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Elogio dell’ignoranza

Pubblicato il: 23/07/2010 15:13:00 -


Un tempo la figura del docente, in molte realtà del nostro composito paese, era rispettata nella maniera giusta, visto che il difficile compito dell’educatore riscuoteva la giusta considerazione e l’opportuna stima sociale: oggi, purtroppo, la condizione, non solo economica, dei docenti è radicalmente diversa rispetto a quella, perfino, di un recente passato.
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I fatti di cronaca di queste ultime settimane, che hanno visto migliaia di docenti occupare le sedi dei Provveditorati e bloccare le operazioni di scrutinio per manifestare contro i provvedimenti del Governo – che hanno comportato il taglio di numerosissimi posti di lavoro e la sospensione degli effetti, giuridici ed economici, degli scatti di carriera previsti dal Contratto vigente – si stanno consumando, come già era accaduto lo scorso mese di settembre, nella generale indifferenza di molti ambienti della società, che invece dovrebbero essere interessati al potenziamento e alla crescita del sistema della pubblica istruzione.

Famiglie e alunni trarrebbero indubbi vantaggi se ci fossero meno allievi per classe o se fosse più ricca la dotazione di docenti di sostegno per gli studenti diversamente abili o se non fossero tagliate le ore settimanali di insegnamento di molte discipline, sia teoriche che di laboratorio: eppure, nessuno si mobilita al fianco della protesta dei prof.

Ci si può, allora, domandare perché, in occasione delle lotte politiche e sindacali dei professori, così grande e palese sia l’indifferenza degli italiani, che notoriamente amano poco i docenti, anche per effetto di una massiccia e diffamatoria campagna di stampa condotta contro di loro in quanto dipendenti pubblici.

La società odierna, forse, ipotizza di avere un futuro dignitoso, se nei prossimi anni verrà, violentemente, smantellato il sistema dell’istruzione statale, di ogni ordine e grado?

Forse l’istruzione è considerata un mero orpello di cui si può fare, facilmente, a meno?

Un tempo – invero, non moltissimi anni or sono – la figura del docente, in molte realtà del nostro composito paese, era rispettata nella maniera giusta, visto che il difficile compito dell’educatore riscuoteva la giusta considerazione e l’opportuna stima sociale: oggi, purtroppo, la condizione, non solo economica, dei docenti è radicalmente diversa rispetto a quella, perfino, di un recente passato.

La funzione educativa viene devoluta ad altre agenzie, diverse sia dalla famiglia, che è in crisi da diversi decenni, sia dalla scuola, soprattutto se pubblica: ormai, è sempre maggiore la quantità di italiani che snobbando l’istruzione impartita dallo Stato, per i loro figli si rivolgono alle scuole private (talora confessionali), che possono o essere realtà d’élite o identificarsi con i vari diplomifici, frequenti soprattutto al Sud, che vendono, sovente a un prezzo rilevante, un titolo di studio a cui non corrisponde un’adeguata preparazione culturale.

In tale contesto, poi, la crisi economica, sostanzialmente già iniziata dopo l’introduzione dell’euro, rende i prof. viepiù invisi al senso comune, in quanto noi docenti (nonostante i nostri bassi stipendi, ulteriormente decurtati dei benefici degli avanzamenti di carriera per il triennio 2010/12) sembriamo rispetto alle altre categorie produttive, ingiustamente, dei privilegiati.

Cosa fare, quindi, per riacquisire la meritata considerazione sociale, viste le tante responsabilità di cui siamo investiti, a volte, oltre le nostre stesse competenze?

Siamo lavoratori con un bassissimo o inesistente tasso di sindacalizzazione rispetto ad altre professionalità, e i – in virtù di ciò – la forza che abbiamo avuto in passato nel contrastare le scelte dei governi, succedutisi di volta in volta, è stata irrilevante.

Ma siamo tutti convinti che non sia qualche euro in più in busta paga, né qualche posto di lavoro in più (pur necessari e auspicabili) a restituirci la stima, che pure meritiamo e di cui non siamo, attualmente, destinatari?

Forse andrà ridisegnato il ruolo del docente, attribuendogli competenze diverse da quelle, strettamente, didattiche?

Dovrà, forse, somigliare di più a un manager, visto che il modello economico-produttivo dell’azienda è quello predominante, ormai, nei settori del pubblico impiego?

Forse noi stessi dovremo procedere, in modo più unitario e compatto, nel difficile percorso di rivendicazione dei diritti nostri (e di quelli, conseguentemente, dei nostri alunni), allo scopo di ridare smalto e potere di contrattazione a una categoria ingiustamente vilipesa e, politicamente, debolissima?

Forse dovremo fare un bagno di umiltà, cercando di capire in cosa abbiamo sbagliato, in questi ultimi decenni, nella veste sia di docenti che di cittadini-elettori, perché si giungesse a un simile risultato?

Come si vede, i quesiti – destinati, probabilmente, a rimanere insoluti – sono molteplici, ma è opportuno trovarne presto la soluzione, prima che, nell’indifferenza generale, qualche scellerato demagogo, alla ricerca di un facile consenso, abroghi per decreto-legge non solo il nostro status giuridico, ma anche la residua dignità professionale e umana che ne rimane, tuttora, sottesa.

Tali riflessioni, che in gran parte già scrivevo un anno or sono, conservano la loro tragica attualità a distanza di circa dodici mesi, visto che la condizione, salariale e lavorativa dei docenti è peggiorata a seguito della recente approvazione della legge Finanziaria, che, cancellando il fondo destinato alla valorizzazione del merito, ha azzerato, di fatto, con un imprevisto colpo di spugna, qualsiasi ipotesi di riforma dei meccanismi di carriera, di cui per oltre un decennio hanno discusso le organizzazioni sindacali con i governi sia di Centro-Sinistra, sia di Centro-Destra.

Il nuovo anno scolastico si aprirà, nel prossimo mese di settembre, con molte incertezze, relative soprattutto agli effetti derivanti dall’applicazione della legge di riforma del secondo ciclo di istruzione, che – una volta a regime – modificherà, non poco, i criteri e le modalità di erogazione dell’offerta formativa: a docenti e dirigenti spetterà il compito di applicare, fedelmente, il dettato delle nuove normative; alla classe politica, invece, toccherà fare la sintesi, riconoscendo ed emendando, anche, gli eventuali errori commessi nell’ideazione di simili provvedimenti.

Rosario Pesce

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