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Anche la formazione degli insegnanti deve cambiare!

Pubblicato il: 28/05/2013 16:49:15 -


Cosa si può salvare (poco) e quanto si può e deve fare (molto) in materia di formazione degli insegnanti per una scuola che voglia davvero cambiare.
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Com’è noto, parlare di scuola oggi in una società in profondo cambiamento è riduttivo.
Non è un caso che, con la legge 53/03, si introdusse correttamente il concetto di “Sistema educativo di istruzione e di formazione” (art. 2) in ordine a due esigenze:
– la prima di carattere socioculturale in quanto, in una società che ormai tutti definiamo della conoscenza, apprendere è una esigenza che riguarda ciascuno di noi e per tutta la vita;
– la seconda di carattere istituzionale, per il fatto che nel nostro Paese le due filiere dell’istruzione cosiddetta generalista, di competenza statale, e l’“istruzione e formazione professionale” (come si legge nell’articolo 117 del novellato Titolo V della Costituzione), di competenza regionale, costituiscono unitariamente il Sistema, appunto, dell’istruzione e della formazione.

A fronte di questo profondo cambiamento che investe l’intera società e i cittadini tutti, per ogni fascia di età, pensare all’insegnante che abbiamo ereditato dalla scuola di sempre appare quanto mai lontano dal reale. Com’è noto, la stessa ricerca sociologica si è sempre dilettata a dare del ruolo dell’insegnante un’immagine fortemente riduttiva: siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso.
Venivano invocate soprattutto due variabili: la progressiva femminilizzazione e un orario di lavoro dimezzato rispetto a quello dei “normali” lavoratori, sia delle cosiddette professioni liberali sia di quelle relative ai cosiddetti mestieri.
Se poi si aggiungono altre due circostanze – la limitata libertà professionale, in quanto l’insegnante è parte del pubblico impiego e non della libera professione, e la scarsissima sindacalizzazione – analisi di questo tipo erano più che giustificate.

Da quegli anni le cose sono profondamente cambiate, ma solo per certi versi: di fatto è aumentata a dismisura e con indubbia celerità la domanda di istruzione – oggi ormai tutti sono tenuti ad apprendere a qualsiasi livello di età – e i tempi di lavoro degli insegnanti ormai vanno ben oltre le classiche 18 ore di lezione frontale.
Lo stesso processo di sindacalizzazione raggiunge ormai quasi tutti i “lavoratori della scuola”: un’espressione che solo qualche decennio fa non avrebbe mai avuto credito! Ciò che rimane pressoché costante è la presenza massiccia degli insegnanti donne, soprattutto per quanto riguarda i cicli iniziali dell’istruzione.

Quindi, cambiamenti ce ne sono stati, nel sociale soprattutto, ma fino a che punto hanno investito l’organizzazione scolastica e il ruolo e la stessa funzione docente?
A mio vedere in misura assolutamente inadeguata rispetto alle esigenze di istruzione e di formazione che di giorno in giorno in tutte le società ad alto sviluppo si sono fatte e si fanno sempre più forti.
In tale contesto va sottolineato che quanto si verifica nel nostro Paese soprattutto – almeno a fronte di quanto avviene in altri Paesi ad alto sviluppo – a proposito degli indici ancora alti di abbandoni, non mette in discussione il fatto che la scolarizzazione di ciascun cittadino è oggi un dovere e un diritto e non più l’optional di decine di anni fa, quando il lavoro intellettuale era per pochi e quello manuale era per molti… nonostante il fenomeno dell’emigrazione che soprattutto nell’età giolittiana toccò picchi altissimi.

In effetti, notiamo un profondo scarto tra ciò che da un lato ci insegnano la ricerca educativa e lo stesso contratto degli insegnanti e che, dall’altro, invece si verifica nella realtà delle nostre aule.
Per quanto riguarda la ricerca, basti considerare ciò che pensano dell’istruzione e dell’insegnamento autori come Morin, Bauman, Gardner, Feyerabend, Perrenoud, Schon.
Per quanto riguarda il versante sindacale, all’articolo 27 del contratto leggiamo testualmente che “il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate e interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”.
E all’articolo 26 leggiamo che “la funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione… La funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e di formazione in servizio”.

