“Once upon a time…” ma c’è ancora, per fortuna
La serie TV “Once upon a time...”, in onda dal 12 settembre in chiaro su RAI2, ha la grande forza di essere leggibile a diversi livelli. Sia quello dell’impeccabile e puro intrattenimento (adatto anche a bambini delle ultime classi della scuola primaria), sia quello dell’analisi linguistica e tematica più approfondita.
Forse sulle coste del Maine, a Cabot Cove, la signora in giallo Jessica Fletcher continua a indagare come una miss Marple americana, ma le vicende che si svolgono nelle cittadine all’interno sembrano ancora più interessanti.
Edward Kitsis e Adam Horowitz, già componenti del gruppo di sceneggiatori di “Lost”, hanno messo mano alle fiabe più classiche che si conoscano, aggiungendovi una impressionante quantità di riferimenti culturali, da Carl Gustav Jung al “Ramo d’oro” di James Frazer, dal pensiero femminista alla pedagogia libertaria, da Propp a Tim Burton. La nuova serie, che ha debuttato negli Stati Uniti nell’ottobre dell’anno scorso, ma che è già – per grande fortuna degli spettatori – arrivata in Italia sui canali satellitari e dal 12 settembre in chiaro su Rai Due, non poteva che intitolarsi “Once upon a time” (“C’era una volta…” ma “Once” è anche il titolo di un bellissimo film di John Carney del 2006, non favolistico ma molto romantico, che i due autori hanno senz’altro visto).
Siamo a Storybrooke, nel Maine (nome che assomiglia moltissimo a “story book”, ‘libro di favole’). Tutti gli abitanti sono i personaggi delle favole classiche, anche se non lo ricordano. Gli unici a sapere come stanno andando le cose sono la signora sindaco, Regina Mills (Lana Parrilla, doppiata – i doppiatori fanno un lavoro davvero mirabile in questa serie – da Laura Romano), che non è altri che la Regina Cattiva (o Grimilde); il signor Gold (cognome del tutto non casuale e voluto; l’attore è il grande Robert Carlyle, la voce è di Alberto Bognanni), che nel mondo delle fiabe è il malvagissimo Tremotino; il piccolo Henry (Jared S. Gilmore, voce di Francesco Ferri), figlio adottivo di Regina, che si fida ciecamente del suo libro di fiabe.
A Storybrooke il tempo si è fermato, tanto che l’orologio del campanile sulla piazza non si muove mai. Tutto scorre apparentemente sereno e senza turbamenti. Fino a quando, nella primissima puntata, non arriva al paesello Emma Swan (Jennifer Morrison, doppiata da Stella Musy), lì trascinata da Henry, che le rivela non solo di essere il figlio naturale che lei aveva abbandonato dieci anni prima, ma che lei è figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro e che ha il compito di risvegliare Storybrooke e i suoi abitanti dal sonno vigile in cui si trovano a vivere. Ovviamente, dopo l’iniziale diffidenza, Emma accetta di seguire Henry nella cittadina… e le lancette dell’orologio della piazza riprendono a girare.
Costruita sullo schema a montaggio alternato, già sperimentato con ottimi risultati in “Lost”, la serie mette dunque in scena la vita quotidiana a Storybrooke e quella nel mondo delle fiabe, che spiega e approfondisce le origini di ogni personaggio.
Così Biancaneve è qui la maestra Mary Margaret Blanchard (l’attrice, davvero straordinaria, è Ginnifer Goodwin, la voce italiana è di Valentina Mari); Cappuccetto Rosso è la cameriera Ruby (Meghan Ory, doppiata da Chiara Gioncardi); il Grillo Parlante, guarda il caso, è lo psicanalista Archibald Hopper (Raphael Sbarge, voce di Edoardo Stoppacciaro); il Principe Azzurro è ricoverato in ospedale in coma da anni e si risveglierà grazie alle letture della volontaria Mary Margaret (l’attore è David Nolan, la voce di David Chevalier), e così via. Non mancano i sette nani, Belle, la Fata Turchina (pare che la produzione avesse chiesto a Lady Gaga di interpretarla, senza ricevere risposta, ma in questo caso è stata la signorina Stefani Germanotta a perdere un’occasione), Geppetto, la nonna di Cappuccetto, Pinocchio, il Genio della Lampada e tutti gli altri.
Ma non si pensi che ciò che attende lo spettatore sia l’ennesima e stantìa riproposizione dei luoghi comuni narrativi già mille volte visitati. Tutt’altro. Biancaneve è combattiva e tenace. Cappuccetto (in omaggio sia a John Landis che a Neil Jordan) ha molto a che fare con la licantropia. Le psicologie dei buoni e dei cattivi sono approfondite come meglio non si potrebbe, con moltissime sfaccettature e risvolti i più inaspettati. Basterebbe anche solo una frase che viene ripetuta in diverse puntate, sia dagli uni che dagli altri: “Cattivi non si nasce, ma si diventa”, per definire quanto di novità e di modernità ci sia nella scrittura e nella realizzazione di una serie come “Once upon a time”, del tutto scevra da banalità e soluzioni scontate.
Le ottime musiche di Mark Isham. La fotografia impeccabile. La recitazione di altissimo livello. Persino le piccole ma importanti variazioni che vengono operate nell’immagine della sigla in ogni puntata. Tutti elementi che ne fanno un appuntamento non trascurabile. La grande forza, come di tutte le produzioni cinematografiche importanti, è quella di essere leggibile (e vedibile) a diversi livelli. Sia quello dell’impeccabile e puro intrattenimento (adatto anche a bambini delle ultime classi della scuola primaria), sia quello dell’analisi linguistica e tematica più approfondita.
Negli Stati Uniti è imminente la messa in onda della seconda stagione.
Carlo Ridolfi