Un nuovo modo di valutare gli alunni: è possibile?
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La media matematica per calcolare il voto finale rende molto forte il voto negativo e debole quello positivo. Forse è il caso di esplorare nuove possibilità di valutazione, che partano da una maggiore fiducia nell’autonomia degli alunni. Magari, dando un’occhiata al Nord Euorpa…
La valutazione degli apprendimenti degli studenti della scuola secondaria sta diventando sempre più un elemento di criticità. La legge 169/2008 non ha solo riportato in vigore i voti numerici anche nel primo ciclo dell’istruzione, ma ha introdotto l’obbligatorietà della valutazione positiva in tutte le discipline per ottenere la promozione. Inoltre ha codificato il concetto di media matematica arrotondabile anche nel primo ciclo dell’istruzione, senza tener conto dei guasti che questa metodologia valutativa ha portato nel secondo ciclo dell’istruzione. La media matematica per calcolare il voto finale rende molto forte il voto negativo e debole quello positivo, tant’è che spesso nella stessa classe penalizzazioni palesi (alunni che si vedono portati al voto più basso in più d’una materia nonostante abbiano medie che si avvicinano allo 0,5) si accompagnano ad “aiuti” che sembrano regali (4 o 5 che diventano 6 per voto di consiglio).
L’università da tempo ha abbandonato il meccanismo della valutazione connessa esclusivamente a una prova secca e ha istituto meccanismi di crediti, possibilità di ripetere una prova negativa, divisione di un esame in più parti, ecc. Per la scuola secondaria è molto complicato entrare in una logica di valutazione di tipo universitario e la prassi della media matematica resiste anche agli scossoni del tempo e dell’evoluzione normativa. Credo che in tempi non lunghi il sistema scolastico italiano comincerà a esplorare la possibilità di valutare gli apprendimenti degli alunni con modalità più trasparenti e garantiste del voto assegnato a un prodotto, che poi fa media con altri voti assegnati ad altri prodotti e che poi viene rivisto nell’ambito di valutazioni processuali spesso non certificate (impegno, interesse, partecipazione, ecc.), per poi confluire nella definitiva procedura del voto di consiglio.
Le alternative sono molte e modellabili in rapporto alle esigenze dei singoli territori e delle singole realtà scolastiche, ma in Italia vengono pochissimo esplorate. La più convincente di queste alternative mi pare senza dubbio quella finlandese (la pensano così anche coreani, cinesi e giapponesi che stanno esportando il modello finlandese), che prevede – ad esempio – nell’ultimo triennio della scuola secondaria (16-18 anni) la validazione di almeno 75 moduli tra gli almeno 120 proposti dalla scuola. Ogni modulo è composto da 35 ore di 45 minuti l’una di attività in classe (frontale, seminariale, operativa, ecc. a seconda della disciplina) e da una prova finale. Se 75 moduli in tre anni è il minimo per uscire dalla scuola, molti alunni ne validano almeno 100 l’uno. Chi non ce la fa in tre anni può farcela in quattro, ma lo decide lui, non la scuola. Non ci sono classi e ognuno frequenta quello che gli pare. Le prove di validazione del modulo sono proposte dal docente a una commissione di verifica che stabilisce se sono congrue o meno al corso svolto.
Questo sistema richiede molta autonomia degli alunni e molta autonomia della scuola, sta in un sistema lontanissimo dal nostro che può fare solo da sfondo al nostro ragionamento. Se però almeno i curricoli delle materie di studio (storia, geografia, scienze, ad esempio) prevedessero moduli da validare attraverso prove conclusive, sarebbe solo necessario stabilire quanti moduli devono essere validati per il 6, quanti per il 7, ecc. E si potrebbe anche stabilire che per raggiungere l’8, il 9 o il 10 in pagella, la validazione è accettabile solo da un dato punteggio in poi. Ogni lettore può costruire la sua scaletta gestionale come meglio crede, ma in questo caso l’alunno saprebbe bene cosa deve fare per avere la sufficienza.
Un altro modo per valutare attraverso meccanismi di credito è quello di assegnare punteggi alle varie voci e poi costruire il voto finale. Per esempio: se in un quadrimestre i punti a disposizione sono 100 e in base a quei punti assegnerò il voto sulla pagella, è sufficiente che stabilisca i punteggi delle varie voci per far capire all’alunno che cosa deve fare per raggiungere una risicata sufficienza o per avere un bel dieci. Esemplifico: i compiti in classe possono far raggiungere al massimo 25 punti (3 compiti, ad esempio), le interrogazioni fino a 15, l’impegno casalingo fino a 10 (tolgo un punto ogni volta che un alunno viene senza aver fatto i compiti), impegno e interesse in classe fino a 15, altre attività (progetti, ricerche su internet, ecc.) fino a 15 punti, il valore aggiunto, cioè il differenziale da dove parto a dove arrivo, fino a 10. Poi magari posso lasciare che il docente assegni un bonus di 10 punti su una valutazione complessiva. In questo modo il lavoro in classe costruisce il voto, che poi l’alunno trova in pagella.
Preciso, al termine di questo breve intervento, che non ho fatto proposte, ma solo portato esempi. Che però si basano su una fiducia nell’alunno e nella sua possibile autonomia, mentre il passaggio dalla spiegazione all’interrogazione e al compito si basa sulla sfiducia nelle capacità di autogestione dell’alunno.
Stefano Stefanel