Home » Politiche educative » Le idee del governo su cosa si dovrebbe imparare nella “buona scuola”

Le idee del governo su cosa si dovrebbe imparare nella “buona scuola”

Pubblicato il: 13/10/2014 14:30:50 -


Il governo non promette di cambiare l’impianto educativo-culturale della “buona scuola”. Propone invece la sua manutenzione e nel documento non mancano spunti per la realizzazione pratica, ma l’approccio non è molto sistematico. Ci sono inoltre questioni cruciali, di cui non si parla.
Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Il documento sulla “buona scuola” non è un progetto di riforma. Infatti (Punto 4) punta alla piena realizzazione degli ordinamenti vigenti e al miglioramento di alcuni loro meccanismi (come i passaggi da un livello ai successivi). Quindi niente ridefinizione dei profili educativi e culturali, delle competenze e degli obiettivi delle discipline. Tuttavia il documento si occupa in qualche modo di piani di studio, accenna a un modello curricolare da realizzare con l’autonomia, e, in ultima analisi, fa emergere anche una scelta culturale. Vediamo come, riferendoci a due punti del documento: Ripensare ciò che s’impara a scuola (4) e Fondata sul lavoro (5).

Saperi da rinforzare
Sono sei gli specifici aspetti/discipline carenti e da rinforzare nei piani di studio: musica, arte, lingua straniera, educazione fisica, economia e informatica.
Come farlo e in quali ordini di scuole non è chiarissimo. In alcuni casi (arte nel biennio dei licei, musica in IV e V elementare, educazione fisica nelle elementari) si parla di “introdurre” una o più ore di discipline, attualmente non previste o di rinforzo di discipline esistenti, ricorrendo a competenze reperibili nelle nuove assunzioni. In altri (lingua straniera, economia, informatica) non s’indicano soluzioni specifiche.
La parte dedicata all’informatica è forse l’unica in qualche modo nuova e sposa le tesi di recenti movimenti socio-tecnici: puntare sulla formazione di una generazione di “makers” dotati della capacità e della mentalità necessaria per risolvere problemi mediante la creazione di nuove applicazioni delle tecnologie.
Invece non si dice nulla su un problema enorme, molto dibattuto e largamente irrisolto: il ruolo della scuola nell’educazione all’uso sensato ed efficace dei comuni strumenti informatici, nella vita, nel lavoro e nell’apprendimento. E di questo occorrerà discutere più a fondo.

Un accenno di modello curricolare

In generale si propone, in modo informale, il modello del curricolo a strati: un nucleo di saperi essenziali e un’area variabile con diverse funzioni (approfondimenti, nuove discipline, ecc.). Si ha l’impressione che tutto il curricolo, inclusa l’area variabile, sia vista essenzialmente come un gioco nello scacchiere delle discipline. Se si debbono prendere sul serio i richiamo alla creatività e al problem solving, invece, occorre parlare di metodi e strategie didattiche: impegno in progetti complessi essenzialmente interdisciplinari, apprendimenti basati sull’indagine, individualizzazione e/o lavoro in piccoli gruppi e quant’altro le esperienze più avanzate ci hanno insegnato.

Qualcosa che nel documento non c’è

La scuola, oramai da tempo, non è l’unico luogo in cui si acquisiscono conoscenze e in cui si propongono contenuti e linguaggi. Molti di questi, forse la maggior parte, vengono proposti altrove. Si parla emblematicamente di Internet, ma ci sono infiniti contesti e situazioni in cui si apprende anche se in modo informale o non formale.
Qualcuno ha suggerito la metafora di ecosistema dell’apprendimento. La scuola è il punto forte di questo ecosistema e, proprio per questo non deve creare barriere difensive né consegnarsi passivamente, senza una strategia, agli stimoli esterni. Deve dare agli studenti gli strumenti per muoversi in modo sensato ed efficace nella società della comunicazione e della cultura e, nello stesso tempo, incorporare nelle proprie pratiche gli strumenti che essa offre. È un’impresa decisiva che richiede la cooperazione fra la scuola e una grande varietà di soggetti (istituzioni di ricerca, musei, imprese, organizzazioni di comunicazione di massa) e una specifica politica di governo.