Si delinea e si costruisce la figura di un insegnante che non è sempre facile riscontrare nella realtà delle nostre scuole, o meglio, più correttamente, delle nostre “istituzioni scolastiche autonome”.
Si pensi anche agli impegni che abbiamo assunto nei confronti della nostra popolazione tutta, non solo dei nostri bambini e dei nostri adolescenti. Abbiamo innalzato l’obbligo di istruzione a 16 anni di età (DM 139/07 e 9/10); abbiamo introdotto il diritto/dovere all’istruzione per almeno 12 anni o comunque fino al conseguimento di una qualifica entro il 18° anno di età (L. 53/03, art. 2); abbiamo voluto garantire a ciascuno interventi di educazione, istruzione e formazione – quindi non solo di mera istruzione – per garantire a ciascuno il successo formativo (DPR 275/99, art. 1, c. 2). Impegni nobilissimi e avanzatissimi!
“Includere” tutti, da un lato, nessuno escluso, e promuovere “eccellenze”, dall’altro, non è una sfida facile, anche se è la sfida di tutti i sistemi di istruzione di oggi e di domani. Ma riusciamo a tenervi fede? Assolutamente non ancora!
In effetti le strutture organizzative delle nostre scuole sono quelle di sempre e gli stessi insegnanti sono in larga misura quelli di sempre. Iniziative lodevoli non sono mancate: si pensi, ad esempio all’esperienza delle SSIS. Ma poi abbiamo affossato tutto con l’indizione di concorsi che definirei “stravaganti”, i quali certamente non hanno favorito l’acquisizione di competenze nuove e avanzate in relazione a una professionalità docente all’altezza dei tempi.

E con il recente riordino di marca gelminiana, mentre da un lato si sono tagliate cattedre e ore di insegnamento, si insiste per un insegnamento centrato sulle competenze e sulla didattica laboratoriale.
Parole e parole che ritroviamo in ogni piega dei recenti decreti, ma… non una parola certa su ciò che concetti così innovativi e arditi implicano in materia di formazione iniziale e continua dei nostri docenti.

Quindi abbiamo ancora una scuola vecchia, in cui dominano le classi di età che, funzionali al concetto e alla pratica della “promozione/ripetenza”, confliggono con il concetto di “successo formativo”. E dominano le classi di concorso e le cattedre orario, che confliggono con un avvio serio e produttivo di un insegnamento/apprendimento pluridisciplinare. E dominano i quadri orario validi per l’intero istituto scolastico (la campanella vale per l’intero edificio!); per cui è impossibile avviare un’attività di insegnamento/apprendimento o laboratoriale – per essere avanzati! – che richieda, ad esempio, un’ora e mezza o due ore di attività.
Dominano le aule “sorde e grigie” – direbbe qualcuno – in cui sono relegati per intere quattro o cinque ore bambini e ragazzi: per di più in banchi estremamente scomodi! La rituale memoria dei banconi dei seminari di un tempo fronteggiati da alte e pretenziose cattedre. E non è un caso che gli ingegneri del secondo Ottocento progettassero alla stessa maniera scuole e caserme: aule e corridoi, corridoi e camerate!

In un simile contesto è difficile parlare di formazione degli insegnanti! Per quale scuola? In quale scuola? Nella scuola dell’autonomia, certamente, che è più un’idea – bella veramente – che una realtà. Sarebbe interessante sapere in quanti e in quali istituti è stato puntualmente realizzato quanto è indicato agli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 del DPR 275/99.
Non è sufficiente un articolo 3, quello che riguarda il POF, che tutte le scuole producono e… riproducono puntualmente, a garantire che il processo dell’autonomia si sia realizzato!

In una scuola irrigidita dalle norme e – recentemente – dalle invasioni delle prove Invalsi, è difficile ricercare e ritrovare insegnamenti efficienti, efficaci, e produttivi. Ciò non significa che le rarae aves non esistano! Insegnanti bravissimi ce ne sono e tanti, ma che lavorano spesso in grande solitudine quando invece – lo dice lo stresso contratto su citato – il vero insegnante è colui che lavora in team. Ma è difficile che un consiglio di classe sia veramente un team. A volte è solo il luogo del pianto! “Rossi con me ha preso 4 e con te?”
Ed è anche difficile che i genitori possano collaborare al processo educativo, quando nei colloqui sono dominanti le locuzioni di sempre: “Lo faccia studiare! È intelligente, ma svogliato! Potrebbe fare di più, ma… Mi dica Lei che debbo fare: ha un 5 più, un 5 meno e un 4 più più! Proverò a interrogarlo di nuovo!”
È chiaro che poi, quando arrivano le prove Invalsi – belle o brutte che siano – tutti vanno in tilt.

In un contesto simile e/o per un simile contesto è difficile parlare di formazione insegnanti. O meglio, un insegnante bravo si può anche formare, ma poi, quando entra nel contesto che ho descritto, il rischio è che “si adegui”. Altro che “apprendimento organizzativo”!
Sarebbe quell’apprendimento che si ha, si produce e si riproduce in continuità in una “organizzazione che apprende” costantemente per non essere tagliata fuori dal mercato. E la scuola, quella vera, dovrebbe essere l’eccellenza in materia di “organizzazione che apprende”.
In tale contesto, parlare di una formazione insegnanti efficace è un po’ difficile. Posto che sia corretto in merito quanto è scritto sul contratto – ed è corretto – il problema è un altro. Che poi il Nostro va a lavorare in un struttura inadeguata. Come se formassimo un astronauta e poi lo mettessimo a bordo di una Cinquecento anni Cinquanta!

