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Omaggio a Jean Piaget

Pubblicato il: 19/11/2012 16:20:02 -


L’autore ripercorre le tappe più importanti del fondamentale contributo di Piaget all’educazione e sottolinea l’attualità della sua ricerca.
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INSTITUT DE PSYCOLOGIE ET EDUCATION

Université de Neuchâtel, Svizzera – UNINE

ASSOCIAZIONE NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI – ANDIS

Giornate internazionali di studio – Neuchâtel, 9/10 novembre 2012

IL COMPITO DEL VIVENTE: SOPRAVVIVERE E RIPRODURSI

I viventi di tutte le specie apprendono nella misura in cui i singoli organismi devono sopravvivere e riprodursi. Ciascun vivente apprende secondo i programmi genetici e i quadri concettuali che gli sono naturalmente dati.
In linea generale possiamo dire che ogni vivente, dagli esseri unicellulari all’uomo, per sopravvivere deve adattarsi all’ambiente secondo un processo che Jean Piaget distingue in due stadi: “assimilazione” e “accomodamento”. Se piove, io mi riparo; se ho freddo, io mi copro; se ho fame, io mangio; se ho uno stimolo sessuale, io mi riproduco. Sono le strategie imposte dalla natura e adottate per sopravvivere e riprodursi! Sono le chiavi dell’apprendimento! Se non si apprende, muore l’individuo e muore la specie.
Per il vivente uomo apprendere significa acquisire attitudini, atteggiamenti, conoscenze, abilità, comportamenti e competenze sempre nuove per risolvere i problemi di diversa natura che di volta in volta gli vengono proposti nelle relazioni interpersonali, nel sociale, nello studio/ricerca, nella professione, nel lavoro.
Più si è piccoli e più si deve apprendere, e anche con alta velocità. La “costruzione” del cervello non è automatica, ma si sviluppa in rapporto agli stimoli cui è sottoposto. Stimoli ricchi sollecitano apprendimenti altrettanto ricchi; stimoli poveri sollecitano apprendimenti poveri.
Per il nuovo nato la necessità di sopravvivere e riprodursi sempre in meglio e al più presto è molto forte. Le strategie innate sono molteplici. Infatti, la curiosità, l’imitazione, il mettersi e il mettere alla prova, il “gioco” (che gioco non è), in quanto misurarsi con se stessi, con gli altri, con gli oggetti e gli eventi sono molle poderose! Ed è per queste ragioni che i bambini… non stanno mai fermi! Poi, man mano che si cresce e si acquisisce coscienza di sé, la reazione agli stimoli tende a diminuire, perché è più importante conservare e rinforzare ciò che via via si apprende. Per queste ragioni gli adulti a poco a poco tendono a… “stare seduti”! E quando si è vecchi, addirittura a guardare indietro: “Ai miei tempi…”.

