Federalismo e sistema di istruzione
Con la definizione del federalismo si deve aprire il percorso di riflessione e di confronto per far emergere questioni rilevanti rispetto agli assetti istituzionali e organizzativi del sistema di istruzione e alle politiche per la scuola e la formazione.
Nel confronto politico culturale sul “federalismo” e sugli effetti delle misure federaliste sul sistema di istruzione, si intrecciano e sovrappongono significati assai diversi.
Tra questi il compimento del dettato Costituzionale sulla ripartizione delle competenze legislative, il riflesso della norma Costituzionale sull’assetto del sistema fiscale, l’avanzamento coerente del processo di riforma delle Pubbliche Amministrazioni innescato negli anni ’90, il decentramento amministrativo, la politica della spesa pubblica per i servizi ai diritti di cittadinanza, la deconcentrazione del potere amministrativo e l’interpretazione operativa del principio di sussidiarietà.
Nella disamina di tale percorso di riflessione e confronto, emergono questioni rilevanti rispetto agli assetti istituzionali e organizzativi del sistema di istruzione e alle politiche per la scuola e la formazione.
1. La traduzione operativa, in termini di legislazione e di amministrazione, del dettato dell’art.117 del Titolo V della Costituzione, per quanto previsto in merito all’Istruzione. La legislazione dello Stato (norme e principi generali, determinazione dei Livelli Essenziali di prestazione) non si connette ancora in modo appropriato a quella regionale. Il terzo soggetto della governance di sistema (le istituzioni scolastiche autonome) non ha ancora una definizione convincente degli ambiti e strumenti di espressione delle sue competenze. Gli interventi legislativi e normativi che si sono succeduti in questi anni sul sistema scolastico presentano, nelle legislature successive, elementi più che discutibili sotto il profilo della metodologia istituzionale collegata al dettato costituzionale. La “catena di senso” che va dalla definizione dei principi generali e delle deleghe legislative alla disposizione degli strumenti delegificati (regolamenti) è stata spesso interpretata in modo contraddittorio (vedi i provvedimenti più recenti, ma anche quelli precedenti come l’obbligo scolastico introdotto per legge finanziaria).
2. La politica di spesa pubblica e i suoi vincoli generali, nella prospettiva del federalismo fiscale deve essere riconsiderata nel suo insieme. L’inesistenza in materia di istruzione di una vera a propria declaratoria di Livelli Essenziali di Prestazione con la quale lo Stato si impegna alla erogazione di servizi al diritto eguale di cittadinanza, non consente di dare al rapporto tra fiscalità generale, fiscalità locale e trasferimenti dallo Stato alle Regioni, una base solida di confronto. Il riferimento alla “spesa storica” in assenza di una “spesa standard” mantiene intatti i rischi della inefficienza della spesa stessa, della disuguaglianza della sua composizione e distribuzione, e la problematicità sociale e politica delle funzioni di riequilibrio a carico della spesa statale.
3. La convenienza sociale dell’investimento in istruzione non può essere misurata esclusivamente sulla quantità e qualità della spesa statale. Il sistema delle autonomie locali deve essere a tutti gli effetti partner della definizione della strategia pubblica per l’istruzione. E la spesa relativa ne deve essere conseguenza e “segnale”, e dunque superare il significato tradizionale di contributo per servizi (mense, trasporti, provvidenze al diritto allo studio). Ma una politica di investimento in istruzione interroga anche il rapporto tra ricchezza privata e risorse pubbliche (sia statali che delle autonomie locali). Un interrogativo che investe sia le quantità economiche sia la disponibilità a spendere dei cittadini in termini di valori che presiedono alla domanda e alla composizione dei consumi privati e collettivi. Dai confronti internazionali emerge infatti una più alta spesa statale per istruzione abbinata ad una più bassa spesa delle famiglie. Il confronto mette in luce contraddizioni circa il “valore sociale” riconosciuto all’istruzione: un elemento critico di cui tenere conto nel determinare una politica economica specifica per la scuola e in generale per il paese.
4. Nella composizione delle risorse economiche su cui operano le istituzioni scolastiche autonome si va consolidando una sostanziale tri ripartizione: fondi statali (calanti), fondi di provenienza dal sistema delle autonomie, fondi volontari (crescenti e non vincolati per destinazione) provenienti dalle famiglie e dai privati. Anche per tali ragioni strutturali, le scuole autonome si vanno configurando congiuntamente come Enti Pubblici legati al Ministero, e come “imprese sociali” che operano nella sussidiarietà, rispetto al diritto all’istruzione esercitato dalla comunità locale di riferimento. Si pone perciò come questione “matura” quella del rapporto tra istituzioni scolastiche autonome e terzo settore.
Occorre dare a tale questione risposta positiva e di sviluppo definendo strumenti e opportunità per superare congiuntamente il rischio dello sbocco privatistico (le scuole che “diventano” Fondazioni versus l’alternativa della possibilità delle scuole di “dare vita” a soggetti del terzo settore) e quello connesso della pura soggettività del contributo proveniente dalla ricchezza privata e delle famiglie.
Scarica il saggio inedito di Franco De Anna dal titolo “A proposito di federalismo scolastico”.
Franco De Anna