Comunque, ho e debbo avere fiducia. Se noi riuscissimo con il nuovo ministro a impostare un discorso in tale materia, già sarebbe una importate conquista. Avremmo costruito in materia di “formazione insegnanti” una nuova sensibilità. E nei percorsi di formazione universitaria ad hoc si potrebbe anche aggiustare convenientemente il tiro in merito agli obiettivi da perseguire e alle competenze da formare e certificare.

Ma c’è un altro percorso che, a mio avviso, occorre attivare, quello della formazione in servizio.
Non intervengo nel merito della vexata quaestio del diritto/dovere. La questione non è tanto quella di rendere obbligatoria la formazione continua in servizio, quanto di renderla attraente e necessaria. Qual è quel medico che è insensibile a fronte di un nuovo medicinale? O quel commercialista che è insensibile a fronte di una nuova tassa? O il giudice a fronte di una nuova legge? Ciascun professionista è sollecito a migliore le proprie competenze e a conseguirne di nuove, se avverte che queste hanno una ricaduta produttiva su ciò che quotidianamente fa.

È in tale contesto/scenario che ritengo opportuno ricordare quanto sta avvenendo in questi giorni in molte delle nostre scuole in merito alla formazione in servizio. Tutti conosciamo le associazioni degli insegnanti e dei dirigenti della scuola: l’Associazione italiana dei maestri cattolici; l’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici; il Centro di iniziativa democratica degli insegnanti; la Federazione nazionale degli insegnanti; la Legambiente-Scuola e formazione; il Movimento di cooperazione educativa; l’Uciim, Associazione professionale cattolica di insegnanti, dirigenti e formatori.
E sappiamo anche quanto hanno fatto e fanno, e non solo per i loro iscritti, in merito alla formazione continua. Ebbene, voglio segnalare una assoluta novità! Le suddette associazioni professionali hanno varato unitariamente proprio in questi giorni un progetto di ricerca finalizzato a rilevare quali siano i concreti bisogni di formazione continua in servizio degli insegnanti.
Si tratta del “Progetto FormIS”, Formazione In Servizio, appunto, sostenuto dallo stesso Miur, anche finanziariamente, convinto della necessità di dover condurre una rilevazione su larga scala in tale materia.
L’iniziativa assume un grande rilievo proprio per almeno due circostanze: il fatto che a promuoverla unitariamente siano tutte le associazioni, anche di diversa natura e matrice culturale; il fatto che il Miur, sostenendolo finanziariamente, sia convinto della necessità di tale ricerca.

Estrapolo dal documento di presentazione del Progetto FormIS alle istituzioni scolastiche alcuni passi significativi.

“In un periodo di trasformazioni profonde del tessuto socioeconomico e culturale del nostro Paese e della domanda di istruzione, la formazione continua in servizio degli insegnanti costituisce una delle più importanti chiavi di volta al fine di dare concrete risposte ai bisogni formativi sempre più complessi dei nostri giovani”.

“Rilevare i bisogni degli insegnanti, e non calare proposte dall’alto, distaccate dalle reali esigenze che si presentano in aula ogni giorno, è quanto mai necessario, stante il fatto che il nostro Paese ha assunto l’impegno di garantire a ciascun alunno il diritto/dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il 18° anno di età. Il che implica una professionalità docente capace di incidere positivamente non solo sui processi di istruzione, ma anche su quelli dell’educazione e della formazione, processi che richiedono attività di insegnamento/apprendimento che impegnano competenze progettuali, organizzative e metodologiche che vanno oltre la competenza disciplinare”.

“Nel rinnovato quadro istituzionale del nostro Sistema di istruzione, una professionalità docente di alto profilo si rivela quanto mai necessaria. Pertanto, rilevare i concreti bisogni degli insegnanti significa anche e soprattutto indicare ai decisori politici quali iniziative intraprendere per dare loro concrete risposte con attività di formazione continua in servizio. La ricerca consentirà di rilevare anche i bisogni cosiddetti impliciti della professionalità docente, bisogni sui quali sarà opportuno incidere con maggiore e più mirata efficacia”.

Sono personalmente convinto del fatto che, quando i destinatari di un processo di formazione continua in servizio sono nel contempo anche protagonisti in merito alla scelta dei contenuti di studio e di ricerca da affrontare e delle competenze da conseguire, il processo non può non raggiungere un buon fine.

Forse – o certamente? – ciò si può fare con un nuovo ministro, che sia sensibile ai problemi del Sistema di istruzione e ai bisogni dei loro protagonisti, gli insegnanti!

Che si possa avviare una reale svolta in materia di formazione insegnanti?

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Il contributo appare sul numero 6 di giugno 2013 della rivista “CONFRONTI”.
Leggi anche, dell’autore, “Per una scuola che cambia quali le competenze di un insegnante?

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Immagine in testata di Photl (licenza free to share)

Maurizio Tiriticco

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