LA METAFORA DELLA CARRIOLA

Per quanto riguarda le numerose e complesse attività dei bambini, ciò che chiamiamo gioco, gioco non è! Si pensi a quanto un bambino apprende con un semplice girotondo: i bambini si cercano, maschi e femmine, si riconoscono, si accettano o meno, si prendono per mano, tirano e mollano, si prendono e si lasciano, destra e sinistra, avanti e indietro, su e giù, alto e basso, movimento e ritmo, canto e memoria, obbedienza a dati comandi… e così via! Ogni gioco, in effetti, è occasione di apprendimento e di costruzione del Sé! Si rifletta su quanto i bambini apprendono con i giochi cosiddetti classici: moscacieca, nascondino, quattro cantoni, i mille possibili giochi con una semplice palla, con paletta e secchiello sulla spiaggia… e i giochi linguistici, gli indovinelli, “è arrivata una nave carica di…”. Noi pensiamo che i bambini giochino, ma in effetti i bambini “lavorano”! Fortunatamente non hanno il senso del “lavoro” e ridono e si divertono! Ma… se sapessero quello che verrà dopo… In effetti, più si accede al mondo adulto, più difficile e complesso diventa l’apprendimento, per non dire poi dell’apprendimento formalizzato, quello che, ad esempio, viene richiesto dall’evoluzione continua dei processi lavorativi.
Lo sviluppo/crescita e l’apprendimento di un bambino si svolgono lungo un processo interattivo che potremmo chiamare curricolare! Ecco quindi il curricolo, il piccolo currus dei Latini, ovvero, la metafora del carretto o della carriola! Il nuovo nato cresce, si sviluppa e apprende nella misura in cui il suo organismo è investito dagli stimoli che sono lanciati dall’ambiente e dalle persone che lo circondano. Ad ogni Stimolo il bambino deve Organizzare una Risposta: la triade SOR: la risposta non è mai meccanica! E non mi si accusi di behaviorismo! Pertanto, ciascuno di noi non è un unicum chiuso in se stesso, ma fin dalla nascita è dotato di una… carriola invisibile, che dovrà spingere per tutta la vita – ma soprattutto nei primi anni di vita, dalla nascita alla maturità – una carriola, il curriculum, appunto, in cui altri lanciano costantemente – consapevoli o meno – dei mattoni, uno dopo l’altro, gli stimoli! Con questi il bambino deve fare costantemente i conti: “accomodamento”, “assimilazione”, “adattamento”, per dirla con Piaget! Se gli stimoli sono significativi, è bene, il bambino cresce, altrimenti… il bambino soffre e il suo futuro viene sonoramente pregiudicato!
A questo proposito è bene ricordare la polemica di Piaget con Vygotsky: Piaget sostiene la primazia dei fattori innati; Vygotsky – siamo nell’Unione sovietica degli anni Venti e Trenta – la primazia dei condizionamenti sociali. La polemica poi fu superata e la metafora della carriola ne può rappresentare la soluzione operativa. In effetti, natura e cultura interagiscono vicendevolmente. Nessuno di noi è nudo a fronte delle difficoltà della vita: le affronta con quella cognizione di causa che la cultura, appunto, gli suggerisce.
La scuola, a sua volta, lancia i suoi stimoli e dà luogo, appunto, al curricolo scolastico… che è poca cosa a confronto con il quotidiano curricolo imposto dalla vita. E progettare e gestire un curricolo scolastico non è affatto cosa agevole: in quale misura si intreccia con il curricolo del vivere quotidiano? È l’interrogativo di sempre – esplicito o implicito che sia – che assilla ogni insegnante! E progettare attività di educazione, istruzione e formazione coerenti con un possibile curricolo scolastico è la competenza principe di un team di insegnanti!

SPAZIO E TEMPO, ANALOGICO E DIGITALE COME CONDIZIONI PRIME PER APPRENDERE

Lo sviluppo/crescita di un vivente si realizza in un contesto socioeconomico e culturale, lungo una graduale costruzione e conquista del Sé sugli assi ortogonali dello Spazio (l’asse orizzontale del qui e del là, di ciò che è a destra e ciò che è a sinistra, ciò che è vicino e ciò che è lontano, ciò che è sopra e ciò che è sotto) e del Tempo (l’asse verticale di ciò che è presente, l’atto di ciò che è passato, la memoria; e di ciò che è ipotizzabile e progettabile nel futuro). Lo Spazio è l’insieme degli oggetti che si vedono, si sentono e si toccano. Il Tempo è l’insieme dei concetti, che si pensano, ma non si vedono, non si toccano, non si sentono. Il codice genetico è sollecitato dagli stimoli ambientali e l’apprendimento si sviluppa dal meno al più in un processo circolare sempre crescente a spirale. Più gli stimoli sono ricchi e positivi, più l’individuo si afferma e si costruisce come persona AUTONOMA (l’identità) e RESPONSABILE (la socialità).
È così che il nuovo nato costruisce spazio/tempo, schema corporeo, socialità e intelligenza.
Sull’asse orizzontale sincronico dello spazio si costruiscono i rapporti tra corpo e oggetti. Dominano il toccare, il vedere, il sentire, le forme, i suoni e le immagini: l’ “analogico”, il continuo, le curve, l’ “indivisibile”.
Sull’asse verticale diacronico del tempo si costruiscono le catene dei concetti, memorizzati, archiviati, implementati. Dominano l’ascoltare e il parlare e le sequenze ritmiche: il “digitale”, il discreto, la retta, il divisibile, gli scalini.
Attenzione ai colori e alle forme! Il blu (colore freddo) e la retta suggeriscono il discreto, il digitale; il rosso (colore caldo) e la curva suggeriscono il continuum, l’analogico. Un rettangolo e un parallelepipedo sono “inchiodati” nello spazio; un cerchio e una sfera, invece, sono “instabili”.
Possiamo dire che gli oggetti concreti e le loro immagini sono analogici e interagiscono con l’emisfero destro del nostro cervello. Le parole dette e scritte, invece, sono digitali, simboli freddi, e interagiscono con l’emisfero sinistro del nostro cervello. Ed è nel costante mix di analogico e digitale che scambiamo dati e informazioni. I racconti a fumetti (disegno più parola scritta) sollecitano contestualmente la parte destra e quella sinistra del nostro cervello: ed è per questo che, per certi versi, la loro lettura è più accattivante.

