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Contro il terrorismo dell’aoristo: elogio delle traduzioni

Pubblicato il: 30/09/2013 10:22:32 -


Il calo delle iscrizioni al liceo classico occupa le cronache dei giornali nazionali e delle pagine locali, che registrano la crisi dei grandi licei storici. Cosa ci stiamo perdendo e come possiamo salvare nella cultura della formazione dei giovani i patrimoni di sapere che aiutano a dar senso e valore all’esperienza? Forse si tratta di ripensare i compiti di una scuola che vuole equità e cercare opportunità per tutti e per tutte.
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Il sito del MIUR mette a disposizione i dati relativi alle nuove iscrizioni degli alunni che aspirano a frequentare la secondaria superiore a partire dall’anno scolastico 2013-2014: è così possibile avere il quadro della composizione degli indirizzi di scuola che saranno attivati in base alle scelte degli studenti.

Guidano la classifica gli istituti tecnici con il 31,40% degli iscritti e i licei scientifici con il 22,8%, il liceo linguistico supera il liceo classico (8,4% contro il 6,1%), si registra ancora la flessione dei professionali. L’innalzamento a 10 anni di istruzione obbligatoria trova la sua prima applicazione nel 2007-2008 (articolo 1, comma 622, della legge n. 296/06); vale quindi la pena di vedere cosa è cambiato negli ultimi cinque anni, tanto da occupare titoli di giornale e qualche commento radio-televisivo.

I licei classici perdono 4,1 punti percentuali (ma dal 2009 a oggi i licei linguistici raddoppiano), gli scientifici acquistano un punto, i professionali ne perdono 3,2, i tecnici circa 4, ma sono in ripresa rispetto agli anni precedenti. Dopo la prima attuazione del nuovo obbligo, successive disposizioni (L 06.08.08 n. 133, art 64, c 4bis) consentono di assolverlo, oltre che nei percorsi scolastici, anche in percorsi realizzati da strutture formative accreditate ai sensi del DM 29.11.07; questo spiega la flessione dei professionale e , in parte, dei tecnici.

Ma il problema forse è un altro e un po’ più complicato di questa gara a “chi vince e chi perde”. Stabilire una scuola di 10 anni per tutti significa, o almeno così parrebbe, assumere la prospettiva di una scuola che cerca di raggiungere un minimo di equità e di rappresentare un elemento di ri-equilibrio di disparità socio-culturali, e di accompagnare, orientandoli, i giovani verso le scelte di prosecuzione di studi o di primo avvio a una specializzazione per il lavoro (la qualifica regionale dovrebbe arrivare un anno dopo, previo corso specifico, la conclusione dell’obbligo).

Pareva che tutti fossero d’accordo: un ragazzino o un ragazzina non possono scegliere il proprio destino a 13/14 anni: le modalità di maturazione, e non solo la necessità di riequilibrare le situazioni di partenza, hanno bisogno di tempo (il rispetto dei tempi di vita non riguarda solo gli adulti, ma anche bambini, bambine e adolescenti).
I primi due anni di scuola secondaria obbligatoria (come avviene quasi dovunque) sono necessari per colmare lacune, attrezzare chi vuole fare scelte impegnative e non si sente ancora pronto, orientare studenti e studentesse e aiutare tutti e tutte a costruire il senso della propria esperienza.

Cosa è successo invece?
Si è deciso di mandarli a scuola ancora per due anni (e questo è comunque un bene), ma in una scuola che, nella sostanza, è rimasta come quella di prima, quella che riceveva pezzi già pre-selezionati e scelte pre-confezionate; anzi, quasi immediatamente ci si è accorti che qualcuno o qualcuna aveva bisogni, interessi voglia di misurarsi più sul fare che sullo studiare in astratto, e allora si è aperta la possibilità di mandarli al centro di formazione professionale, accreditato dalla regione.

Fin qui niente di male, ma il guaio è un altro: chi sceglie una porta difficilmente cambia indirizzo, o meglio si perde per strada , cade giù, ma non trova nel suo percorso uscite che lo portino ad altri indirizzi più adatti a quello che, dopo due anni, è riuscito a maturare in termini di competenze e di inclinazioni.

Ogni anno il Ministero pubblica le statistiche dei dispersi: cerchiamo di ridurre la forbice rispetto all’Europa, ma non si verificano mai casi di qualcuno che, dopo i primi due anni, si avvia verso un percorso che, adesso, e non due anni prima, sceglie con consapevolezza.
La selezione è difficile da misurare, con buona pace dei test INVALSI, ma se non è selezione precoce questa, quando si potrà più usare questo termine?

Non pare possibile che da un alto si levino alti lamenti per la sparizione rapida del liceo classico, ma che intanto si ponga uno sbarramento, fatto da verbi in mi, aoristi più o meno irregolari, e si privino tutti gli studenti, che nel biennio dovrebbero essere avviati a scelte consapevoli e a prendere gusto per il sapere e la riflessione, di quelle grandi miniere di senso, che sono, per esempio, le tragedie greche?
Ve lo immaginate un biennio della secondaria superiore dove si legge in italiano, meglio se con testo a fronte, Antigone o un libro delle Georgiche, oppure la Tempesta o Delitto e castigo e poi, uno studente che, iscritto nel professionale – orrore – si appassiona e si vuole rompere la testa con l’aoristo? Oppure un altro, che non aveva mai capito niente di matematica, che viene colpito dalla bellezza dei solidi platonici, oppure uno che, sì, ha sempre studiato entro un percorso liceale, ma sta cercando un altro modo di capire e che scopre che vuole imparare un mestiere e frequenta, dopo il biennio, un corso di formazione professionale e inizia a lavorare?
Sarebbe una utopia o un modo per far parlare ancora oggi il valore dei grandi insegnamenti del passato?

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Immagine in testata di Wikipedia (licenza free to share)

Vittoria Gallina

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