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Statistica: la matematica per il cittadino

Pubblicato il: 06/06/2011 12:34:00 -


Materie di indirizzo sociale, informatico e logico-matematico insieme per affrontare le tematiche sociali che interrogano l’opinione pubblica e gli studenti: immigrazione, ordine pubblico, disoccupazione... Da uno stimolo della classe un percorso pluridisciplinare sull’attualità.
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Mai come in queste ultime settimane dell’anno in cui il caldo si fa sentire opprimente può apparire vera la convinzione che la scuola non interessi gli studenti: alcuni ancora pallidi, altri con il colore dei primi bagni guardano apatici verso la cattedra, subiscono… Non è del resto l’atteggiamento più diffuso tra i banchi? A volte sembra vana ogni passione profusa nell’insegnamento.

A volte però “sbottano”. Lo metto tra virgolette questo verbo, perché lo trovo perfetto nel descrivere gli interventi autonomi di alcuni dei miei ragazzi: senza chiedere il permesso di parlare alzando educatamente la mano, tanta è l’urgenza, prorompono in frasi tipo: “Ma vengono tutti qui, prof.!”.

Di chi stanno parlando? Degli immigrati. Di che cosa stavo parlando io? Beh, io ero partita con l’idea di spiegare i criteri per l’acquisizione della cittadinanza italiana; ma mi lascio trascinare verso il nuovo tema tanta è la forza contenuta nelle parole del mio studente, e tanta è l’ignoranza su cui questa emozione si è costruita: vengono tutti qui?, ma se siamo ancora uno dei Paesi UE con più bassa percentuale di immigrati! Dall’alto della mia cattedra dico che non è vero, non vengono tutti qui; e poi dico altre cose, sempre le stesse da un po’ di anni iniziando ora dalla cittadinanza, ora dai problemi di ordine pubblico, ora dalla disoccupazione (perché molti ragazzi sono convinti che i disoccupati si ritrovino soprattutto tra gli immigrati), ora da un altro argomento previsto nei libri di testo e che gli studenti usano come grimaldello per parlare di ciò che sta loro a cuore.

Meno male che lo fanno. Ma le discussioni hanno un difetto, me ne accorgo quando siamo a casa. La mia parola contro la loro; mi stanno a sentire, ascoltano delle mie visite nella multietnica Gran Bretagna, ascoltano la descrizione dei supermercati francesi dove tale è la varietà di piatti stranieri da farti credere di fare il giro del mondo in ottanta minuti, ma rimane la mia parola contro la loro. Sarà meglio che scatti delle foto durante la mia prossima vacanza?

E poi nelle discussioni pochi parlano; la maggior parte in genere tace, per timidezza, per mancanza di idee o per timore di dire cose fuori dal coro. Sì, perché chi parla è sempre e solo contrario all’immigrazione. Per la maggioranza silenziosa è solo una perdita di tempo? Ed infine, per i molti altri argomenti che suscitano emozioni, magari basate su dati scorretti, che fare?

Trovo la soluzione durante il corso di aggiornamento, organizzato dal Centro in Europa, Edulatina*, che ha l’obiettivo di illustrare la cultura latinoamericana, prevalente nella città di Genova. Il primo incontro è dedicato all’analisi dei flussi migratori degli ultimi cinquanta anni circa, analizzati attraverso i dati statistici prodotti dal Comune. Mentre il sociologo Paolo Arvati parla, ripasso in piccolo la storia del mondo, dell’epoca in cui all’università di Genova si iscrivevano giovani greci in fuga dalla dittatura; vedo la Genova di oggi abitata da un gran numero di anziani accuditi da badanti straniere, donne invece che uomini come magari si vedono in altre città d’Italia; ritrovo ciò che avevo affermato davanti agli studenti, e cioè che in Italia non c’è certo la maggior concentrazione di stranieri. Preferiscono dirigersi verso Paesi a più veloce sviluppo economico; anche se si analizzano le differenze regionali balza agli occhi che Genova si colloca in una situazione intermedia tra il Sud privo di attrattive e un Nord Est con maggiori presenze straniere. Insomma gli immigrati vanno là dove c’è più lavoro, perché c’è una crescita maggiore; quasi quasi dovremmo desiderare di averne tanti qui, perché la loro presenza è un sintomo di buona salute. Sorrido all’idea di concludere una lezione con un’idea tanto balzana. E mi armo. Di tabelle statistiche, di accordi con l’insegnante di matematica o di trattamento testi, di fotocopie. Illustro i dati, insegno a leggere i grafici, faccio notare le particolarità; non più la mia parola contro quella degli studenti, ma i numeri che nella loro inesorabile freddezza correggono luoghi comuni e suscitano nuove domande: ma perché mai a Genova e solo a Genova la comunità più ampia proviene dall’Ecuador?

Il lavoro finale è una relazione basata su alcune delle tabelle illustrate, a scelta dello studente; è possibile anche organizzare una prova di lettura di grafici, stile OCSE-Pisa, ma la soddisfazione più grande è aver trovato un nuovo modo di analizzare i fenomeni sociali, un modo partecipativo soprattutto se prima dei dati si fanno avanzare ipotesi agli studenti: “Ma secondo voi…”, un’attività dal sapore giocoso che li diverte abbastanza. Il collega di matematica mi riferisce di aver fatto meno fatica a spiegare determinati argomenti poiché i ragazzi erano interessati da numeri che avevano un significato; concordiamo: la statistica è la matematica del cittadino, quella che si troverà sempre davanti, che avrà la capacità, se fatta bene, la presunzione, se fatta male, di spiegargli in che mondo vive e di orientarlo nelle emozioni e nelle scelte.

* Il corso è stato organizzato dal Centro in Europa con la partecipazione della Regione Liguria e del Comune di Genova. I partecipanti hanno preso contatto con i principali aspetti della cultura e della società del continente Latinoamericano in una serie di incontri pomeridiani con esperti; sono stati quindi invitati a elaborare unità didattiche da sperimentare con le loro classi e a illustrarle ai partecipanti.

Chiara Saracco

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