L’INTELLIGENZA COME PRODOTTO SOCIALE

L’intelligenza umana non è un dato acquisito con la nascita, si costruisce nelle e con le interazioni spazio/temporali e sociali. Lo stesso Piaget soleva dire che l’intelligenze individuale è pur sempre un prodotto socioculturale. È possibile rintracciare almeno quattro fasi dello sviluppo dell’intelligenza nel corso della storia:
a) quella adattiva delle età primitive;
b) quella magico-intuitiva del lungo periodo delle credenze premonoteistiche;
c) quella razionale attiva, induttiva e deduttiva, logico-lineare, sequenziale, tipica di tutta la civiltà occidentale;
d) oggi ci troviamo di fronte ad un ulteriore cambiamento: lo sviluppo di una intelligenza interattiva, spaziale, sistemica, globale. Si tratta di un’attività cognitiva che sollecita aree diverse e, fino ad oggi, poco conosciute delle nostre facoltà cerebrali.
I “nativi digitali” di oggi nelle società ad alto sviluppo crescono in un mondo sovralimentato dai videogiochi, dai cellulari, da YouTube e da tutte le altre diavolerie che veicolano dati e informazioni a iosa sull’asse spaziale, forse a danno dell’asse temporale, su cui, invece sono veicolate le informazioni dal passato e si progettano propositi e idee per il futuro. Questa proiezione delle nuove generazioni sull’asse spaziale e su una sorta di eterno presente, più che su quello temporale, implica profondi cambiamenti nei modi di Essere, di Pensare e di Apprendere. In effetti le nuove generazioni sono sollecitate fin dalla nascita a costruire schemi cognitivi e quadri concettuali assolutamente nuovi, diversi da quelli che conosciamo.

LE FASI DELLO SVILUPPO/CRESCITA/APPRENDIMENTO

Ma torniamo a Piaget e ricordiamo le sue classiche quattro fasi dello sviluppo dell’intelligenza:
– Fase senso-motoria (0/3 anni): continuità e contiguità tra il soggetto e gli oggetti; non vi sono cause, non c’è futuro, ma un eterno presente; si attivano curiosità e interessi: tutto va toccato, afferrato, smontato…
– Fase intuitiva (3/7 anni): matura il pensiero egocentrico; il bambino proietta se stesso negli oggetti e si sente al “centro del mondo”; è la fase dell’egocentrismo in cui il bambino “cade” in una serie di errori sotto il profilo dei rapporti logici; è il mondo dei miti, della fiaba e della favola;
– Fase operatorio-concreta (7/11 anni): il pensiero del bambino interagisce con gli oggetti, supera l’egocentrismo e con il linguaggio riconosce regole e rapporti logico-formali tra gli oggetti;
– Fase ipotetico-deduttiva (11/14 anni): il soggetto si fa “adulto”, individua e fissa il valore del simbolo e dell’astrazione, definisce i rapporti formali che regolano l’attività del pensiero; elabora ipotesi e sa procedere anche per via deduttiva.
Potremmo anche sottolineare la grande fatica che deve fare il bambino quando passa da uno stadio che potremmo definire analogico (le prime due fasi piagetiane) a quello che potremmo definire digitale (le altre due fasi piagetiane).
Sono le fasi classiche del pensiero piagetiano che si succedono epigeneticamente e che potremmo rileggere… e riscrivere alla luce di quanto fin qui detto sullo sviluppo complessivo del bambino, oggi, sviluppo che impegna:
a) in primo luogo la corporeità,
b) poi l’intelligenza emotiva (rubiamo il concetto a Daniel Goleman) ed ancora,
c) l’intelligenza strettamente cognitiva (la matematizzazione, il linguaggio delle interazioni interpersonali), e infine
d) l’intelligenza socio collaborativa. Si tratta di quattro modalità qui rappresentate in successione, ma che in effetti nell’apprendimento/sviluppo si integrano e si arricchiscono vicendevolmente.
Ed ancora: le prime due fasi contribuiscono alla costruzione e alla definizione dell’identità personale, dell’autonomia (io sono Io); le altre contribuiscono alla costruzione della responsabilità sociale (io, in quanto sono io, penso e faccio questo e non altro…).
Quindi: a) l’identità personale in quanto “essere”: il corpo, la personalità, il carattere, le emozioni, l’insieme degli atteggiamenti personali; b) la responsabilità sociale, in quanto “fare”: le conoscenze, le abilità, le competenze, la professionalità al fine del vivere e cooperare insieme.

