Competenze: non tutto è scontato, ma… giugno è alle porte!
Emilio Molinari pone questioni teoriche molto importanti, che sono a monte di un insegnamento per competenze e che in effetti non risulta facciano parte di un bagaglio professionale totalmente condiviso da parte dei nostri insegnanti. In effetti, a livello ordinamentale ci siamo mossi verso tale modello sull’onda di quanto ci viene suggerito d’oltralpe e indicato dalle declaratorie dell’Unione europea, molteplici senz’altro, ma povere di riferimenti teorici e didattici di rilievo, più che su una necessità emergente dal nostro sistema di istruzione. Altra cosa è il mondo del lavoro che richiede qualifiche e titoli maggiormente spendibili, ma che il nostro sistema di istruzione, anche universitario, non sempre è in grado di intercettare e garantire. È un insieme complesso di ragioni che ci fa comprendere perché oggi dobbiamo curvare sulla certificazione di competenze più che sulla valutazione di conoscenze.
Io stesso, che condivido la scelta operata nel nostro Paese, so benissimo che la nostra amministrazione non è andata molto al di là degli inviti, a volte molto perentori e scarsamente traducibili in azioni didattiche. Le leggi son, ma chi pon mano ad esse, quando il corredo normativo è insufficiente? Quando poi è insufficiente la stessa riflessione teorica, più avanzata altrove che da noi. Quando Molinari cita le proposte avanzate da Marcel Crahay, ci riconduce allo scorso seminario di aprile di Treellle, in cui la parte del leone l’hanno fatta gli stranieri (Andreas Schleicher, Andres Hingel, Claude Telot, Sue Horner e altri), che hanno presentato analisi e fatti di tutto rilievo. Poi, quando andiamo a leggere le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee giuda per gli istituti tecnici e professionali, non possiamo fare a meno di ravvisare che non si va al di là dell’armiamoci e partite! Nelle Indicazioni le competenze sono più esorcizzate che descritte; nelle Linee guida sono più sciorinate che debitamente introdotte e giustificate. Quando poi andiamo alle competenze che si dovrebbero certificare alla fine della quinta classe primaria e alla fine del primo ciclo, la vaghezza delle indicazioni ministeriali è pari al silenzio. Forse qualcosa di più definito lo troviamo nei provvedimenti relativi all’innalzamento dell’obbligo di istruzione! Ma è sempre poca cosa, in primo luogo perché si tratta di competenze cha non hanno né a valle né a monte un sistema di istruzione complessivo che le giustifichi, in secondo luogo perché al lancio che fu effettuato alla fine del 2006, con la Finanziaria 2007, è seguito poco o nulla in termini di interventi concreti sulle scuole da parte dell’amministrazione.
Tutto ciò sta a significare che siamo molto indietro in materia sia di competenze che della loro certificazione: la ricerca è muta, i provvedimenti normativi altrettanto silenti: propongono un fare senza dire né il come né il perché! E il tutto solo perché bisogna adeguarsi ai tempi? Alle indicazioni dell’Unione europea? Se è così, come sembra, si finisce con l’incidere negativamente proprio sulla svolta che invece si dovrebbe sollecitare! Sono molte le scuole che non sanno che pesci prendere, i dirigenti che non sanno quali indicazioni dare, e gli insegnanti, come ormai sono abituati da anni, si arrangeranno ancora una volta a riempire nuove carte in cui credono assai poco! Il tutto con una frustrazione di chi opera, con l’insoddisfazione dei nostri studenti e dello stesso mondo del lavoro. Gli infelici esiti dei test di accesso alle università sono una prova della inadeguatezza di un esame di Stato che per legge dovrebbe certificare competenze, ma che in effetti elenca solo punteggi!
Molinari elenca 8 punti, sui quali occorre riflettere – e che l’amministrazione rifletta! – e sui quali concordo. Su una sola questione centrerei l’attenzione: sul fatto che insegnare per competenze implica un netto superamento dell’insegnare per conoscenze a cui la nostra scuola è stata da sempre “addestrata”, dal 1861, se vogliamo. Il che implica un riordino che sia effettivamente tale, che nulla ha a che vedere con il disordino operato dalla Gelmini. Ho scritto mille volte che una scuola fondata sulle 3 C, la cattedra disciplinare, la classe d’età, la campanella che regola ritmi e tempi eguali per tutti, è funzionale a certe finalità: c’è chi eroga contenuti in tempi dati e dati alunni che li apprendono, perché tutto è finalizzato a determinati saperi, che poi saranno spesi altrove: un altrove di cui la scuola non si fa carico, perché, come sempre, viene prima la scuola e poi il lavoro!
