L’Italia della scienza negata
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Su Il Sole 24 Ore del 17 aprile 2011 i contributi di Bottazzini, Corbellini e Massarenti si confrontano su un tema fondamentale per la scuola italiana della prossima generazione: la ricerca e la definizione di un nuovo asse culturale “scientifico”.
Il recente riordino della superiore, occasione mancata di riforma, dopo quasi un cinquantennio di tentativi falliti o solo parzialmente realizzati, a causa delle “necessità” del Tesoro (-8 mld di euro in tre anni), non ha potuto affrontare con efficacia la questione, che resta sullo sfondo di statistiche europee e mondiali per noi italiani sconfortanti (“Italiani, analfabeti della modernità”). Il grande merito di Gentile e Croce, riconosciuto giustamente anche da Massarenti, è quello di aver costruito un sistema – soprattutto liceale – coerente e coeso, che vede al suo centro l’asse della storia – e della filosofia. Si tratta, da questo punto di vista, di un impianto rigoroso, “scientifico” e non è quindi un caso se anche dal liceo classico (il vero liceo gentiliano) siano usciti e continuino a uscire ottimi studenti vocati per le scienze.
Lo scontro con il “geometra” Enriques (di quel congresso bolognese di un secolo fa bisognerebbe parlare agli studenti, perché, come ha scritto Massarenti, si trattò di un punto di svolta che avrebbe condizionato lo sviluppo culturale del nostro paese) segnò la vittoria dell’idealismo e la sua conseguente, lunga egemonia nelle scuole e nelle università italiane.
E tuttavia non si può dire che l’attuale condizione sia imputabile integralmente a Giovanni Gentile, che, dobbiamo ricordarlo, non era né un letterato, né tantomeno un pedante erudito.
In realtà, nella diffusa pratica scolastica, si può dire che i veri vincitori siano i grammatici e i retori, che spesso trasformano il liceo non già nella scuola in cui “una mente che apprende e una mente che insegna diventano una mente che conosce”, ma in una palestra di mnemotecnica, di trasmissione lineare di un sapere precostituito e indiscutibile, con un procedimento esclusivamente “top-down”, si direbbe oggi.
Di qui la necessità di recuperare integralmente quella concezione potentemente organica della scuola gentiliana e di tradurla nel paradigma di un sapere scientifico, certo non più relegabile tra le attività degli “ingegni minuti” ma tale da costituire il nuovo asse culturale di riferimento di ogni percorso educativo.
Per gli uomini di scienza italiani si tratta di uscire allo scoperto su un terreno politico-culturale che va conquistato ed “egemonizzato”; anche per sconfiggere l’immagine oggi pervasiva nel corpo sociale, di una cultura che si identifica con il possesso, più o meno sicuro, delle humanae litterae e non già con il sapere scientifico – ma neppure, è bene sottolinearlo, con il sapere storico o, tantomeno, filosofico.
Si tratta, per dirla in sintesi, di battere l’opinione secondo la quale non sapere di Dante o di Manzoni significa essere tout court degli ignoranti, mentre non conoscere il teorema di Pitagora o il meccanismo di riproduzione delle cellule non solo non compromette il profilo di uomo colto, ma al contrario, aggiunge quello “sprezzo” per i saperi “pratici” che sottolinea ancor di più il suo essere autenticamente intellettuale.
English abstract: The A. takes his starting point from some articles published on the newspaper “Il Sole 24 Ore” about the crisis that originates from the idealistic hegemony on the Italian culture, decreed during the Bologna Congress of Philosophical Society on 1911, when the philosophers Benedetto Croce e Giovanni Gentile “defeated” the mathematician Federigo Enriques. He underlines the importance for the future Italian school of building a new cultural axes around the scientific thought and the scientific procedures to learn.
Claudio Salone