150 ore a Torino e in Piemonte
Un invito a leggere, ma soprattutto a riprendere insieme riflessioni, proposte e nuove prospettive di impegno.
Cinquant’anni di 150 ore a Torino e in Piemonte [1]è il titolo di una recente pubblicazione curata da Enzo Pappalettera, presidente dall’Associazione culturale Vera Nocentini, e da Lucia Perona che ha diretto per vent’anni l’Associazione Formazione 80. Due personaggi chiave della ricca e esperienza piemontese dell’educazione degli adulti, dalle 150 ore ad oggi, fitta di sperimentazioni, riflessioni, proposte sul diritto allo studio dei lavoratori e sull’ apprendimento permanente. A cinquant’anni dal Ccnl dei metalmeccanici che introdusse nelle fabbriche i permessi retribuiti per percorsi di recupero scolastico e di sviluppo culturale, le due Associazioni hanno svolto una ricerca che, a differenza di altre incentrate sulla sola ricostruzione storico- politica di quell’ esperienza, dà conto, discute, sollecita a riflettere sulle esperienze fatte e sulle prospettive future – “l’evoluzione, i nodi, le contraddizioni, le aporie” – di quel sistema per l’apprendimento permanente che in Italia ancora non c’é. Il carattere locale della ricerca non ne circoscrive l’interesse nei soli confini territoriali di riferimento. Non solo perché i saggi, i rapporti monografici, le interviste ai protagonisti e ai testimoni di ieri e di oggi contenute nel volume inquadrano assai bene la realtà specifica nel contesto nazionale ma perché , dagli anni Settanta ad oggi, a ciò che si è fatto o si è tentato nel campo dell’educazione degli adulti a Torino e dintorni si è sempre guardato nell’intero Paese come a un’esperienza da cui si poteva imparare o con cui era comunque indispensabile interloquire. Grazie anche al meritorio lavoro di documentazione, condivisione, costruzione di reti svolto da Formazione 80, la rivista dell’Associazione omonima che ha fin dalla seconda metà degli anni Ottanta promosso e coordinato progetti locali, nazionali ed europei nel campo della formazione permanente, dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo degli adulti. Raccogliendo attorno a sé e al proprio lavoro, esperti, insegnanti, associazioni, sindacati, funzionari e dirigenti dell’amministrazione pubblica, istituzioni e docenti universitari.
Come si vede dall’indice, che riportiamo in calce[i], il volume frutto della ricerca si articola in più parti.
La prima è dedicata al modo con cui sono nate e si sono realizzate le 150 ore, al significato che ebbero in più mondi, da quelli sindacali a quello dell’educazione e della formazione, agli esiti delle prime realizzazioni e alla crisi che sopravvenne più avanti.
La seconda è incentrata sui percorsi innovativi e sperimentali messi in campo a partire dagli anni Novanta con cui si è tentato ( un esempio per tutti fu il Progetto Polis a cui il volume dedica analisi e riflessioni specifiche ) di dare continuità e sviluppo al nocciolo generativo delle 150 ore.
La terza, in cui si considerano i fattori che, riscolasticizzando l’educazione degli adulti, hanno fatto da ostacolo al decollo di un moderno sistema di apprendimento permanente e in cui si pongono utili interrogativi e suggestioni sulle prospettive. Un testo molto utile a fare il punto sullo situazione di oggi e, forse, a ricostruire una discussione sul merito e sull’attualità del tema.
Un testo tanto ricco di informazioni, analisi, riflessioni trainate da storie, interviste, saggi monografici merita qualcosa di più e di meglio di una sintesi che finirebbe col forzarne e impoverirne i contenuti. Pensiamo sia meglio proporne una lettura condivisa e, se possibile, la pubblicazione di reazioni e di approfondimenti. Crediamo sia questa, del resto, l’intenzione delle 11 domande sottoposte all’attenzione dei lettori fin dalla prefazione dei due curatori.
Problemi aperti, le domande:
1) Perché nel nostro paese non si è mai giunti all’istituzione di un sistema di educazione degli adulti?
