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Con l’apprendimento cooperativo la scuola diventa “palestra di democrazia”

Pubblicato il: 30/09/2014 10:21:38 -


Sviluppare l’intelligenza civica o culturale a scuola è possibile, grazie all’apprendimento cooperativo, che aiuta concretamente bambini e ragazzi a sviluppare l’accoglienza, la solidarietà, la collaborazione e il senso critico.
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Il lavoro educativo con gli adolescenti abbraccia aree diverse e interconnesse: la conoscenza di se stessi, la capacità di gestire le proprie emozioni, l’empatia e l’intelligenza sociale come anche la capacità di sapersi gestire prevenendo ed evitando situazioni pericolose.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità individua queste abilità definendole competenze di vita (life skills) da promuovere in una crescita sana e capace di prevenire ed evitare anche i comportamenti a rischio tipici dell’età adolescenziale.
Tra queste life skills una competenza è particolarmente importante nell’educazione dei giovani: il senso critico. Se d’intelligenza emotiva e sociale si parla e si è scritto giustamente in abbondanza meno, si parla di quella che potremmo definire intelligenza civica o culturale.

In questo senso la capacità critica sarebbe quella competenza utile a sviluppare nei giovani cittadini e cittadine la capacità di valutare idee, opinioni e tesi di tipo socio-culturale e civico.
Tutti i testi di pedagogia dell’età evolutiva sottolineano l’importanza di un’educazione integrale. I ragazzi e le ragazze vanno educati e formati anche come futuri uomini e donne e come futuri lavoratori.
Il senso di quest’articolo è promuovere anche l’educazione di futuri cittadini.
La proposta pedagogica che intendo sostenere è che a scuola oltre ad insegnare a leggere a scrivere e a far di conto bisogna insegnare fin da piccoli le basi sociali e culturali della nostra democrazia. Il grande filosofo e pedagogista americano del secolo scorso John Dewey sognava una scuola come palestra di democrazia.

Come si può insegnare la democrazia a dei bambini o a degli adolescenti?
Raccogliendo l’insegnamento della pedagogia attiva possiamo dire che la democrazia s’impara facendo. Ma facendo cosa?
Imparando a stare con i nostri simili facendo concrete esperienze quotidiane in cui con l’apprendimento cooperativo si sperimentano l’accoglienza, la solidarietà, l’empatia e la collaborazione.
Se la classe invece di essere un luogo di apprendimento passivo e trasmissivo viene progettata e condotta come un laboratorio emotivo, sociale, culturale la promozione dell’intelligenza civica verrà combinata con l’intelligenza emotiva e quella sociale costruendo un progetto pedagogico ben più ricco, stimolante e plurimo del tradizionale apprendimento frontale.
Se i nostri studenti di tutte le età sperimentano il piacere, la forza ma anche la responsabilità che sta alla base della collaborazione staremo già educando dei cittadini con maggiore autostima, felicità e responsabilità sociale.

Con l’apprendimento cooperativo potremmo dar vita e concretezza alle parole di Dewey perché la classe verrebbe così ad essere un primo laboratorio di democrazia.
L’insegnamento tradizionale è di tipo verticale e cognitivo e genera inevitabilmente resistenze come la percezione di una lontananza tra i contenuti didattici e quelli utili per la vita, la noia e la difficoltà ad ascoltare una lezione frontale anche oltre 60 minuti.
Un’alternativa a quest’approccio pedagogico è la pedagogia costruttivista in cui l’informazione trasmessa verticalmente non è sufficiente. Affinché si concretizzi quello che viene definito un apprendimento significativo è necessario combinare l’intervento verticale e trasmissivo con quello orizzontale di co-costruzione sociale. In questo passaggio il contenuto didattico introdotto e contestualizzato dall’insegnante viene proposto alla classe non solo per un ascolto passivo ma per una rielaborazione, che può essere svolta in piccoli gruppi di discussione o di problem solving culturale in cui i ragazzi maneggeranno de-costruiranno prima tali contenuti per poi elaborarli e co-costruirli insieme.

