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Il “daimon” Facebook e il bisnonno di Nicolò

Pubblicato il: 06/11/2012 11:48:39 -


E se Facebook fosse il nuovo Zibaldone? Un professore sceglie di utilizzarlo in chiave educativa, con testimonianze, video-lezioni e video-interrogazioni.
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Abbiamo concluso da poco un triennio di sperimentazione 2.0 in una classe di scuola secondaria di primo grado. È stato un periodo di grande fermento e crescita professionale per i colleghi che vi hanno partecipato. Purtroppo certe ragioni sindacal-amministrative hanno avuto ragione di tante professionalità maturate in questo triennio, disperdendole in varie scuole del territorio. Alcuni di questi preziosi colleghi sono oggi in scuole senza connessione Internet adeguata, con pochissimi e vetusti computer e in compagnia di docenti che arricciano il naso di fronte a chi propone loro di farsi inviare dagli alunni i compiti tramite email.

Rimboccarsi le maniche è allora d’obbligo anche perché, una volta intrapresa questa strada, è difficile tornare indietro. È la strada di chi ha voluto vedere, nelle nuove tecnologie della comunicazione, un’opportunità (non l’opportunità) per rendere l’apprendimento un momento di significativa costruzione della personalità degli alunni; un’occasione per motivare o rimotivare studenti sempre più sprofondati dietro ai banchi ad “assistere” a lezioni ma non a parteciparvi con interesse vivo e sincero. Brucia la recente indagine della Fondazione Agnelli che ha evidenziato come i nostri alunni siano i più “annoiati” tra i paesi trainanti a livello europeo: che dipenda dal fatto che siamo anche la scuola all’ultimo posto nel cosiddetto “digital divide”?

L’esperienza (non è ancora sperimentazione) di cui vi parlo è attualmente in corso in una classe che non è mai stata ufficialmente “2.0” e che non ha goduto dei notevoli finanziamenti (30.000 € a classe) con cui erano state finanziate le sperimentazioni partite 3 anni fa e di cui ho fatto parte. In classe non abbiamo computer (tranne gli smartphone dei ragazzi e qualche tablet personale) ed è presente solo una LIM (pagata dai genitori della classe con un contributo volontario di circa 100 € a bambino); la connessione a internet è lentissima nonostante le ripetute rimostranze all’ente locale, il laboratorio della scuola non è certamente all’avanguardia (computer pervenuti 8 anni fa a seguito di un finanziamento dei supermercati COOP). Direi che è un “panorama” piuttosto comune (NB: parlo di una scuola di Reggio Emilia, non della profonda Calabria, dove l’immaginario fanfarone vorrebbe relegare tutte le inefficienze del nostro Paese).
Nonostante ciò quello che stiamo facendo è ascrivibile pienamente a una esperienza 2.0. Tutto è partito da una telefonata allarmata di una mamma: “Prof, che tragedia!!! Mia figlia ha un profilo su Feisbuk!!!”; “Prof, che faccio? Adesso stacco tutto e butto il computer dalla finestra”. Parlo con la ragazza prima che il monitor si sfracelli sul marciapiede sotto casa, e cerco di sondare il terreno: il dubbio diviene certezza. Stare su Facebook ha senso se tutti gli altri ci sono, altrimenti non c’è “gusto”. In breve vengo a sapere che tutti, più o meno clandestinamente e/o sotto mentite spoglie (anche il ragazzino certificato con un profilo dettagliatissimo da far invidia a un manager), sono su Facebook. Mi aspetto che da lì a pochi giorni i genitori mi chiamino e mi dichiarino la loro disperazione (insinuando che la colpa sia mia “con tutti ‘sti compiti fatti al PC… era da dire che prima o poi finiva così”).