APPRENDERE PER LE COMPETENZE DI CITTADINANZA

Sono tutti concetti che rinviano alla ricerca piagetiana, ma che ritroviamo anche nell’elaborazione che in questi ultimi anni è stata effettuata in sede di ricerca europea per quanto attiene le finalità di un insegnare/apprendere in cui tutti i Paesi membri dell’Unione si possano e si debbano ritrovare! E soprattutto per quanto riguarda quella formazione obbligatoria di base che investe e accomuna tutti i cittadini europei, nati e/o arrivati in ciascuno dei 27 Paesi membri.
Com’è noto, la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 indica e definisce per tutte le scuole dei Paesi membri otto competenze, considerate chiave ai fini della capacità di esercitare, da parte di ciascun cittadino europeo, i suoi personali e inalienabili diritti di cittadinanza, necessari ai fini dell’apprendimento per tutta la vita. Le prime quattro competenze sono trasversali e pluridisciplinari e implicano un apprendimento vincente nelle discipline di base: a) comunicazione nella madre lingua; b) comunicazione nelle lingue straniere; c) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologie; d) competenza digitale. Le altre quattro investono la persona nella sua identità: a) imparare ad imparare; b) competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica; c) imprenditorialità; d) espressione culturale. Va anche considerato che una seconda Raccomandazione, varata in via definitiva il 23 aprile del 2008, insiste sul fatto che, “nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche, le competenze sono descritte in termini di responsabilità e di autonomia”.
E non è un caso che l’autonomia e la responsabilità sono concetti cardine del pensiero piagetiano. Per un soggetto, operare in autonomia significa agire con la piena consapevolezza dei limiti e delle opportunità entro cui le competenze acquisite possono esplicitarsi. E operare in responsabilità significa avere piena consapevolezza dei fini che si intendono perseguire in ordine a obiettivi predefiniti.

IL SÉ, IL SÉ E GLI ALTRI, IL SÉ E LE COSE

Nella scelta che è stata effettuata dal nostro Paese in ordine alla “curvatura” delle competenze di cittadinanza indicate dall’Unione europea (si veda il dm 139/07) alla nostra realtà scolastica, sono state effettuate le seguenti aggregazioni:
a) “imparare ad imparare” e “progettare”, competenze che afferiscono alla costruzione del Sé;
b) “comunicare”, “collaborare e partecipare”, “agire in modo autonomo e responsabile”, competenze che afferiscono alla costruzione delle relazioni del Sé con gli Altri;
c) “risolvere problemi”, “individuare collegamenti e relazioni”, “acquisire e interpretare l’informazione”, competenze che afferiscono alla costruzione di rapporti produttivi del Sé con le Cose, con la realtà naturale e sociale.
In altri termini, si considera il Soggetto in quanto tale (la sua personalità, i suoi atteggiamenti, ecc.); quindi nelle sue relazioni con gli altri da Sé; infine nella esplicitazione delle sue competenze professionali nel mondo del lavoro. In altri termini, la successione: io sono; io interagisco e collaboro; io faccio.
In conclusione, l’apprendimento è l’esito continuo di una costante attività del patrimonio genetico del vivente con gli stimoli lanciati dall’ambiente. Il che si realizza in un campo di comunicazione sempre attivo in cui due o più soggetti interagiscono. Per non dire quanto pesino sull’interazione verbale orale le funzioni e gli atti linguistici, di cui allo Jakobson e ai filosofi analitici inglesi. In effetti, la parola è pur sempre una grande fonte di apprendimento, soprattutto quella scritta che ci viene da secoli tanto lontani. Purché non diventi lezione cattedratica, una forma di informazione discendente che, se replicata “ad aeternum” in aule sorde e grigie, serve molto poco!

LA PAROLA DIGITALE, ALLA VIGILIA DI UNA NUOVA RIVOLUZIONE?

A proposito della parola scritta, va fatta un’ultima considerazione sui nuovi linguaggi digitali. La parola scritta è una conquista relativamente recente rispetto agli originari linguaggi non verbali e ai successivi scambi verbali orali: è povera di “fisicità”, è ricca di “cognitività”. Serve soprattutto a ricercare (sperimentazione, esegesi, ermeneutica) oltre che a informare e ad esprimere. La parola digitale oggi sembra mettere in discussione la primazia della scrittura, intesa come grafia e calligrafia e sembra recuperare tutto il grande insieme della comunicazione simbolica. Quale impatto hanno e avranno i linguaggi digitali sui linguaggi non verbali? Siamo alle soglie di ulteriori rivoluzioni?
Dalla cinestesi ai linguaggi non verbali; dai linguaggi non verbali all’oralità intelligente; dall’oralità alla scrittura alfabetica come esplorazione e invenzione; qual è il destino della parola digitale?
Piaget ci avrebbe senz’altro dato una mano!

Neuchâtel, 10 novembre 2012

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Maurizio Tiriticco

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