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Investimenti e aspettative nel sapere

Pubblicato il: 15/06/2009 18:55:36 -


Gli studenti e le famiglie avvertono che non è il terreno della scuola quello dove si giocherà la partita vera, che non sarà l'educazione che fornirà loro modo di raggiungere il successo sociale. Che ruolo deve giocare dunque l'istruzione in questo scenario?
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L’analisi condotta da Franco De Anna in Investire in istruzione e derivati tocca punti cruciali circa il doppio legame tra istruzione e collocazione lavorativa:
• la trasferibilità in ambito professionale del sapere acquisito, con un beneficio economico a esso rapportabile;
• la prospettiva di un elevamento sociale conseguente a una maggiore istruzione.

Per una lunga fase, segnata da crescita economica, espansione del terziario, bassa riuscita scolastica, il legame tra istruzione e beneficio sociale è rimasta salda, ed è stata una molla potente nel processo di scolarizzazione di massa (i nonni raccomandavano ai nipoti di studiare e “non fare come loro”).

Questo dinamismo si è poi attenuato. La debole corrispondenza tra merito scolastico e ricompensa sociale è probabilmente divenuta la questione centrale della scuola italiana, che si manifesta in questo o quel sintomo.

In realtà, la correlazione tra istruzione e situazione lavorativa non è cessata (i dati statistici confermano, tra l’altro, che i lavoratori meno istruiti sono molto più esposti ai rischi delle crisi), ma appare sopraffatta da una moltitudine di fattori. Alcuni molto stringenti nella realtà italiana (i legami familiari e sociali, le varie corporazioni, le appartenenze politiche). Altri sul versante simbolico e comunicativo, assai potenti nell’orientare i comportamenti dei giovani (soprattutto i più esposti alla ricezione passiva dei messaggi mediatici), quali i meccanismi, sempre più accelerati e dispersivi, della notorietà mediatica. Per contro, è nota la via di stenti, costellata di precariato, umiliazioni e peregrinazioni, nella quale si trovano a incamminarsi molti giovani ricercatori, ossia le migliori intelligenze prodotte dalle scuole e dalle università italiane.

In queste condizioni, come stupirsi che si sia indebolita la percezione di un legame virtuoso tra riuscita negli studi ed affermazione sociale, da parte di studenti, famiglie, da parte degli stessi insegnanti, fino a essere quasi assente in alcune aree del Paese (per l’appunto quelle dove anche la situazione di scuole e università risulta più critica)?

La sfiducia indotta da modeste aspettative nell’investimento in istruzione si riverbera negli atteggiamenti delle famiglie, nella cerchia amicale e parentale, e ha un impatto fortemente depressivo verso le energie e i comportamenti degli studenti. L’incoraggiamento a istruirsi si fa del tutto astratto quando gli esempi concreti sono di altro segno. Senza un clima di motivazione e di autentico riconoscimento, difficile per la scuola essere luogo di fioritura e non di contenimento, dove si gira a vuoto (i vari fenomeni di bullismo andrebbero letti, almeno in parte, anche nell’ottica di questa perdita di significato).

La scarsa mobilità sociale collegata all’istruzione è dovuta sia all’incerta spendibilità delle competenze acquisite (soprattutto per i profili tecnici e professionali), sia a cause più profonde (specie per l’istruzione universitaria). Ci sono robusti, radicati meccanismi di chiusura familiare e corporativa, che hanno serrato gli accessi a larga parte delle giovani generazioni verso molti settori e ruoli chiave del nostro Paese: dalle libere (?) professioni, al mondo accademico, alla pubblica amministrazione.

Un eccesso di competenza acquisita può benissimo tradursi in tutto l’opposto di quanto sognato: può anzi significare precarietà e sottoutilizzo, fino all’espulsione dal sistema (si veda il tema “fuga dei cervelli”: abbiamo un’emigrazione di alto livello intellettuale ? a fronte di una immigrazione fatta di mansioni generiche ? per lo più di outsider iperqualificati, espulsi dalle caste protette che presidiano i fortilizi inespugnabili del nostro ordinamento). Se in fase espansiva certi colli di bottiglia si sono avvertiti di meno, via via che si è ampliata la platea di aspiranti a qualifiche più elevate, e insieme le risorse disponibili hanno preso a scarseggiare, ecco che chiusure difensive e legami familistici si sono fatti stringenti. Un’elevata polarizzazione del reddito, in misura simile agli Stati Uniti, si accompagna perciò a una mobilità sociale ridottissima, tra le più basse al mondo. L’istruzione di massa ha appena scalfito questo stato di cose.

Se, ancora nelle scuole elementari, i genitori partecipano ai progressi dei figli (seguono con premura la fase dell’alfabetizzazione di base, a cui tuttora viene attribuita reale importanza; c’è chi fa carte false pur di avere la maestra più brava sulla piazza, quand’anche fosse la più severa), nel seguito tutto si rovescia. Le famiglie stesse avvertono che non è il terreno della scuola quello dove si giocherà la partita vera. Alle superiori, si discute di voti scolastici o semmai di comportamento, poco o nulla dei contenuti. Nessuno va a chiedere se il figlio se la cava con le disequazioni o con le dimostrazioni di geometria. Interessa che abbia la sufficienza.

Nel vissuto di molti, la scuola assume via via i contorni di un ostacolo frapposto nel percorso, un ostacolo da disbrigare, piuttosto che un’occasione di formazione, di scoperta, di proiezione operosa verso un progetto di vita. Privata di questo orizzonte, nel quale i giovani possano collocare il proprio cammino e le proprie scelte, la scuola è condannata ad agitarsi in una logica convulsa, più spesso punitiva che emancipatrice, o magari a rifugiarsi in una ritualità che solo in apparenza è benigna e tollerante, ma inevitabilmente conduce in uno stallo.

Paolo Francini

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