Investire nell’incertezza
La “riforma” della scuola “superiore” mette in risalto la difficoltà che ha l’Italia a investire nella scuola. L’unico investimento certo è quello sull’incertezza, perché non c’è alcun rapporto tra la modifica del sistema scolastico, la sua efficacia e la sua efficienza. Tutto questo schiaccia la scuola “media”. Con ordinamenti che piovono in testa come la neve d’inverno.
La modifica ordinamentale della Scuola secondaria di 2° grado mette in risalto la difficoltà che ha l’Italia a investire nel suo sistema di istruzione. Quando lo scorso anno il Ministro fu costretto a rinviare di un anno l’avvio della “riforma” delle “superiori” ci si sarebbe aspettati che il lungo e tortuoso iter del decreto attuativo di quella modifica ordinamentale partisse in modo da terminare entro l’estate. Invece entro l’estate è terminato l’iter dei decreti iniziati nel settembre del 2008 e riguardanti il primo ciclo a dimostrazione di come prima venga emanato un provvedimento e poi parta la discussione sul medesimo. Se la maggioranza governativa mostra di avere un’idea di scuola legata a stereotipi o a preconcetti non verificati, la minoranza non pare avere alcuna idea di scuola, che non sia un richiamo al più convinto conservatorismo. E così tra una maggioranza che riforma in modo confuso e senza dibattito e una minoranza che dice praticamente solo dei “no” ci si trova a dover attendere in tempi improbabili un mutamento ordinamentale che potrebbe stravolgere la vita di molti ragazzi e molte famiglie.
La situazione attuale mostra come l’unico investimento certo è quello sull’incertezza, perché non c’è alcun rapporto tra la modifica del sistema scolastico, la sua efficacia e la sua efficienza. Da dieci anni a questa parte sembra che un frullatore impazzito mandi nella società civile scaglie di cambiamento, quasi che a forza di tentativi e di errori da qualche parte si arrivi lo stesso. Se da un lato i Licei sono abbastanza tranquilli, perché comunque la loro “ragione sociale” viene garantita, gli Istituti tecnici e quelli professionali scontano la grande confusione di questi anni: non si è deciso se regionalizzare l’istruzione professionale perché si è legata quella decisione a motivi ideologici (è una riforma ideata dalla Moratti e dunque “di destra”) oppure occupazionali (il personale statale di ruolo non deve diventare regionale), senza cercare di capire se l’esperienza della Provincia di Trento, dove tutto è stato regionalizzato, funziona solo perché là sono “montanari e ricchi” o semplicemente perché hanno capito come si fa.
Tutto questo a cascata schiaccia ancora una volta la Scuola secondaria di 1° grado, il segmento più sofferente del sistema dell’istruzione italiano, compresso tra il desiderio di essere scuola secondaria a tutti gli effetti (anche nella selezione) e stare ancorato al primo ciclo dell’istruzione. E questo schiacciamento avviene nel modo più odioso: creando incertezza tra le famiglie e i ragazzi al momento della scelta decisiva, quella del passaggio dal mondo protetto del primo ciclo dell’istruzione a quello del secondo ciclo, recordman Ocse nella dispersione.
L’Italia non sa investire nella scuola per i troppi veti e i troppi interessi che lì convergono. Non c’è alcun modo concreto per invertire la rotta perché il mondo dell’elaborazione (il Miur) e quello della gestione del servizio (le Scuole autonome) non comunicano più. Per cui non è possibile trovare un luogo in cui discutere distesamente un cambiamento per poi comunque applicarlo, ma esiste solo il tempo dell’attesa per trasformare la norma in strumento di lotta. Sembra che in Italia conti più l’opinione rispetto all’investimento e questo avviene sulla pelle dei quattordicenni e delle loro famiglie. Non credo che un cambiamento ordinamentale possa migliorare o peggiorare la Scuola secondaria di 2° grado, visto la sua conclamata obsolescenza: quella scuola è solo in grado di confermare che i bravi restano bravi e i “somari” restano “somari” in una sorta di destino della necessità che comincia a formarsi all’uscita dalla scuola primaria.
Gli investimenti richiedono analisi preliminari, elaborazioni sofisticate, controlli di gestione, valutazioni: dov’è tutto questo nella scuola? Se il sistema dell’istruzione non crolla è per il lavoro straordinario dei docenti che ancora ci credono, quel nucleo di eccellenze (dico però che è al massimo il 25%) che meriterebbe altro stipendio e altra carriera: e invece tutto è orizzontale, legato all’anzianità, privo di valutazione. Con modifiche ordinamentali che piovono in testa come la neve d’inverno.
Stefano Stefanel