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Politiche della conoscenza e “nuova liberazione”

Pubblicato il: 05/06/2009 11:33:55 -


Il sapere tende a diffondersi, rinnovarsi ed accrescersi traendo nutrimento da se stesso. Si genera sempre nuovo sapere quanto più esso viene diffuso e condiviso, in una dinamica aperta e indefinitamente creatrice.
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Per restituire vigore a leve motivazionali che, in ambito scolastico, appaiono per certi versi sempre più logore, è indispensabile poter ricostruire un legame più lineare, più affidabile, tra istruzione e prospettive di accesso nella realtà culturale, lavorativa, sociale, economica del Paese. Un legame che sia ben leggibile, chiaro per studenti e famiglie, sul piano sia personale che generazionale.

È questa salda corrispondenza la vera linfa vitale che alimenta i sistemi di istruzione pubblica, i quali rappresentano una manifestazione esemplare di come benefici individuali e collettivi possano sposarsi perfettamente.

Lasciamo per un attimo da parte il processo di apprendimento in senso stretto, che naturalmente si sorregge prima di tutto sulla curiosità e sul naturale piacere di imparare, e osserviamo il sistema dell’istruzione dal punto di vista della razionalità economica dei soggetti in gioco, vale a dire in termini di quello che è stato appunto chiamato investimento in istruzione. Il riconoscimento praticato verso i meriti acquisiti nell’istruzione, ai fini della collocazione sociale e lavorativa, si traduce, nell’aspettativa di un beneficio futuro, il quale appare reale e concretamente raggiungibile. Ciò incoraggia fortemente il conseguimento da parte di ciascuno di livelli più elevati di istruzione, il che genera a sua volta crescita di sapere, circolazione delle informazioni, maggiore innovazione, innalzamento qualitativo di prodotti, servizi, progetti, capacità professionali: da cui deriva un beneficio sociale complessivo. Ma già sul piano individuale ciascuno ha modo di trarne vantaggio, essendo sospinto ad accrescere la propria istruzione, quindi ampliare il ventaglio di informazioni, le competenze linguistiche, matematiche, professionali, la conoscenza delle leggi, la capacità di partecipare alla vita sociale, la cultura personale. In questo modo i benefici sono insieme individuali e collettivi e si amplificano a vicenda: per ciascuno e per tutti.

Il sistema di istruzione pubblico e accessibile garantisce inoltre che la diffusione del sapere avvenga in maniera generalizzata, impedendo che possa essere monopolizzato a vantaggio di pochi.

Elemento chiave in questo processo dinamico è nel fatto che il sapere non ha i caratteri di una risorsa scarsa, a somma costante, la quale debba essere contesa, o eventualmente ripartita in chiave perequativa.

Qui risiede forse uno degli equivoci storicamente presenti, non solo in Italia, in diversi approcci alle questioni legate all’istruzione. Un riflesso egalitario di tipo schematico ed economicistico ha spesso condotto a perseguire effetti redistributivi nel campo dell’istruzione comprimendo in maniera particolare le eccellenze; agendo, cioè, in chiave limitativa e non generativa. Nel caso del sapere, si tratta però di un’ottica fuorviante, appunto perché esso non è un bene a somma costante, né esiste una maniera sensata per suddividere un certo sapere tra più soggetti. È molto difficile poter pensare di sottrarre quote di sapere ad alcuni per ridistribuirle ad altri: si otterrà semplicemente un effetto distruttivo, qualcuno verrà privato di una quota di sapere senza che altri ne potranno beneficiare. Imboccare una via che vada in questa direzione significa quindi andare incontro a sicuro, irreparabile, naufragio. Al contrario, si può pensare a strategie di condivisione del sapere. Una politica modernamente perequativa nel campo dell’istruzione cercherà dunque di valorizzare e non di deprimere le eccellenze, affinando al contempo gli strumenti per contrastare l’insuccesso e per rimettere in circolo nei modi più fruttuosi i saperi derivanti da tali eccellenze.

Il sapere tende a diffondersi, rinnovarsi ed accrescersi traendo nutrimento da se stesso. Si genera sempre nuovo sapere quanto più esso viene diffuso e condiviso, in una dinamica aperta e indefinitamente creatrice. Ed è una risorsa ai nostri giorni sempre più leggera, sempre più accessibile e facilmente trasferibile, a patto di disporre di menti formate per accoglierlo (senza le quali esso è, viceversa, del tutto intrasportabile e inutilizzabile).

A ben vedere, questo processo altro non è che il meccanismo di base dell’economia della conoscenza, la quale segue criteri di sviluppo peculiari, assai diversi da quelli dei settori tradizionali, che sono appunto caratterizzati da scarsità e divisibilità delle risorse. È una logica di sviluppo portatrice di una crescita potenzialmente indefinita di benessere, prosperità, ulteriore conoscenza, in un continuo effetto moltiplicatore. L’Italia, a dispetto degli slogan, è estromessa prima di tutto su un piano culturale dal poter abbracciare questa ottica: non si tratta solo di un fatto tecnico, di cattiva organizzazione del sistema scolastico o universitario. Le sue classi dirigenti non sembrano avere intimamente compreso questa dinamica, forse perché a loro volta selezionate su basi per lo più relazionali, in maniera quasi del tutto slegata da un simile circuito virtuoso (prova ne sia il fatto che il Ministero dell’Istruzione è in genere tra i meno contesi dai diversi partiti; di solito viene assegnato come compensazione).

Il fatto che il nostro Paese sia rimasto completamente ai margini dei flussi internazionali che attraggono i giovani talenti in giro per il globo (il numero di giovani laureati o ricercatori che aspira a venire in Italia è quasi inesistente rispetto a quanto accade negli USA, nel resto d’Europa, nei principali Paesi asiatici), la scarsa mobilità sociale italiana, le ridotte aspettative riposte nell’istruzione da parte dei giovani e delle loro famiglie, le chiusure corporative della società italiana sono tutte manifestazioni di un medesimo ritardo culturale.

È chiaro quindi che il rilancio della scuola passa per una rinascita delle aspettative associate all’istruzione. Ma questo non sarà possibile senza un compiuto intervento riformatore, il quale non potrà avvenire in una logica tutta interna al sistema scolastico, ma dovrà situarsi anche a valle del percorso e dovrà chiamare in causa un ripensamento di alcuni tratti consolidati della società italiana. Ecco dunque che la costruzione di una scuola rinnovata, che sappia essere più ricca di significati, si collega strettamente alle nuove questioni sociali, generazionali, del riconoscimento dei meriti, alla necessità di una nuova liberazione dalle strozzature che imprigionano proprio le energie migliori delle giovani generazioni.

Paolo Francini

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