ed è stringente perché un sensibile contenimento dei quadri orari o settimanali dei vari insegnamenti – auspicato in diversa misura anche dai precedenti interventi riformatori con il passaggio da 36 ore medie settimanali a 32 ore – determina una diminuzione della consistenza complessiva degli organici del personale della scuola. A questo va aggiunto che l’intervento sulle classi di concorso può essere operato solo nella fascia della secondaria, dove sono numerosissime sia nell’ordine tecnico che in quello professionale.
Certo l’elemento imprescindibile di ogni intervento riformatore nella scuola e no è la sua sostenibilità finanziaria e la necessità di un più flessibile impiego delle risorse umane, ma proprio l’ultimo decennio della scuola italiana può essere rappresentato da un grafico a montagne russe sul tema della sostenibilità finanziaria delle varie azioni amministrative ed educative. E allora se è vero che è trascorso il primo decennio del nuovo secolo senza che sia stato realizzato il necessario rilancio culturale dell’istruzione tecnica, senza l’attuazione del dettato costituzionale sull’istruzione professionale e non solo e, conseguentemente, senza un riordino complessivo delle centinaia di percorsi ordinamentali e sperimentali in una visione più moderna e sistemica, è, tuttavia, anche vero che sul fronte delle risorse umane è stato realizzato un contenimento dei quadri organici del personale della scuola, perseguito in tutte le legislature di questo periodo, e, contemporaneamente, un assorbimento molto lontano da una situazione ottimale del precariato scolastico.
Non era scontato, anche con la diminuzione della popolazione scolastica: non era scontato perché proprio la parcellizzazione delle classi di concorso e la proliferazione di percorsi sperimentali – i due mali che i regolamenti sulla secondaria superiore intendono curare – potevano ostacolare fortemente il contenimento della spesa, lasciando pressoché inalterata la consistenza degli organici.
In realtà la scuola italiana, nel periodo di flessione delle iscrizioni, aveva già manovrato su tre leve per raggiungere un livello accettabile di sostenibilità finanziaria del sistema di istruzione:
1. il ridimensionamento della rete scolastica, le istituzioni sono passate, tra il 1999 e il 2000, da più di 14.000 unità a poco più di 10.000
2. il progressivo aumento degli alunni per classe
3. il contenimento consequenziale degli organici.
Queste azioni hanno consentito di dare le risposte possibili agli altri due grandi e connessi problemi: il reclutamento (gli ultimi concorsi a cattedra sono appunto quelli del 2000) e il precariato (l’ultima significativa quota di contratti a tempo indeterminato è quella del 2007).
Ora il riordino della secondaria superiore interviene in una fase di incremento della popolazione scolastica – negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento di circa 30.000 alunni l’anno e la secondaria superiore è arrivata a toccare la quota record di 2.549.000 – e certamente dovrà dare una risposta anche in termini di reclutamento di personale scolastico e di progressivo assorbimento del precariato strutturale. In termini aziendalistici suonerebbe come un paradosso la predisposizione di un piano di esuberi in una fase di incremento della domanda!
Il sistema di istruzione in Italia è articolato e complesso con circa un milione di addetti tra le varie categorie di personale nella scuola pubblica, essendo pressoché marginale l’iniziativa dei privati in questo settore.
Collegare la riforma della secondaria superiore a una razionalizzazione della spesa è senz’altro opportuno e necessario, ma la sottovalutazione delle ricadute occupazionali nella concretezza del quadro che si è andato delineando in quest’ultimo decennio rischia di non dotare la riforma stessa delle necessarie risorse umane, i veri protagonisti dell’attuazione di ogni impianto riformatore.
Giuseppe Fiori