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Ascoltare la voce degli studenti

Pubblicato il: 13/03/2024 02:24:21 -


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Una grande lezione di pedagogia quella che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella impartisce periodicamente al Paese, quando con parole, ma soprattutto con gesti concreti di partecipazione, interviene sul pianeta giovani, valorizzandone la presenza sia sul fronte degli studi che delle attività sociali. L’attenzione si è intensificata fin dall’inizio del suo secondo mandato, quando nel discorso al Parlamento ha lasciato spazio ad un intreccio di valori e principi che possono ispirare l’intero sistema formativo.

 Da una parte l’importanza della cultura, elemento costitutivo dell’identità italiana, dall’altra i diritti, tra i quali quello allo studio e la lotta contro l’abbandono scolastico, posti come capaci di promuovere la dignità delle persone e dei cittadini; al centro i giovani spesso costretti a lavori precari e malpagati, quando non confinati nelle periferie esistenziali, che avvertono tutte le difficoltà nell’affrontare il domani a partire da un presente denso di squilibri e contraddizioni. La pandemia ha lasciato in alcuni un senso di disagio e di frustrazione, vanno aiutati, ma vi sono stati anche coloro che hanno offerto solidarietà in diversi aspetti della comunità, ricevendo riconoscimenti da parte dello stesso Presidente.

Una tale sensibilità personale e istituzionale non poteva tacere di fronte alla repressione subita dagli studenti di Firenze e Pisa sulla quale il Presidente ha pronunciato parole di condanna della violenza, insieme a motivi di considerazione per l’autorevolezza dello Stato, la tutela della sicurezza ma anche della libertà di manifestare le proprie opinioni, concludendo ancora con un ammonimento che interpella la coscienza educativa: “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”.

E’ quindi necessario sostenere una scuola che sappia accoglierli e prepararli per fondare le ragioni del nostro stare insieme, perché i giovani sono parte del futuro della nostra repubblica, e le manifestazioni, come ogni altra forma di protesta pacifica, vanno incanalate nella direzione di risolvere altrettanto pacificamente i problemi che vengono posti, lasciando, soprattutto se si tratta di giovani che frequentano le scuole, alle comunità educative, con la presenza degli adulti/docenti, quella flessibilità necessaria a che si discuta e si approfondisca, per arrivare a proposte che invocano il cambiamento.

Si prenda ad esempio gli incidenti occorsi a giovani in stage presso aziende, per i quali si pretende innanzitutto una sicurezza che deve garantire tutti coloro che lavorano e soprattutto se il lavoro viaggia in stretto contatto con la formazione di una persona, che vede in esso la propria realizzazione, che spesso è l’occasione per uscire da quelle che il Presidente ha definito le periferie esistenziali, che la scuola sta cercando di scongiurare proprio attraverso la sua apertura alla società.  Il pericolo è che prenda piede l’incertezza e quindi si torni a rinchiudersi nelle aule, mentre è proprio dall’esperienza che gli studenti possono fare all’esterno, mettendo a confronto la preparazione scolastica con la realtà, che la personalità si irrobustisce e si orienta per costruire un proprio progetto di vita e di lavoro.

La risposta alle contestazioni del sessantotto è stata quella di introdurre la gestione sociale nella scuola, dove gli studenti trovavano una rappresentanza negli organi collegiali e potevano riunirsi in assemblea, un mix tra democrazia rappresentativa e assemblearismo aveva portato la gran parte di loro a vivere in modo positivo lo spazio di partecipazione. Il processo avviato dai decreti delegati voleva introdurre nella scuola un cambiamento basato sul dialogo sociale tra le componenti più direttamente interessate al progetto educativo e le esigenze manifestate dalla realtà del territorio, così come lo statuto degli studenti voleva esprimere il più alto livello di autonomia dei giovani, superando l’elemento paternalistico della disciplina, a fronte dell’affermazione dei diritti e doveri, nell’ambito dell’autonomia dei regolamenti di istituto. 