L’autonomia
Per raggiungere gli obiettivi del miglioramento e della piena realizzazione dei curricoli si punta sull’attuazione totale dell’autonomia perché, si afferma, ciò che s’impara a scuola dipende più dalla piena capacità delle scuole di organizzare le proprie risorse che da imposizioni. È un’affermazione condivisibile, anche perché nessuno si aspetta più dall’alto modelli didattici e percorsi standard: le scuole più attive chiedono solo più spazi di progettazione curricolare e più risorse. Il problema è se davvero si può realizzare un’attuazione “totale” dell’autonomia.
Il documento rimanda alle nuove politiche del personale e in particolare a quell’organico dell’autonomia, (o organico funzionale) di scuola o di rete, da realizzare con le nuove assunzioni. È appena il caso di ricordare che non basta avere una “riserva” di personale, ma è anche necessario avere regole credibili su come impiegarlo e, in particolare, chiarire il rapporto fra docenti in cattedra e docenti fuori cattedra.
Il documento riconosce che l’accoppiata classi di concorso/cattedre è un vincolo, ma non si accenna a come allentarlo.
Afferma poi che le norme per l’autonomia didattico-curricolare già ci sono e basta attuarle. Cita ad esempio la possibilità di modificare fino a 30% il piano di studi dei licei. Non ricorda invece che, curiosamente, negli istituti tecnici non solo la percentuale di modifiche è più bassa, ma i vincoli posti sono tali da renderle praticamente impossibili.
Occorre però fare un’osservazione di fondo e porre una domanda. L’articolo 8 del DPR 15/3/1999 sull’autonomia scolastica non propone la soluzione, poi diventata prassi, della modifica dei piani di studio nazionali da parte delle scuole, ma propone una soluzione molto più semplice e radicale: Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte. È ovvio che avere carta bianca per scrivere qualcosa è molto più semplice che modificare qualcosa già interamente scritto. Non era il caso, vista l’enfasi del documento sulle soluzioni strutturali, di ricordarselo?

Il lavoro
Il riferimento al lavoro come orizzonte culturale e come mezzo della formazione è molto enfatizzato. Gli strumenti proposti (dall’alternanza alle pratiche di lavoro dentro la scuola) in realtà sono già stabiliti e praticati da tempo. Anche alcuni che, come la “vendita” dei prodotti e dei servizi, ebbero momenti forti molti decenni fa negli Istituti Tecnici. Si prospetta comunque una politica generale di nuove risorse dedicate e di alleanze.

Le attrezzature e i laboratori

L’enfasi sul lavoro e sulla cultura della produttività, ma anche sull’attitudine al problem solving, porta naturalmente a discutere della struttura e del ruolo dei laboratori. Il documento assume un punto fondamentale fra quelli emersi in dibattiti recenti: la fine dei laboratori rigidamente legati a singole discipline e lo sviluppo di ambienti-laboratorio interni ed esterni alla scuola, basati su tecnologie avanzate (si citano molto le stampanti 3D) e adatti allo sviluppo di progetti complessi. Occorre però un ragionamento completo, anche questo già fatto più volte, sulla creazione di ambienti fisici attrezzati in modo leggero e flessibile, capaci di favorire anche una laboratorialità diffusa in tutte le discipline.

Per concludere

La strategia per la Buona Scuola è quella del “cacciavite”: si propongono aggiustamenti rispondendo a problemi da tempo sollevati da molti, ma soprattutto facendo i conti, in termini di personale, con quello c’è (o meglio che ci sarà). Ma c’è anche un’opzione culturale abbastanza chiara: mettere al centro della formazione la capacità di risolvere problemi, essere produttivi, in particolare con l’uso delle tecnologie avanzate, avere il lavoro come orizzonte. Un punto poco chiaro è se, a parte il forte coinvolgimento degli Istituti tecnici e professionali, si vuole introdurre questa cultura anche nei licei. Se si vuole credere che questa scelta sia un principio educativo generale per tutti i giovani e tutti gli strati sociali, si deve dire di sì. Altrimenti si tratta essenzialmente di rafforzare il classico dualismo fra “quelli che debbono riflettere sul mondo” e “quelli che lo debbono far funzionare”. Dualismo che è stato invece ribadito nell’ultimo riordino. Basta pensare alla lotta (vittoriosa!) di gran parte degli opinionisti contro il concetto di competenza nei licei e alle indicazioni per il loro riordino.

Approfondimenti e correlati:
Piano Scuola: un’attesa positiva, video intervista è a cura di V. Gallina a Luigi Berlinguer
La riforma incompiuta del 3+2. L’Università chiede «più Europa», di Luigi Berlinguer
La “buona scuola” guardando alla sostanza, di Vittoria Gallina
La buona scuola che esiste e la valutazione di sistema, di Antonia Carlini
La “buona Scuola”. Seguire il filo di ciò che non c’è, di Fiorella Farinelli
L’istruzione al centro: sarà la volta buona?, di Gian Carlo Sacchi
Sviluppo della professionalità dei docenti è la “buona scuola”, di Walter Moro
Proposte per un patto educativo, di Eugenio Bastianon
Assunzioni: il piano straordinario e l’organico delle scuole, di Giuseppe Fiori
La forza dell’apprendistato e della formazione, di Gian Carlo Sacchi
La Buona scuola esce dall’isolamento, di Simona Chinelli

***
Immagine in testata di Wikipedia (immagine free to share)

Mario Fierli

37 recommended

Rispondi

0 notes
695 views
bookmark icon

Rispondi