Oggi la scuola non dovrebbe più esserci, per come la conosciamo, sostituita invece da un complesso e articolato Sistema di istruzione e formazione che investe tutti e a tutte le età. E in questo ritrovato continuum di istruzione e lavoro, lavoro e istruzione, le competenze si propongono come un diaframma flessibile tra il conoscere e il fare. L’autoreferenzialità della scuola dovrebbe infrangersi a fronte della urgenza del mondo dei saperi e dei “fari” assolutamente nuovi che l’assediano d’ogni parte. Le “norme generali”, di cui alla nostra Costituzione, affidano di fatto alle istituzioni scolastiche una larga autonomia nella elaborazione dei curricoli, purché questi rispondano alle finalità richieste dallo Stato e garantiscano il successo formativo dei soggetti coinvolti. Ma le scuole possono rispondere a questi compiti assolutamente nuovi rispetto al passato solo se anche quei vincoli delle tre C vengono a cadere. Per non dire degli altri lacci e laccioli! Il discorso si farebbe complesso e non è questa la sede per affrontarlo, ma… Un solo ma! Se le scelte adottate in materia di riordino da un lato riproducono puntualmente l’organizzazione scolastica di sempre e dall’altro propongono la certificazione di competenze, non solo non si va avanti, ma si creano solo ingorghi paurosi. Lo stesso accade quando si pretende di coniugare la valutazione decimale con l’accertamento di competenze. Si dovrà scegliere: scrutiniamo come abbiamo fatto sempre, oppure avviamo all’interno dei percorsi scolastici quelle attività che in gergo si chiama bilancio di competenze? Con tutte le differenziazioni possibili, ovviamente. Insomma, con una scassata Cinquecento difficilmente potrò misurarmi sul circuito di Monza.
A monte e a valle di tutto c’è un nodo che occorrerà sciogliere: il fatto che sarà compito dell’istruzione adoperarsi per intercettare quali sono i bisogni culturali, e professionali anche, che una società sempre più complessa richiede alle giovani generazioni. Il che, in effetti, si sta già verificando nei corsi di istruzione e formazione professionale, laddove spetta al’iniziativa delle Regioni, degli Uffici scolastici regionali, degli istituti professionali statali e delle istituzioni formative regionali costruire percorsi che rispondano a esigenze date dal mondo del lavoro. Le offerte sussidiarie integrative e complementari (si veda l’Intesa in sede di Conferenza Unificata del 16 dicembre 2010) aprono scenari assolutamente nuovi nel nostro sistema di istruzione e formazione, oggi più interessante e articolato perché interrelato con l’immediato mondo produttivo. In breve, un insegnante non insegnerà più solo per la sua materia, ma utilizza la sua materia per sollecitare quelle competenze e non altre! Che nel prosieguo del tempo cambieranno, e alle quali occorrerà curvare i saperi, e pluridisciplinari per giunta! Insomma, una svolta di 360 gradi rispetto all’insegnante della tradizione.
So anche che le proposizioni poste da Molinari e da me riprese ci porterebbero lontano rispetto alle scadenze che abbiamo il prossimo mese di giugno. E so che tematiche di questa natura necessitano non solo di ricerca, studio, sperimentazione, attività che richiedono comunque tempi non brevi. Ed è per questo insieme di ragioni che i miei interventi su Education 2.0 in materia di competenze dell’obbligo possono sembrare scarni, più dichiarativi che argomentativi, semplicemente operativi. Il fatto è che, come uomo di scuola, so che a giugno dovrò operare delle scelte. Non disponendo di tutti i crismi della correttezza teorica e di quelle indicazioni di cui la norma è carente, la mia preoccupazione è quella di operare al meglio senza incorrere in errori tali che potrebbero compromettere l’esito stesso di una operazione che la nostra scuola e il nostro Paese si accingono per la prima volta ad eseguire.
E, se è vero che si impara facendo, è anche vero che l’esperienza di giugno potrà segnare l’abbrivio per tutti gli approfondimenti teorici che sono necessari perché in tempi debiti tutto il nostro sistema di istruzione impari a passare al mondo delle competenze! Quando la scuola apprende!
Maurizio Tiriticco