2) Esiste oggi uno spazio politico per la ripresa di un’attenzione sociale e politica sull’educazione degli adulti ?
3) Se nella fase di avvio l’esercizio del diritto allo studio non fu solo finalizzato ad una più completa realizzazione individuale ma fu indirizzato a fini sociali e collettivi, esiste oggi una dimensione collettiva che possa motivare lavoratori adulti e cittadini a partecipare a forme di lifelong learning, a fronte di una tendenza non solo del lavoro ma dell’intera società in cui sembrano prevalere interessi e motivazioni di tipo solo individuale ?
4) In questi cinquant’anni in cui le esperienze in materia di Eda si sono accumulate, gli aspetti metodologico-didattici, anche attraverso le ricerche internazionali, hanno acquisito un notevole spessore. Si è pervenuti alla convinzione che sia una materia molto specifica, che richiede la formazione di specialisti, e che debba essere orientata alla formazione di una ristretta parte della popolazione, quella già occupata, già formata, che aspira a occupare posizioni privilegiate o dominanti. E’ una interpretazione convincente ?
5) A partire dai primi corsi nel 1974, è evidente la marcata evoluzione in senso storico delle 150 ore, dell’utenza e delle strutture operative: progressiva scomparsa dei corsi universitari che avevano caratterizzato i primi anni accanto ai corsi per ottenere la licenza media, riduzione del ricorso ai permessi retribuiti per lo studio e allargamento dell’esperienza a disoccupati, casalinghe, giovani drop-out, cittadini con lingua madre differente dall’italiano, utenza interessata alla prosecuzione negli studi oltre la licenza media; ma anche l’istituzione nel 1997 dei Centri territoriali permanenti (Ctp) e successivamente la loro trasformazione, nel 2012, in Cpia. Il tutto viene molto studiato, e se ne parla spesso utilizzando la categoria di “declino”. E’ corretta questa interpretazione ?
6) Questa riflessione apre la strada ad un ulteriore interrogativo: quali relazioni si sono determinate e persistono fra le 150 ore/educazione degli adulti e il mondo della scuola? Agli esordi dell’esperienza si sostenne, sia pure con articolazioni e sfumature diverse, che le condizioni di erogazione dell’educazione degli adulti potessero esserci solo nella scuola pubblica. Alla luce delle esperienze fatte dobbiamo domandarci se l’impianto complessivo del sistema scolastico italiano sia adatto ai rientri formativi in un mondo che richiede capacità di formulare domande più che di fornire risposte, competenze trasversali più che specifiche, adattabilità più che rigidità, pena l’esclusione professionale e sociale.
7) L’esperienza torinese e piemontese è segnata da esperienze particolarmente importanti e significative che si sono però realizzate solo andando oltre la sola scuola di Stato, tramite alleanze e intese con gli Enti Locali, la formazione professionale regionale e altre sinergie che hanno reso possibile una formazione a misura degli adulti. Nella prospettiva futura, quali relazioni possono essere costruite e con chi per collegare l’educazione degli adulti con la formazione continua e con la formazione professionale ? I Fondi interprofessionali paritetici sono un interlocutore adeguato? Domande analoghe riguardano, sempre in base alle esperienze fatte in area torinese, l’istruzione/educazione/formazione degli immigrati. Possono bastare i CPIA o occorre, anche qui, andare oltre la scuola di Stato ?
8) Le organizzazioni sindacali, attraverso le proprie donne e i propri uomini, delegati, quadri dirigenti, hanno svolto ruoli determinanti alle origini di questo percorso. Oggi quale ruolo svolgono i quadri e i dirigenti dei sindacati di categoria e territoriali ? Le interviste ad alcuni protagonisti degli esordi e del tempo attuale chiariscono l’evoluzione delle responsabilità e delle possibilità che oggi si presentano, con particolare attenzione all’ esperienza della bilateralità.
