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A che punto sta la scuola? (parte 2)

Pubblicato il: 05/10/2015 11:04:44 -


Analizziamo cosa manca nella legge 107.
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Nella legge 107 manca una proposta politicamente credibile e nuova sul personale. La contraddizione di fondo è che la politica del personale è da sempre la stessa, voluta dai governi e dai sindacati che, colpevolmente e con enorme opportunismo e miopia, hanno prodotto graduatorie eterne, che non hanno permesso lo sviluppo di professionalità serie e utili.

Le graduatorie rispecchiano qualificazioni vaghe (per discipline e/o per discipline affini), formazioni generiche, finalizzate a cumulare punti e non legate a specifiche funzioni; i master spesso servono alle università per fare soldi, ma permettono di scorrere nelle graduatorie forse, più velocemente, verso le sedi desiderate (gli studi Miur, Banca d’Italia, Fondazione Agnelli, sulla carriera dei docenti dicono che questa consiste solo in lentissime mobilità territoriali).

Stupisce che nessuno abbia saputo prevedere che proprio la difesa del posto sul territorio avrebbe fortemente pregiudicato le operazioni di stabilizzazione del personale, insieme alla sfiducia che i docenti dimostrano verso i titoli che i loro colleghi esibiscono (“mi passa avanti chi ha preso idoneità o abilitazione dove hanno promosso tutti ecc…”) e alla denuncia della follia di una politica che fa utilizzare il sostegno o l’educazione degli adulti per accumulare punteggio.

Il rischio di un abbassamento della qualità didattica è reale; qui però si dovrebbero denunciare con molta forza le responsabilità di politiche sciagurate, di cui il sindacato è stato ispiratore più che complice, e che, forzando il dettato costituzionale, hanno trasformato in vincitori i non bocciati a un concorso e poi hanno aperto agli abilitati (anche a quelli dei percorsi speciali, anche a quelli delle scuole paritarie) e oggi, pare per necessità, ai non abilitati nelle graduatorie della scuola (tra l’altro qui i presidi di fatto hanno garantito e continuano a garantire assunzioni senza controllo e nessuno se ne è mai preoccupato).

Oggi è necessario invertire la logica, chiudendo un capitolo (ma come?) e iniziando a costruire carriere diverse per docenti che già fanno lavori diversi; basti un esempio: si continuano a tenere dentro lo schema della scuola attuale, senza garantire nulla di serio (al di là dell’impegno e della qualità di molti docenti), i docenti di sostegno e quelli dei percorsi per adulti.

Questi docenti devono ormai avere il riconoscimento di uno status diverso, con organico, sedi, orari, tempi di lavoro e retribuzioni diversi; si tratta di docenti impegnati in attività di educazione/ istruzione e formazione, che devono avere un riferimento al territorio, in strutture funzionanti per tutto l’anno.

Le reti, le scuole aperte di pomeriggio? Forse vanno bene, ma non basta se non si consolidano figure nuove. La funzione docente non è tutta uguale. Definire bene le carriere viene prima di premi e “premietti” (che già oggi appaiono improponibili); se non si opera seriamente in questo senso, si mortifica il personale e non si risponde al diritto allo studio garantito dalla Costituzione.

Perché non si cerca di puntare sulla scommessa della progettazione triennale della offerta formativa legata all’organico funzionale? In astratto la cosa parrebbe dover funzionare; se fai un progetto che serve hic et nunc non può durare a vita, ma sicuramente il know how acquisito non sarà spendibile nei periodi successivi, in scuole appartenenti alle medesime reti territoriali, come, docente non più licenziabile , interessato al proprio sviluppo professionale.

Non si tratta di salti nel vuoto ma di sperimentazioni che, in concreto, concilino l’esigenza di una formazione solida per i ragazzi su alcune competenze essenziali, in cui i nostri studenti sono carenti (Italiano, matematica, lingua, straniera e nuclei interdisciplinari con valore orientante), e la possibilità di rendere flessibile un pezzo di curricolo che solleciti la responsabilità diretta dei ragazzi nella propria formazione.

