La grammatica dell’amore paterno
Se parliamo di padre, parliamo di pericolo e di coraggio, di avventura, dolore e distacco. Parliamo, cioè, di crescita, del diventare grandi, adulti, ricchi di autostima e fiducia in se stessi.
Mi piace curiosare tra le foto degli amici in Facebook, senza un motivo particolare, così per farmi un po’ i fatti degli altri. L’altro giorno sono capitato sull’immagine di una coppia di amici che mi è sembrata l’esatta descrizione della differenza che intercorre tra l’approccio materno e quello paterno.
Nella foto c’è un bambino seduto su una grande roccia. Sotto, il papà che l’ha appena fatto sedere lì e la mamma che, pur essendo di schiena, trasuda preoccupazione. È suo, infatti, il commento alla foto:
“Ma perché i papà devono per forza insegnare ai figli a fare cose pericolose?”.
Una brevissima analisi quasi grammaticale ci aiuterà a comprenderne meglio il significato:
“Ma” = dubbio, accusa, rimprovero;
“Perché” = può esprimere il desiderio di capire il senso del gesto oppure sottolineare l’incomprensibilità dell’atteggiamento paterno;
“I” = articolo che determina il maschile, pluralmente;
“Papà” = questo sconosciuto…
“Devono” = voce del verbo “dovere”, scelto più o meno consapevolmente, al posto di “amano”, “desiderano”, “scelgono”. Esprime perfettamente il punto di vista materno che ritiene, spesso, le azioni paterne come dettate da un istinto impulsivo, un agire irresistibile, irrefrenabile, un po’ selvaggio;
“Per forza” = le mamme agiscono per scelta, cognizione di causa, consapevoli del proprio ruolo mentre i padri si comportano in un certo modo per forza, come se non potessero evitare di fare cose sbagliate. Questo, almeno, è ciò che pensano molte madri;
“Insegnare” = far apprendere cose delle quali si potrebbe fare assolutamente a meno;
“Ai” = preposizione articolata, come di solito è il rapporto tra padri e figli;
“Figli” = chi è stato generato, rispetto ai genitori. Sarebbe utile definire il ruolo generativo del padre, il quale deve scoprire come “partorire” il proprio figlio;
“A” = preposizione semplice, banale, di poco conto;
“Fare cose” = ecco cosa possono insegnare i padri ai figli, fare delle cose. Non l’alfabeto delle emozioni o la cura delle relazioni bensì a fare delle cose, un insieme di banalità e inutilità. Nulla di male però. Imparare a fare delle cose è fondamentale, è una qualità significativa, un’abilità utile. Dobbiamo imparare, però, a lasciare a ciò il giusto valore e il giusto spazio nel processo educativo;
“Pericolose” = se parliamo di padre, parliamo di pericolo e di coraggio, di avventura, dolore e distacco. Parliamo, cioè, di crescita, del diventare grandi, adulti, ricchi di autostima e fiducia in se stessi.
“?”: la domanda è ovviamente retorica. Ogni mamma pensa di avere la propria risposta, preconcetta e difficilmente modificabile. Si definisce in questo modo la svalutazione del ruolo paterno, ritenuto, prima che dannoso, secondario, un ruolo sul quale recriminare senza aver la capacità di valorizzarlo.
Risposta alla domanda: “Il padre deve per forza insegnare ai figli a fare cose pericolose perché, se non lo fa lui, non lo potrà fare nessun altro”.
Roberto Parmeggiani