9) Agli inizi degli anni Settanta, la Flm e la Federazione unitaria Cgil, Cisl e Uil individuarono prevalentemente nella scuola di Stato e nelle università il luogo deputato in cui i lavoratori avrebbero potuto esercitare il diritto allo studio conquistato e rifiutarono le opportunità offerte dal sistema della Formazione professionale per evitare che potesse prevalere un’opzione padronale all’addestramento. Negli anni recenti, invece, l’intreccio fra elementi culturali e professionali si è dimostrato utile per lo sviluppo del mercato del lavoro e motivante per i singoli individui. Perché quelle tipologie di formazione terziaria non universitaria– pensiamo particolarmente agli Its – che sono state avviate in questi decenni, che potrebbero vantare un bacino di utenza potenziale assai vasto, non vengono adattate ed offerte al pubblico adulto e rimangono appannaggio pressoché esclusivo dei giovani diplomati?
10 ) La concorrenza internazionale ci induce a riflettere sul fatto che la qualificazione della forza lavoro disponibile rende un’area geografica più attrattiva per gli investimenti produttivi. È di attualità una proposta che possa vedere nuovamente collegate una riduzione dell’orario di lavoro congiunta con l’impegno a partecipare ad attività formative? Una linea di azione con queste caratteristiche può contenere anche la rivendicazione dell’accertamento, certificazione, formalizzazione del completamento positivo del percorso formativo non solo per l’aspetto soggettivo della gratificazione individuale ma anche per eventuali effetti su retribuzioni, carriere, passaggi di qualifica?
11) Il divario di competenze fra chi progetta e scrive i software e chi li usa (o ne è usato) è sempre più ampio e non possiamo ridurci a pensare che il superamento del divario digitale sia una battaglia definitivamente persa.
Immaginando che si proceda rapidamente sulla strada dell’intelligenza artificiale, è ragionevole auspicare che la nostra società si muova nell’ambito della formazione degli adulti attraverso una diffusione sempre più ampia di competenze culturali e digitali sia fra i lavoratori sia fra le cittadine e i cittadini di ogni età?
[1] Franco Angeli . Le impronte, 2024
[i] Indice
Prefazione, di Enzo Pappalettera e Lucietta Perona
Introduzione: i bisogni formativi degli adulti. Bisogno e domanda. Domanda e offerta, di Fiorella Farinelli
Parte prima – Le origini delle 150 ore in Piemonte
Una contestualizzazione storica, di Aurora Iannello
Il ruolo del sindacato nella nascita delle 150 ore, di Enzo Pappalettera e Gianfranco Zabaldano
L’educazione dei lavoratori: testimonianze da una parte e dall’altra. Interviste a Giuseppe Gherzi, Tom Dealessandri e Ivetta Fuhrmann
Parte seconda – Crisi o sperimentazione?
Gli anni Ottanta, Novanta e primi Duemila Un percorso complesso in pillole, di Lucietta Perona
Dalle 150 ore ai Cpia. Interviste a docenti del Gruppo Parini, a Marina Bertiglia e a Elena Guidoni
Dalla realtà della “scuola in carcere” al tentativo del “carcere scuola”, di Pietro Cappè
Il rientro in formazione di giovani adulti: il Biennio integrato, di Ludovico Albert
Il rientro in formazione: progetto Polis (scheda redazionale)
Le voci di due protagonisti di Polis. Intervista a Sergio Lanza e Ezio Bertolotto
L’integrazione dei sistemi: una prospettiva disattesa. È stato così, di Pasquale Calaminici
Parte terza – Orientamenti e prospettive Il ruolo del sindacato oggi. Intervista a Gianni Baratta, Teresa Cianciotta e Anna Poggio
Il mutamento dell’offerta regionale di formazione, di Luciano Capriolo
L’istruzione superiore degli adulti e 150 ore: un incontro mancato, di Luciano Abburrà
Innovazioni, limiti e prospettive nell’evoluzione delle attività formative delle 150 ore, di Renato Bresciani e Pasquale Calaminici
Per continuare. Intervista a Roberto Benaglia
Ieri, oggi e domani, di Massimo Negarville
Allegato
Le 150 ore e il diritto allo studio, di Adriana Buffardi (in «Quaderni di Rassegna Sindacale», nn. 52-53, 1975)