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Competizione no, ma comparazione si!

Pubblicato il: 13/01/2016 11:39:12 -


A proposito di EaG 2015
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Forse per deformazione professionale ho letto la Buona scuola inforcando gli occhiali del cultore di organizzazione scolastica. Allora voglio fare una riflessione sulle problematiche relative al controllo della qualità dell’insegnamento/apprendimento, oggetto, tra l’altro, dell’analisi comparativa del rapporto Ocse “Education at a Glance” 2015. Ho preso a riferimento l’obbligo di istruzione, ma lo stesso ragionamento si potrebbe applicare anche per ognuno degli step previsti nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli. Sapere di sapere (poco) Nella riflessione che propongo vengono poste a confronto due scuole A e B, una più virtuosa dell’altra, oggettivamente o soggettivamente, che si comportano diversamente. Immaginiamo di poter schematizzare in un grafico l’insieme dei saperi e delle competenze raccomandati dall’Unione Europea per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e definiamo pari a 100 questo insieme.

Il recepimento nel sistema nazionale di istruzione delle raccomandazioni europee comporta, quale obbiettivo dell’obbligo scolastico, il medesimo insieme di saperi e di competenze per lo stesso valore di 100 (ma si sarebbero potute prendere a riferimento le indicazioni nazionali per un determinato anno del curricolo di qualsiasi grado o indirizzo).

Il POF d’istituto, il Collegio dei docenti, i Dipartimenti d’area disciplinare nella loro autonomia adattano le indicazioni nazionali alle esigenze del territorio e del contesto sociale in cui insiste la scuola. Nel nostro esempio gli obiettivi della scuola A comprendono il 90% delle indicazioni del Miur, mentre quelli della scuola B il 95%.

Ogni Consiglio di classe programma l’attività didattica fissando gli obiettivi contestualizzati agli alunni frequentanti il gruppo classe. Qui sono stati calcolati nella scuola A obiettivi pari all’80% di quelli delineati dal POF d’istituto, mentre nella scuola B il 90% del POF.

Sappiamo che nel corso dell’anno scolastico il tempo effettivo di svolgimento delle lezioni è forzatamente ridotto da eventi interni ed esterni alla vita della scuola. Pertanto capita spesso che gli insegnanti devono riprogrammare gli obiettivi del consiglio di classe. Problemi strutturali, ritardi negli incarichi dei docenti, manifestazioni, malattie, elezioni e mancanza di riprogrammazione portano, in alcuni casi, a una riduzione del programma effettivamente svolto; calcoliamo qui del 30% per la scuola A e del 20% per la scuola B.

Mettiamo a fuoco ora la valutazione degli apprendimenti degli allievi alla fine dell’anno scolastico e prendiamo in considerazione l’alunno modello che ha appreso e “rendicontato” al 100% il programma svolto dai suoi insegnanti, in termini di saperi e competenze raggiunti (valutazione “ottimo”).

Nella stessa classe c’è un altro allievo che ha raggiunto solo il livello minimo accettabile per la promozione (valutazione “sufficiente”). Per A “sufficiente” vuol dire (60% di 50,4) il 30,2% dei saperi/competenze previsti. Per B “sufficiente” vuol dire (60% di 64,8%) cioè il 38,8%.

Da questo esempio, forse un po’ paradossale, si ha un’idea di come il nostro output formativo sia molto lontano dagli obiettivi che il sistema europeo di istruzione e formazione ha posto come base del confronto internazionale riportato nel rapporto Ocse “Education at a Glance” 2015. Il problema è enorme perché è su quegli obiettivi che vengono parametrati i test dell’Ocse (attraverso le prove Invalsi), i test di ammissione all’università, i colloqui di lavoro, la libera circolazione dei lavoratori e l’equiparazione dei titoli di studio in Europa. Ma anche nel micro sistema dell’istituto scolastico la realtà è complessa. Se nella mia classe arrivano alcuni alunni promossi con “sufficiente”, cioè con il 30% dei prerequisiti necessari, sarà impossibile programmare un’attività formativa che porti gli allievi a raggiungere gli obiettivi del livello successivo che il Miur mi pone attraverso le indicazioni nazionali. Oppure ignorerò il problema, dando per scontato che tutti “sappiano”. Creerò bocciature, frustrazioni, abbandoni. Cosa fare?

Bisogna uscire dalla secolare tradizione dell’organizzazione della didattica intesa come una rigida catena di montaggio. Oggi non è più così! Il sapere è presente nell’etere a disposizione di tutti. Tutto il sapere: quello buono e quello cattivo. E’ a disposizione del bambino di pochi anni, degli adulti e degli anziani. Lo può raggiungere l’adolescente di New York, di Benjin o del Mali. Tutto il sapere! Questo disarticola il modello che fin qui ha organizzato i luoghi dell’apprendimento, modifica profondamente la funzione degli insegnanti e la loro preparazione professionale, rivoluziona le relazioni con chi apprende e ne modifica radicalmente la certificazione dei percorsi d’apprendimento individuale. In questo modello non si può utilizzare la “didattica mite” richiamata da Walter Tocci (La scuola, le api e le formiche – 2015). Le aule, intese come spazio fisico, e le classi, intese come raggruppamento omogeneo di ragazzi, non possono più esprimere il modello di insegnamento/apprendimento nella società moderna; altrimenti si ricade nel fossato tra maestro e allievo che Tiriticco ha richiamato citando Raffaele Simone: “lento contro veloce, complicato contro semplificato, articolato contro elementare, noioso contro divertente, profondo contro brillante” (R. Simone, Presi nella rete, la mente ai tempi del web, Garzanti 2012, p 115). Il tempo scuola è sempre più insufficiente e quegli insegnati che raggiungono obiettivi del 50% non sono quasi mai cattivi insegnanti; è il modo di “fare scuola” che non è più in grado di rispondere alle esigenze moderne. La scuola è stata marginalizzata nel nostro Paese e in parte si è marginalizzata da sola. L’edilizia scolastica, le tecnologie, la formazione iniziale degli insegnanti, il riconoscimento della professionalità, l’organizzazione sindacale, prima delle risorse finanziarie, costringono questa funzione essenziale per la società ad un conservatorismo pericoloso. Dissento con chi riesce a vedere solo la parte mezzo vuota del bicchiere e sottolinea solo quello che si sarebbe potuto fare, mentre ci si potrebbe rendere conto che, dopo parecchi lustri, c’è una particolare attenzione al miglioramento della scuola, nonostante la crisi persistente. In questo senso la “Buona scuola” può essere utilizzata per recuperare quel gap formativo. L’informatica, la tecnologia, l’alternanza scuola-lavoro, la stabilizzazione dei docenti, il potenziamento dell’organico non sono appendici o corollari del fare scuola ma rappresentano strumenti per il sapere stesso, amplificando lo spazio-tempo della scuola.

La tecnologia non può essere inseguita dalla scuola perché diventa velocemente obsoleta: quindi bisogna uscire da scuola in modo reale o virtuale. Per programmare in alternanza scuola-lavoro bisogna fare un salto culturale e professionale enorme, cominciando dai dirigenti. Allora viene bene la formazione permanente in servizio dei docenti: nazionale o locale, collettiva o individuale. Misurabile; affinché l’arcaico, non più proponibile, parametro della misura della professionalità collegato all’anzianità di servizio possa dare alla contrattazione delle remunerazioni una concretezza di progresso.

Sergio Bailetti

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