Le competenze, per una diversa organizzazione del sistema formativo
L’apprendimento per competenze ha bisogno di cambiamenti profondi. Le deleghe della legge 107 possono essere l’occasione giusta per realizzarli.
Imparare, oggi vuol dire principalmente acquisire conoscenze e restituirle al docente, il quale valuta la prestazione in base ai risultati attesi: una visione autoritaria che impone una determinata forma-zione; mentre un approccio personalistico e democratico mette al centro chi apprende e lo aiuta ad assumere la propria forma pur indirizzandolo verso obiettivi definiti.
Il confronto internazionale, soprattutto le politiche messe in campo dall’Unione Europea, ha accentuato l’integrazione tra gli aspetti più generali e personali della formazione stessa e quelli più legati alla realtà, avvicinata sempre di più al mondo produttivo.
Sebbene nella nostra scuola la didattica sia ancora molto diversificata e anche i documenti che la dovrebbero indirizzare siano ancora disomogenei, alla fine del secolo scorso è stata introdotta un’ulteriore novità: le competenze. Si tratta di una “relazione” tra un soggetto e una specifica situazione, che non è ricavabile né da un’esclusiva analisi di natura tecnica dei compiti lavorativi, né dalla definizione di una somma di conoscenze e capacità astrattamente possedute da una persona. Esse scaturiscono dall’analisi di un “soggetto in azione”; costituiscono un concetto sistemico, un mix integrato di risorse di natura diversa che vengono dinamicamente combinate dal soggetto nell’esercizio di … (guida al modello di certificazione degli IFTS).
Si deve educare al “cambiamento di complessità” delle situazioni di apprendimento, che non si trovano solamente a scuola, ma più facilmente altrove. Le competenze si esprimono nello stabilire legami tra conoscenze e capacità richieste e possedute, per far fronte a situazioni di apprendimento via via crescenti. Il primo cambiamento profondo sta dunque nella didattica: da trasmissiva e consegnativa ad attiva e centrata sulla ricerca e rielaborazione; dalla fissità dell’aula alla dinamicità del laboratorio; dall’autoreferenzialità della scuola alla costante interazione con la realtà sociale e lavorativa.
Su questa lunghezza d’onda i saperi devono essere ricomposti secondo modalità di tipo metacognitivo (riflessivo-innovativo), trasversale – capaci cioè di intercettare diversi contenuti e legami tra di essi – e organizzativo, che operino sulla complessità.
Un tale impianto esige un secondo cambiamento importante: la modalità di valutazione. Pur essendo necessario operare all’interno di standard/profili, più qualitativi e progressivi che quantitativi e sommativi, desunti a seconda degli obiettivi da ambiti sempre più vasti, l’apprendimento sarà valutato coerentemente attraverso “crediti” che meglio descrivano le competenze acquisite rispetto a quelle richieste per la prosecuzione degli studi o la transizione al lavoro.
La valutazione per competenze si colloca nell’ottica della formazione continua, il cui impianto metodologico potrebbe già iniziare nel periodo scolastico per proseguire nell’educazione degli adulti, offrendo un’occasione formativa fortemente personalizzata, riassumibile nel “portfolio” delle competenze come strumento di capitalizzazione e autovalutazione.
Per far uscire i diversi sistemi formativi dalle loro tradizioni e cercare una strada comune, l’UE ha prodotto le “competenze chiave di cittadinanza” alle quali ci si dovrebbe ispirare e, benché ne venga condivisa l’impostazione, manca ancora una visione professionale concorde per la loro applicazione generalizzata nei vari Paesi. La formazione dei docenti, infatti, non ricerca processi di analisi disciplinare in tal senso, ma si limita a enunciare il principio unificante che poi viene lasciato alle diverse interpretazioni, cercando in maniera ancora troppo morbida qualche risultato riconoscibile e certificabile al termine del percorso formativo. Anche nel nostro “rapporto di autovalutazione” mancano gli indicatori per la valutazione delle competenze chiave di cittadinanza.
L’organizzazione del curricolo deve ricercare la massima flessibilità: è lo studente, come accade anche in altri Paesi, che costruisce il proprio curricolo, anche frequentando scuole diverse o ambienti diversi in cui si apprende anche attraverso l’operatività, senza dimenticare la principale funzione di crescita della formazione o indulgere allo sfruttamento del lavoro precoce.
Seguendo questa strada si incontra un altro incrocio decisivo: aumentare le azioni orientative e diminuire le ripetenze. Ripetere un anno forse non serve più davvero perché, anziché spingere sul recupero di un intero programma, meglio sarebbe offrire crediti laddove siano stati raggiunti degli obiettivi ed orientare verso la costruzione di un progetto lavorativo e di vita attraverso un adeguato “bilancio delle competenze”.
La conclusione sul piano istituzionale sarà un sistema nazionale di certificazione delle competenze da usare come crediti anche a livello europeo, a cui corrisponderà l’accreditamento delle agenzie nel campo dell’istruzione e formazione professionale.
Qui ci sono ancora ostacoli sul piano della didattica, che vanno risolti con la formazione dei docenti e con il confronto internazionale; dell’autonomia delle scuole per quanto riguarda la costruzione del “curricolo dello studente”; del sistema di valutazione e il riconoscimento dei crediti; del collegamento tra la formazione iniziale e continua, le uscite e i rientri da e per il lavoro.
Nella legge 107 c’è uno spazio, tra le deleghe, per contribuire a costruire finalmente un’ossatura che renda più moderno il nostro sistema e favorisca la circolazione dei nostri giovani a livello internazionale, alleggerendo tra l’altro la questione del valore legale dei titoli, che molto fa discutere da parte di chi li rilascia e molto poco interessa chi li deve riconoscere. E non costerebbe nemmeno tanto.
Immagine in testata di didatticapercompetenze.wordpress.com
Gian Carlo Sacchi