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Commedia all’italiana in sei atti: “Bonus maturità”

Pubblicato il: 14/10/2013 09:48:56 -


“Si parla, si progetta, si aggiusta, si sospende e... non se ne fa nulla” potrebbe essere il titolo di una commedia italiana in sei atti sul tema del bonus maturità per l’ammissione ai corsi di laurea a numero programmato. Il caso del bonus è un esempio di come si complicano i problemi, sicuramente importanti, ma non prioritari per la formazione dei giovani, mentre non si affronta la questione di fondo che è la difficoltà della nostra scuola a orientare i giovani e ad aiutarli a fare scelte significative e responsabili per il futuro. Così come avviene negli altri Paesi europei.
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Atto primo.
Ministro Fioroni: un voto di maturità elevato darà un bonus nella selezione per l’accesso all’università, allo scopo di riconoscere gli esiti della scuola secondaria.

Atto secondo.
Ministro Gelmini: non applica la norma sul voto di maturità.

Atto terzo.
Ministro Profumo: il bonus deve essere attribuito, con qualche aggiustamento nella definizione del rapporto tra voto e bonus, ma non si applica la norma.

Atto quarto.
Ministro Carrozza: mantiene l’applicazione del bonus, ma, di fronte alla varietà di valutazioni tra classi, scuole, collocazione geografica di queste, decide che il bonus debba essere rapportato al numero di voti elevati che le singole commissioni di maturità hanno attribuito (si ricorre ai percentili per riequilibrare le disparità tra commissioni di manica larga e commissioni troppo rigide).

Atto quinto.
Gli studenti si presentano a fare i test, con la norma sul bonus vigente.

Atto sesto.
I test sono in corso… e la norma sul bonus maturità viene revocata; non se ne fa nulla.

Nella vicenda pesano vari fattori:
• necessità;
• giusta valorizzare il percorso scolastico;
• i salvifici “decreti mille proroghe”, che consentono di traghettare da un anno all’altro e da una legislatura all’altra “l’incompiuto;
• la volontà di garantire equità al sistema. Verrebbe da chiedersi? Cosa avrebbe detto Don Milani vedendo ridurre il problema di garantire uguaglianza e equità al calcolo dei percentili!
• la paura delle sentenze del TAR;
• l’evidenza delle disparità di valutazione delle singole commissioni.

Protagonisti sono quindi ministri, statistici, giudici, avvocati ecc., mancano però gli studenti, o meglio sono presenti come oggetti valutati, mortificati dagli uni o difesi dagli altri.

Forse bisognerebbe ripartire proprio dagli studenti.
La norma muove da un giusto presupposto: il valore del percorso pre-universitario. Successivamente viene fuori il problema della disparità delle valutazioni tra classi, scuole e aree del paese (evidenza di P.I.S.A. e delle valutazioni Invalsi), e infine anche il fatto che le commissioni non applicano modalità di valutazione univoche.
Tutto sacrosantamente vero, ma si dimentica che gli studenti della secondaria sono giovani che si preparano ad assumere responsabilità per la propria vita adulta e forse, proprio per questo, dovrebbero essere coinvolti personalmente nella fase in cui progettare il proprio futuro darebbe un senso ad agire, a studiare e a fare esperienze, in vista di quello che vorranno essere dopo.

Il problema della disparità delle valutazioni delle diverse commissioni d’esame e di come coinvolgere i ragazzi nella costruzione della propria prova finale è presente in tutti i sistemi scolastici, e non riguarda solo chi dovrà affrontare prove selettive di accesso all’università.

Dare un’occhiata fuori d’Italia suggerisce qualche idea, dalla Finlandia alla Grecia si trovano spunti di riflessione:
– In Grecia il voto dipende per il 70% dallo scritto e per il 30% dall’orale; gli scritti sono corretti da due commissioni, che lavorano sulle stesse prove separatamente, interviene una terza commissione se si notano discrepanze.
– In Austria, gli scritti si svolgono a maggio e i colloqui orali a giugno, gli studenti hanno la possibilità di presentare, nel mese di febbraio, un saggio e di scegliere alcune delle materie sulle quali sostenere le prove.
– In Inghilterra, l’“A-level”, documento conclusivo della scuola secondaria, consiste nella valutazione di 3 materie, che variano a seconda della facoltà universitaria alla quale si vuole accedere; gli esami sono esterni alla scuola, gestiti da enti di valutazione e di certificazione.
– In Germania, le commissioni esaminatrici sono interne, l’esame è considerato “certificazione” di tutto il percorso di studi e non solo dei risultati delle prove finali; gli scritti sono corretti da commissioni centralizzate a livello dei singoli “laender”; gli studenti scelgono il livello della prova da sostenere su alcune discipline.
– In Francia, l’iscrizione all’università non prevede test d’ingresso, salvo alle “Grandes Ecoles”, ma il BAC si consegue in due anni, dopo il primo esame il giovane sceglie tra BAC filosofico/letterario o matematico/scientifico, si assume cioè la responsabilità di accedere a corsi universitari umanistici o scientifici.

A questo punto si potrebbe continuare a elencare vantaggi e difetti dei vari sistemi europei, perché il problema della variabilità dei giudizi e quindi delle valutazioni, insieme alla necessità di far quadrare il cerchio fra posti disponibili e aspirazioni dei giovani, rende drammatico il problema della selezione.

La questione però è un’altra.
In qualche modo in Europa i giovani della secondaria, che è più breve della nostra, sono obbligati a studiare alcune discipline di base, ma non tutte.
Ad esempio partendo dalla Finlandia dove lo studente può fare un piano di studi, di cui una parte è fatta di corsi opzionali, ma deve costruirsi un curricolo e spiegare perché sceglie una materia piuttosto che un’altra. Oppure in Germania, dove il giovane decide cosa vuole approfondire e a quale livello.
In Francia, dove deve costruirsi lo sbocco verso le due tipologie di BAC.
Quasi ovunque in Europa alcune quote del curricolo scolastico prevedono opzioni e offrono stage ed esperienze di lavoro concreto. Il problema italiano non è il bonus, ma l’assenza di opportunità di scegliere e di fare esperienze in vista degli sbocchi successivi.

È auspicabile che la ripresa di investimenti sulla scuola, sui docenti e sulle attrezzature, inauguri processi di flessibilità di percorsi, capaci di sostenere i giovani, che nella scuola secondaria devono misurare le proprie scelte e imparare ad agire con responsabilità.

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Immagine in testata di Wikipedia (licenza free to share)

Vittoria Gallina

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