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Alcune dimensioni del lavoro sommerso dell’insegnante

Pubblicato il: 25/09/2013 10:32:50 -


Il lavoro dell’insegnante non è solo quello svolto in classe durante le ore di lezione; c’è anche tutto quello “fuori dall’aula”: dalla preparazione dell’intervento didattico, all’organizzazione dell’ambiente di apprendimento, all’aggiornamento di conoscenze e competenze… Un tempo giusto e necessario per costruire “una scuola su misura” dell’alunno; un tempo prezioso che andrebbe riconosciuto e valorizzato.
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“Vorrei dire ai cittadini che non è vero che gli insegnanti lavorano diciotto ore o ventiquattro ore alla settimana, perché l’ora di lezione è un momento dell’attività, perché poi c’è tutto il lavoro di preparazione, di miglioramento delle proprie conoscenze, di organizzazione dell’’attività didattica, nella quale i docenti spendono ore, ore e ore, qualche volta lavorando a scuola, qualche volta continuando a lavorar quando tornano a casa…”

In questo passaggio ripreso dall’appello del 22 ottobre 2012 all’allora Ministro Profumo (scaricabile su Youtube), Luigi Berlinguer illumina, in modo significativo, alcune zone d’ombra dell’impegno quotidiano degli insegnanti, poco visibili ai più, poiché riguardano il lavoro svolto “fuori dall’aula”, spesso individuale e domestico, per la preparazione dell’intervento didattico, per l’organizzazione dell’ambiente di apprendimento, per la ricerca e per lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze professionali.

Si tratta di ore preziose, che si aggiungono al tempo di servizio settimanale regolato contrattualmente, e che impegnano quotidianamente l’insegnante nell’allestimento di un ambiente didattico adeguato alle caratteristiche individuali degli alunni, alle loro differenti modalità cognitive e socio-affettive, ai bisogni educativi comuni e a quelli speciali che richiedono risposte coerenti.
Ore nelle quali l’insegnante riflette sulle situazioni analizzate e valutate, sulle risposte educative ottenute e sulle manifestazioni personali osservate, sulle criticità rilevate e sulle difficoltà incontrate, per modificare approcci, prevedere aggiustamenti e operare scelte di miglioramento.

L’insegnante decide prima quali contesti di apprendimento valorizzare, quali attività ed esperienze promuovere, quali modalità di insegnamento sperimentare, quali stimoli per un apprendimento attivo e collaborativo presentare, quali processi per sollecitare l’attenzione e accendere la motivazione, quali strumenti e situazioni per sostenere, facilitare e compensare in presenza di difficoltà, quali ambienti di apprendimento dentro e fuori la scuola, quali mediatori didattici e strumenti per sostenere il processo educativo.

Molto spesso ha bisogno di conoscere aspetti specifici del funzionamento dei suoi alunni e di modellare tecniche e strategie da provare in situazione per compensare “funzionamenti problematici”, secondo un’espressione molto usata oggi. L’insegnante non può permettersi, infatti, di trascurarne alcuno o, come direbbe Don Milani (1967), di scartare “i pezzi non riusciti”, poiché “ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie” e deve aguzzare l’ingegno “per farli funzionare”.

Così, l’insegnante ricerca e si documenta sulle modalità didattiche più idonee alle situazioni specifiche da sperimentare con quegli alunni che presentano difficoltà e richiedono un intervento corresponsabile e integrato con altre figure specializzate (insegnante di sostegno, logopedista, psicologo scolastico, mediatore culturale …), con la famiglia e con gli altri soggetti coinvolti.

Le scelte operate in questa fase incideranno sensibilmente sulla qualità delle condizioni per l’apprendimento e per la partecipazione realizzate in aula, sulla significatività e sulla qualità dei risultati raggiunti in termini di competenze essenziali per l’inclusione e apprezzati con modalità alternative di valutazione autentica.

Preparare e organizzare prima l’ambiente di apprendimento – come viene raccomandato anche nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del I ciclo e nelle Linee guida per gli Istituti Tecnici e per gli Istituti Professionali – significa puntare su modelli didattici innovativi che valorizzano l’esperienza diretta, la ricerca e la sperimentazione delle conoscenze e delle abilità apprese in contesti di problem solving operativo, che incoraggiano forme di apprendimento collaborativo e laboratoriale, che stimolano la riflessione metacognitiva sui percorsi praticati, sulle strategie adottate, sui punti di forza e sulle criticità rilevati, per sviluppare consapevolezza e orientare scelte e percorsi.

In altri termini, riprendendo un’antica metafora sempre attuale, significa lavorare per costruire una scuola in cui i ragazzi non trovino più “solo roba fatta in serie”, ma “scaffali” ricchi di possibilità di scelta per menti differenti e di opportunità diversificate di sviluppo dei potenziali individuali (Claparede, 1920).

Lavorare per costruire “una scuola su misura” dell’alunno è un impegno senza dubbio delicato e complesso, che occupa l’insegnante ben oltre la durata del servizio settimanale e che andrebbe reso maggiormente visibile, valorizzato e riconosciuto a tutti i livelli, per acquisire il peso che merita.

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Immagine in testata di Photl (licenza free to share)

Antonia Carlini

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