Percezione analitica: dalla scrittura alla lettura
Generalmente, i primi approcci dei bambini col mondo che li circonda sono di tipo globale, non avendo essi ancora acquisito le abilità che favoriscono approcci di tipo analitico, nei quali i singoli elementi che costituiscono un’informazione hanno un’importanza fondamentale; e spesso trascurarne anche uno solo, o non percepirne la mancanza, può portare a errori considerevoli. Si pensi a cosa succede quando nella scrittura di un numero si trascura lo “0”, o una qualsiasi altra cifra. In proposito voglio ricordare anche un caso a cui ho accennato in altre occasioni; si tratta di Emilia – 5 anni e mezzo, molto sveglia – a cui avevo mostrato l’indice e il medio di una mano. Alla mia domanda di quale numero si trattasse, ella rispose “tre”. In analogia, è come se qualcuno vedendo il disegno di una piazza romana – con un colonnato e una basilica, ma priva del famoso cupolone – dicesse che si tratta di piazza S. Pietro. Emilia si è comportata allo stesso modo. È vero, ella aveva visto solo l’indice e il medio; ma – essendo abituata a vederli nella rappresentazione del “tre” – anche se mancava il pollice (il “cupolone” della situazione!), secondo lei io avevo indicato il “tre”.
Perciò è necessario avviare quanto prima i piccoli alla percezione di tipo analitico, che fa capire – per esempio, volendo indicare il numero “due” – la differenza che c’è tra il mostrare insieme il pollice e l’indice, rispetto al grattarsi il naso, come può avvenire tra giocatori di carte.
La percezione globale nei bambini è di tipo spontaneo e si conserva nel tempo; invece quella analitica richiede un addestramento specifico. E se non s’interviene per tempo, può accadere che la pre-disposizione dei bambini verso di essa si atrofizzi – come altre predisposizioni che essi certamente hanno; si pensi a quella verso l’apprendimento delle lingue – pregiudicando così l’acquisizione di un pilastro fondamentale della conoscenza e dell’educazione alla razionalità.
Con ogni probabilità, è proprio la tendenza all’approccio globale da parte dei bambini che ha portato molti studiosi a pensare che l’insegnamento della letto/scrittura debba privilegiare quella caratteristica infantile. Secondo il metodo globale, nell’insegnare a leggere e a scrivere si dovrebbe far acquisire al discente – per l’analogia che c’è, per i sostenitori di quel metodo, con l’acquisizione del linguaggio orale – ciascuna parola nella sua interezza, senza spezzettamenti in segmenti, quali possono essere le varie sequenze di lettere dell’alfabeto, che per i “globalisti” sono astratte e innaturali. Perciò per loro il metodo alfabetico andrebbe bandito come primo approccio; anche se ciò non significa che in un secondo momento il bambino non debba acquisire consapevolezza dell’aspetto alfabetico della scrittura.
Comunque, noi siamo dell’avviso che la fase della parola scritta – dopo un adeguato esercizio con l’alfabeto muto – debba precedere quella della lettura, secondo il principio che è più facile riconoscere ciò che abbiamo prodotto noi stessi; il che agevolerà l’interpretazione di qualcosa di simile che sia stato fatto da altri. Del resto, il passaggio dalla scrittura ideografica a quella alfabetica ha fatto sì che quest’ultima abbia preceduto necessariamente la lettura, essendo venuta a mancare ogni parvenza di iconicità a volte presente nella scrittura ideografica, come evoluzione di antiche incisioni e pittografie, che sono da considerare a tutti gli effetti una prima e del tutto naturale forma di scrittura.
L’attività di scrittura con un bimbo – prima ancora di presentargli le varie parole già stampate, pronte per la lettura – dovrebbe aiutarlo a superare la propensione a percepire in modo globale ciò che gli si presenta. Tuttavia, poiché inizialmente le sue mani non sono ancora addestrate alla scrittura, egli sarà invitato ad assemblare delle lettere mobili prestampate, come un tempo facevano i tipografi con i loro caratteri.
Comunque, per superare le difficoltà iniziali dei nostri bambini è essenziale attivare un’educazione all’ascolto e alla percezione dei vari fonemi quanto prima possibile. Un mio collega cinese, dopo circa venti anni che è in Italia, ancora non riesce a percepire – e di conseguenza a riprodurre – il fonema “r”; invece suo figlio, giunto con lui all’età di sei anni, non ha alcun problema.
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Domenico Lenzi