I diritti dei docenti vanno salvaguardati, ma non tutti i lavori sono uguali; le reti sul territorio, le classi potenziate, ecc. già un po’ esistono. Anche qui si tratta di sperimentare quello che già c’è e migliorarlo, senza lasciare tutto come è, per non spaventare tutti. Per dirla in modo molto semplificato, se non si lavora sulle figure professionali, non si riconoscono funzioni diverse (pagate in modo diverso ecc…) non si va da nessuna parte.

La valutazione

In un quadro di questo genere si può collocare la funzione della valutazione del personale, a partire dalla valutazione della efficacia dell’azione del dirigente, fermo restando però il principio che il soggetto della valutazione deve essere esterno alla scuola. La terzietà della valutazione è una condizione di pulizia, mentre la 107 su questo punto fa un pateracchio: una valutazione tutta interna alla singola scuola + un deus ex machina esterno.

Si tratta di partire da un fatto: la valutazione di tutto il personale è una garanzia per l’esercizio del diritto allo studio, serve per dare supporto vero ai bambini e ai ragazzi che partono da situazioni di svantaggio, per potenziarne e compensarne le difficoltà, ma non per assolvere e giustificare a priori qualsiasi risultato.

Se lavori in una scuola disagiata devi essere sostenuto, al fine di garantire allo studente competenze confrontabili con quelle degli altri. Lo scandalo del Sud si ripete ogni anno e non si fa mai un’analisi delle cause vere (i tanti soldi europei sperperati, le valutazioni ammorbidite, ecc. ecc.). Forse bisognerebbe avere il coraggio di fare due cose:

1) potenziare il sistema di valutazione nazionale, per avere un’informazione precisa anno per anno dei livelli raggiunti dagli studenti e per studiare le cause di successi e insuccessi (l’Invalsi sta lavorando molto per aggiustare strumenti ed obiettivi), ma senza fare confusione tra valutazione del singolo alunno (vedi voto dell’esame di scuola media e nel biennio) ed eventuale valutazione del singolo docente da premiare o punire (questa logica perversa di Tremonti + Gelmini ha compromesso il lavoro del SNV fin dall’inizio).

2) potenziare l’autovalutazione delle scuole, aggiustando il modello attuale per sostenerle e coinvolgerle in interventi responsabili di cambiamento, mettendo a disposizione personale (organici finalizzati) e risorse. I dirigenti vanno responsabilizzati e valutati ma, senza inventare sceriffi e ducetti, dovrebbero essere obbligati a rendere conto al collegio dei docenti delle scelte che fanno, soprattutto per l’individuazione del personale necessario alle esigenze delle scuole. Certo il modello dell’autonomia dell’università in questo senso è un pessimo esempio, ma siccome non si può essere persone per bene per legge, qualcosa andrà pure tentato.

La 107 evidenzia infine una mancanza di prospettiva, un buco, in relazione all’educazione degli adulti. La vicenda dei nuovi centri provinciali è emblematica, soprattutto per la mancanza di contiguità di questi con il diritto alla istruzione e formazione per tutta la vita. Giocano troppi interessi e minime capacità/volontà di innovare.

Il governo ha il dovere di presentare un bilancio di quello che si è fatto / non fatto, almeno in questi ultimi due anni, e di stabilire alcuni punti fermi, dalla valorizzazione della dimensione territoriale dei centri alla attenzione alle diverse tipologie di utenza (stranieri ecc.) e, come detto sopra, alla specificità di funzioni e di professionalità.

Per approfondire:

La mobilità dei docenti, Fondazione Giovanni Agnelli 2009


G.Barbieri – P.Cipollone -. P.Sestito, Labour Market for Teachers: Demographic Characteristicsand Allocative Mechanisms, Banca d’Italia 2008

Vittoria Gallina

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