Ogni anno vengono rinnovate le rappresentanze, ma con sempre meno motivazione perché detti organismi  hanno scarsi poteri e non riescono ad incidere sulle risposte che il sistema deve dare al cambiamento che coinvolge la società e che gli studenti cercano di interpretare. La politica è costantemente in ritardo ed i giovani, poco inclini alla mediazione, vogliono far sentire la loro voce sia nel dibattito nazionale sia nei problemi legati alla scuola reale, dei territori. In certi casi gli studenti si sono ripresi la piazza e sono tornati ad occupare le scuole, anche se sono presenti a livello istituzionale spazi di autogestione.

In tempi più recenti la politica ha fatto marcia indietro sul predetto statuto, ha redatto i patti di corresponsabilità educativa con le famiglie e con organismi del territorio, utilizzati però soprattutto in senso punitivo e risarcitorio nei confronti di danneggiamenti procurati alle strutture scolastiche, per placare una stagione di gravi conflitti da parte di allievi e genitori nei confronti soprattutto dei docenti, accompagnati dall’idea di inserire nelle aule telecamere di sorveglianza.

Diritti, politiche sociali, sicurezza, una didattica attiva, più coinvolgente, apertura al territorio, un rapporto con il mondo del lavoro che sia davvero orientante e non semplicemente strumentale, maturare consapevolezza e pensiero critico da obiettivi pedagogici regrediscono a metodologie, ritorna con tutta la sua forza una valutazione selettiva cui contribuisce il voto di condotta come atteggiamento sanzionatorio, da scontare anche in attività socialmente utili, come al condannato al quale viene commutata la pena, ponendo così in cattiva luce anche nobili attività di volontariato.

E’ difficile credere ad un rigurgito di scuolacentrismo da parte dei giovani, abbandonando l’idea di frequentare diversi ambienti di apprendimento con percorsi personalizzati e orientativi per la vita e la professione; occorre considerare in modo più significativo l’attribuzione di crediti, facilitandone la spendibilità nei successivi percorsi di studio o lavorativi.

Anche le manifestazioni studentesche sono cambiate, non si tratta più di contestazioni ideologiche e velleitarie, ma di posizioni che chiedono di superare una scuola burocratica e di essere inclusi nelle decisioni che riguardano i destini della scuola stessa. In un interessante reportage del Corriere della Sera (17 febbraio 2022) sulle occupazioni dei licei milanesi i dirigenti scolastici parlano di un’occupazione diversa, dove le parti si sono avvicinate. Era questa l’occasione per sfidare il sistema, per rinfacciare alle istituzioni tutti i sogni infranti, ma questa volta la dialettica è un’altra: due anni di pandemia pare abbiano accorciato le distanze tra banchi e cattedre, alla ricerca di un dialogo. 

Lo smarrimento è evidente, continua il reportage, la settimana di occupazione può essere l’occasione per rilanciare il rapporto umano; gli studenti esprimono il desiderio di essere ascoltati nelle loro rivendicazioni, c’è una componente più esistenziale che ideologica. Si percepisce la domanda forte di collaborazione, di avere gli adulti vicino; un filo che si è riallacciato. Ora tocca agli adulti intercettare questa domanda e darvi una forma non solo sociale, ma soprattutto didattica.

Non si tratta di un’occupazione in senso politico, ma prima di tutto della felicità di stare insieme, di parlare, riconoscere quel luogo come spazio di incontri che gli appartiene. Ci sono dunque strade da percorrere insieme, il terreno è più fertile per cambiare la scuola. Abbiamo dimostrato agli insegnanti, dicono gli studenti, che non volevamo scioperare per non far nulla; la maggior parte dei professori erano entusiasti nel vederci impegnati e propositivi, ci vedevano spenti da troppo tempo. E adesso c’è più spirito unitario tra studenti, ci siamo conosciuti meglio e si è aperto un dialogo con i professori, perché alcuni corsi interattivi che abbiamo organizzato potranno continuare nel tempo anche come attività pomeridiana.

Siamo davvero ad una svolta che viene dal basso ? Allora “questi” giovani vanno davvero ascoltati, come ci ha ammonito il Presidente Mattarella: la politica, chiusa nei corridoi ministeriali o nelle aule parlamentari non perda un’altra occasione.

Gian Carlo Sacchi  Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.

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