Un semplice esempio per capirci meglio. Anche in tema di diritti la tradizionale lezione frontale può faticare nello scaldare il cuore e la mente dei ragazzi. Un’alternativa pedagogica potrebbe essere integrare l’introduzione frontale e verticale chiedendo poi ai gruppi cooperativi di svolgere diverse attività di discussione: scrivere una storia su un paese senza diritti, provare a dare una definizione di cos’è un diritto, ricercare e discutere sui tre diritti più importanti per ogni gruppo. Vedrete anche voi che in questo modo l’apprendimento si sposta dalla cattedra a ogni gruppetto di lavoro, superando quella barriera invisibile, ma spesso ostacolante, tra il desiderio di insegnare del docente e la capacità degli studenti di coglierne i significati.
L’apprendimento viene così odorato, toccato, assaporato da ogni studente della classe che non solo avrà una più facile comprensione dell’argomento ma soprattutto verrà coinvolto in un processo ermeneutico in cui gli viene chiesto di farsi una propria idea e visione su quanto affrontato.
Aspetto interconnesso a questo è insegnare ai ragazzi a discutere pedagogicamente. Nella nostra società, causa i pessimi esempi dei talk show e a volte degli adulti, discutere ha assunto il significato di scontro. In pratica una sorta di braccio di ferro tra due tesi opposte e in conflitto. A livello micro sociale una visione pedagogica della discussione come competizione è una rappresentazione in scala della guerra: siamo gli uni contro gli altri, non c’è spazio per il compromesso, vita mia morte tua.

Diversa è la discussione pedagogica cooperativa. Ai ragazzi, infatti, si spiega che contestare violentemente idee contrapposte cercando di farle vincere con la forza, vocale o fisica come nel caso delle guerre, è un esempio di stupidità pericolosa, perché porta alla violenza e al conflitto distruttivo.
Invece nel gruppo cooperativo viene richiesto loro di svolgere una discussione cooperativa in cui ciascuno ha il diritto di avere un proprio punto di vista che però non è antitetico e nemico di quello dei compagni. Anzi nel gruppo cooperativo siamo amici che cercano insieme di co-costruire una loro verità condivisa sull’argomento di discussione. Per questo l’atteggiamento verso le tesi diverse non è ostile ma è curioso, perché comprendendo il punto di vista altrui posso arricchire affinare o anche modificare il mio punto di vista, avvicinandomi così un po’ di più alla verità condivisa di quel gruppo.

Imparare a mettersi nei panni dell’altro per comprendere l’opinione è forse il più potente antidoto pedagogico per tutte le forme di violenza, dalla violenza nel campetto sportivo allo scontro tra nazioni.
È questo un processo educativo che se coltivato quotidianamente con l’apprendimento e l’educazione cooperativa può dare grandi risultati sia in termini scolastici sia umani.
Educando i ragazzi alla discussione cooperativa s’insegna poi a riconoscere e smontare le tesi deboli, cioè quelle prive di argomentazioni valide. Ed è così che educhiamo al senso critico perché si addestra a non fermarsi alla superficie e alla superficialità d’idee culturali come anche delle proposte della vita di tutti i giorni.
I ragazzi imparando a ricercare il senso e il perché delle cose e in questo sviluppano autoefficacia, maturità e responsabilità.

Come si prepara un ragazzino a saper dire di no alla proposta di prendere dell’ecstasy o di rubare un portachiavi in cartoleria per dimostrare il proprio coraggio?
La moralizzazione non serve e in fondo è giusto che sia così. I ragazzi non devono apprendere ciò che giusto o ciò che è sbagliato a scatola chiusa. Devono capirne il perché e interrogando prima le argomentazioni di genitori o insegnanti per poi fare lo stesso – ad esempio – con il compagno che propone loro una pasticca o un furto. Per far questo però è necessario scendere dalla cattedra e dal palco per discutere con i ragazzi e farli dialogare tra loro.
Come ogni cambiamento implica un pizzico di coraggio, ma non è un salto nel vuoto, ci sono tanti i libri sull’apprendimento cooperativo che possono accompagnare ciascun insegnante a trovare un proprio stile di conduzione più partecipativo.

Questo ovviamente se si crede che la scuola debba essere anche una palestra di democrazia.

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Immagine in testata di Geralt/Pixabay (licenza free to share)

Stefano Rossi

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