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Prove Invalsi: usarle in classe è utile, ma attenzione ai risultati

Pubblicato il: 23/04/2012 16:48:00 -


Non è raro che gli insegnanti, durante l’anno, somministrino agli alunni le prove delle precedenti rilevazioni Invalsi, come forma di allenamento o come ulteriore elemento di valutazione. È necessario, però, fare attenzione ad alcune conseguenze...
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Nei mesi che precedono la somministrazione ufficiale delle prove Invalsi non è raro che gli insegnanti somministrino agli alunni le prove delle precedenti rilevazioni oppure prove simili riprese dalle diverse pubblicazioni in commercio. Generalmente i risultati di queste prove, in percentuale, vengono comunicati agli alunni e, in qualche caso, anche ai genitori (che poco o nulla sanno riguardo all’Invalsi e alla natura di queste prove). Per un insegnante queste simulazioni di prove, oltre che a rappresentare una specie di (inutile, a mio avviso) “allenamento” alla prova ufficiale, potrebbero costituire un ulteriore elemento di verifica e valutazione degli alunni (e questo, invece, lo ritengo utile e interessante). Tuttavia, la mia personale esperienza (e mi riferisco soprattutto all’ambito della scuola primaria), mi ha portato nel tempo a essere cauto soprattutto nella comunicazione dei risultati agli alunni.

A tal proposito, parto da alcune considerazioni (meglio illustrate in un mio precedente articolo).

Per sua natura, la prova Invalsi serve a misurare tutti i livelli di apprendimento, anche quelli appartenenti alle cosiddette “eccellenze”. Per questo tali prove contengono quesiti con coefficienti molto elevati di difficoltà, cui solo un ristretto gruppo di alunni è in grado di rispondere. Gli alunni con difficoltà di apprendimento, non solo non risponderanno correttamente a questa fascia di questi, ma troveranno evidenti difficoltà anche con la fascia di quesiti di difficoltà media. È evidente, dunque, che otterranno risultati bassi in termini di percentuale (in base alla mia esperienza, gli alunni con maggiori difficoltà raramente superano il 40% di risposte corrette e spesso i loro risultati si attestato fra il 30% e il 40%).

Questi risultati, così come sono, servono alle scuole per una misurazione dei livelli di apprendimento della singola classe in relazione a quelli complessivi della scuola e a quelli per aree geografiche e nazionali. Se però vengono trasportati sul piano della valutazione del singolo alunno (e questo lo può fare solo l’insegnante, se lo desidera), bisogna essere molto attenti alla trasposizione del risultato e al suo utilizzo. La trasposizione ha bisogno di una “traduzione”, cioè di una trasformazione del dato dal suo valore MISURATIVO (quello che interessa all’Invalsi) a un valore FORMATIVO (quello che interessa all’insegnante).

Questo perché un risultato del 70% per l’Invalsi HA UN SIGNIFICATO, il voto 7 per un alunno di scuola primaria HA TUTT’ALTRO SIGNIFICATO.

Nell’ambito della valutazione nella scuola primaria, un 6 e mezzo o un 7 (traducibile con l’espressione “più che sufficiente”) è un valore considerato “basso” e viene utilizzato dal docente a fronte di risultati non adeguati a quanto previsto e programmato. Il 70% delle risposte corrette in una prova Invalsi, invece, è un valore di tutto rispetto. Si pensi che la media nazionale di Italiano della classe V primaria nella rilevazione 2010 è stata il 66%. Se pensiamo poi a voti inferiori alla sufficienza, come il 5 (insufficiente), il loro uso nella scuola primaria è generalmente raro. I voti di insufficienza sono voti che un docente di scuola primaria usa con estrema parsimonia e solo in ottica formativa (e comunque è molto raro un utilizzo di un voto inferiore a 5, se non in casi particolarissimi). Li usa quando sa che li può utilizzare, soprattutto quando possono rappresentare un elemento di stimolo per l’alunno. Ma non li utilizzerà mai, anche a fronte di risultati che lo autorizzerebbero in pieno, se egli è consapevole che il loro utilizzo possa mortificare l’alunno, inducendolo a una bassa stima e considerazione di se stesso.

Si tenga anche presente che per quante prove Invalsi lo stesso alunno possa svolgere, nel breve periodo il risultato sarà sempre simile. Chi raggiunge alte percentuali continuerà a farlo in ogni prova; chi otterrà basse percentuali continuerà a farlo in ogni prova, con oscillazioni minime fra una prova e l’altra. È il segno evidente che questo tipo di prova è sicuramente attendibile in relazione a quello che intende misurare, ma proprio per questo può diventare uno strumento ansiogeno, frustrante e, alla lunga, dannoso per coloro che ottengono sempre basse percentuali. Gli alunni con difficoltà di apprendimento avranno timore di queste prove e nello stesso tempo proveranno un forte senso di inadeguatezza nei confronti dei compagni che ottengono sempre ottimi risultati, amplificati dalle elevate (e non rare) differenze dei valori numerici delle percentuali.

Per questo, l’utilizzo sistematico da parte degli insegnanti delle prove Invalsi (o simili) in classe, anche a fini di verifica e valutazione, con la comunicazione diretta a studenti e genitori della percentuale di risultato “nuda e cruda”, senza alcuna forma di “mediazione”, di spiegazione e di opportuna “gestione” del risultato, può avere effetti decisamente negativi per gli alunni con maggiori difficoltà di apprendimento, soprattutto in termini di autostima e di considerazione di sé.

Stefano Bazzucchi

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