La soluzione è, come sempre, non affidarsi alla riduzione di esercizio di pensiero (ovvero “censurare per paura di…”) ma utilizzare, in chiave educativa, ogni possibile scenario; utilizzare il “demone” Facebook e trasformarlo nel suo “Daimon”, ovvero “genio risplendente”. Mentre leggo pagine di Rigoni Stern, Giovanni mi interrompe: “Ma proff, posso chiamare mio nonno in classe che è un esperto della seconda guerra mondiale” ; Nicolò: “Ma proffffff, il mio bisnonno ha fatto la campagna di Russia, ha 93 anni e me l’ha raccontata ieri”. Trasalisco e già immagino un 93enne e un 84enne fare i tre piani di scale (senza ascensore) per venire nella nostra classe a parlare. “Ragazzi, e se facessimo una video-intervista ai nonni e la mettessimo su Facebook? Così, magari, fra qualche anno potete andare a rivederla e tra 20 anni magari qualcuno potrà farla vedere ai propri figli”. Boato. Il giorno dopo abbiamo la pagina ufficiale della nostra classe, le prime immagini postate, i primi commenti, i miei primi “compiti”, gli alunni rigorosamente affratellati e “amici” dichiarati. Entusiasmo alle stelle: tutti, nessuno escluso. Dove prima dovevo “implorare” un compito, adesso ho “proposte” di lavoro. Giovanni e Nicolò si sono già armati di videocamere da piazzare in viso ai nonni e bisnonni. I “telefonini”, prima nascosti sotto i vestiti e consultati in ogni “fraudolento” modo per “non farsi beccare dai prof”, rivedono la luce e incominciano a dispiegare tutte le loro potenzialità didattiche: foto, commenti, ricerche finalizzate, testi poetici trovati on line, biografie di autori, Wikipedia, interviste da organizzare. C’è già in nuce tutto il lavoro di un anno: mancano i genitori da convincere e coinvolgere in quello che da “tragedia” deve trasformarsi in alleanza educativa. Ai colleghi penserò in un secondo tempo. Detto fatto: l’ora successiva c’è matematica e i ragazzi hanno già spifferato tutto. Il giorno dopo, un compito di scienze, non richiesto (!), compare sulla pagina di Leonardo Tempestoso con tanto di filmato annesso dell’esperienza in laboratorio e 25 commenti: i ragazzi sono 25, alunno certificato compreso che vuole fare una sorpresa al collega di sostegno.

È l’inizio di una bella avventura. Siamo agli inizi di novembre e in due mesi scarsi di scuola i contributi e l’entusiasmo abbondano. Stiamo navigando a vista, in modo ancora poco strutturato, ma non voglio imporre nulla ai ragazzi anche perché ho scoperto che la natura “selvaggia, improvvisativa e toccatistica” di Facebook deve essere rispettata. È uno spazio “zibaldonesco” come l’ha definito Valentina, ricordandosi che Giacomo Leopardi, a un’età di poco superiore alla loro, aveva un quaderno simile alla nostra pagina. L’esigenza di ordine si sta facendo strada tra i ragazzi che vorrebbero recuperare alcuni materiali: “Ma proffff, dov’è cavolo finito il video sulle trincee?” e da parte mia avanza l’esigenza di approfondire alcune tematiche disciplinari portanti di quest’anno.
A volte in classe, alle ultime ore, fanno fatica ad ascoltarmi: ho preparato delle video-lezioni che posto direttamente sulla nostra pagina e mi sono accorto che tutti le ascoltano molto più attentamente di quando sono in classe. Mattia confessa di ascoltarmi con il suo iPhone in autobus mentre viene al mattino a scuola: noiosissime spiegazioni di regole grammaticali vanno a ruba: “Ma tu ce l’hai quella del congiuntivo trapassato?”. Abbiamo anche postato video-interrogazioni. Da casa, i ragazzi sono invitati a relazionarmi, oralmente, argomenti di studio e a condividerle con tutti i compagni, che sono invitati a commentare e a far notare errori o apprezzamenti. Stiamo costruendo un percorso comune, fatto di proposte, controproposte e reciproci adattamenti. Ma quel che sorprende è la grande opportunità di dialogo e di ricerca comune che si è venuta a creare tra alcuni docenti, tra gli alunni e tra i genitori (quasi tutti e quei pochi ancora un po’ preoccupati – ma non scettici – stanno a guardare con malcelata curiosità). A proposito di genitori: moltissimi avevano il profilo su Facebook (anche chi voleva buttar il computer della figlia giù dalla finestra…) e tutti hanno chiesto l’amicizia alla nostra pagina, collaborando attivamente, suggerendo proposte di lavoro, dialogando con noi docenti in tempo reale.
Ho finalmente capito che cosa sia il “Patto educativo di corresponsabilità” che da alcuni anni firmavamo solennemente a settembre e di cui non si sentiva più parlare per il resto dell’anno.

p.s. Ho 47 anni e sono ancora tra i docenti più “giovani” della mia scuola, ma il più vecchio rispetto all’età media dei genitori dei miei alunni. Vorrà dire qualcosa?

Alberto Vellani

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