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La cura

Pubblicato il: 20/07/2012 17:16:28 -


Non si può più essere ingenui: non si deve. Si dovrebbe invece essere onesti e riconoscere che sulla scuola dell’infanzia si riversano interessi politici, economici, ideologici nei quali i bambini, i loro diritti, le loro legittime esigenze e aspirazioni, non hanno niente a che vedere.
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Venerdì 29 giugno, ultimo giorno di scuola per le insegnanti della Scuola dell’Infanzia, con il termometro che segnava 39° all’ombra, si sono riunite a Firenze le associazioni professionali con l’Ispettore Giancarlo Cerini e la Dott.ssa Cinzia Mion per quello che doveva essere un focus group sulla bozza delle nuove Indicazioni Nazionali e che si è poi trasformato in un incontro allargato al quale hanno preso parte dirigenti scolastici, insegnanti di diverse realtà territoriali, tutor della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze. Molteplici sono state le sollecitazioni venute dai diversi interventi, ma non è mia intenzione redigere un verbale dell’incontro. Tra i diversi aspetti, ci sono stati due elementi che mi hanno colpita.

Il primo è stata la partecipazione, la voglia, direi anche l’ostinazione, a voler far sentire la propria voce da parte degli insegnanti di questo segmento scolastico. Parlo di ostinazione perché non riesco a spiegarmela in altro modo: dopo anni di continui attacchi, dopo provvedimenti che hanno progressivamente, ma continuamente indebolito la scuola (e questa scuola in particolare), sentire le insegnanti che il 29 di giugno (ripeto la data, perché anch’essa è significativa), quando tutti gli altri insegnanti d’Italia (tranne quelli impegnati negli esami) sono a casa da giorni, che ringraziano per l’opportunità che viene loro data di esprimere un’opinione su una bozza che verrà modificata (è molto probabile) attraverso logiche e criteri che poco o niente hanno a che fare con il loro impegno e le loro passione, mi ha molto colpita. Dico colpita, perché non so esprimere un giudizio su questo “comportamento”; non so se è un bene o un male che sia così; lo segnalo come un’anomalia rispetto al resto della scuola. L’altro aspetto, che è poi l’oggetto di questa comunicazione, è l’enfasi dedicata da tutti gli interventi all’aspetto della cura. Tutte le associazioni presenti hanno segnalato la loro soddisfazione nei confronti della bozza (con distinguo critici su aspetti specifici e talvolta marginali del testo) proprio in virtù dell’attenzione che è stata posta a questo tema. E mentre sentivo parlare i colleghi io mi chiedevo che tipo di cura avessero in mente, a quale concetto di cura facessero riferimento. E loro, con accenti diversi, con diverse sfumature semantiche, me lo hanno anche spiegato. E come si fa a non essere d’accordo? Se cura vuol dire attenzione al soggetto che apprende, disponibilità all’ascolto, rispetto dei tempi e delle modalità di apprendimento dei bambini, integrazione dei momenti di routine nella progettazione educativa e considerazione di questi momenti come parti integranti del vissuto scolastico del bambino e quindi portatori di forti valenze formative…? Come si fa a non essere d’accordo, ripeto? Infatti, ascoltandoli, mi sono trovata così d’accordo, che ho pensato che sarebbe stato opportuno inserire un paragrafo nella parte generale del documento proprio dedicato alla cura. Perché la cura, intesa nelle declinazioni accennate sopra, dovrebbe essere un elemento continuo, unificante, un carattere di quella verticalità tanto auspicata nel documento e non solo. Quando sono tornata a casa ho continuato a pensare a questa possibilità: a come sarebbe stato bello (nel senso di significativo) che nel capitolo dedicato all’Organizzazione del curricolo, dopo il paragrafo Continuità e unitarietà del curricolo, fosse inserito un altro paragrafo intitolato “La cura è apprendimento”. Chissà perché non c’è? Mi sono chiesta. Se siamo tutti così concordi nel rilevare l’elemento della cura come un aspetto così fondamentale e fondante della scuola, del fare scuola, perché non segnalarlo in maniera evidente all’interno della bozza? E mi è venuto in mente un esercizio che ci faceva fare il professore di Pedagogia Sperimentale all’Università. Lui sosteneva che l’aspetto quantitativo fosse importante per segnalare la rilevanza di un concetto all’interno di un testo e ci faceva esercitare a contare (a mano, perché i computer ancora non facevano queste operazioni) quante volte compariva una determinata parola all’interno di un articolo, di una legge, di un capitolo. Ho voluto provare a ripetere l’esercizio con l’aiuto della tecnologia e in pochissimo tempo ho avuto il risultato e anche la risposta alla mia (purtroppo) ingenua domanda. Nell’intero documento la parola “cura” è inserita 18 volte. Di queste 7 sono all’interno del capitolo dedicato alla Scuola dell’Infanzia che conta 6 pagine; le restanti 10 (più 1 nella parte introduttiva) le troviamo nel capitolo dedicato al Primo ciclo di Istruzione, in 49 pagine.

Ma c’è un’altra differenza, questa volta di tipo qualitativo che contribuisce a chiarire meglio la questione. Nel capitolo della Scuola dell’Infanzia, il soggetto della cura è la scuola: “Spetta ad una buona Scuola dell’Infanzia… attraverso la cura degli ambienti…; Insegnanti motivati, attenti ai gruppi di bambini di cui si prendono cura…; il curricolo della Scuola dell’Infanzia si esplica in un’equilibrata integrazione dei momenti di cura…”. Nelle altre parti il soggetto è quasi sempre l’alunno: è lui che deve avere cura di se stesso, della sua salute, dell’ambiente ecc… Ma perché? I ragazzini della Scuola Primaria e Secondaria di Primo grado non avrebbero bisogno di cura, di ascolto, di attenzione, di rispetto dei tempi e delle modalità di apprendimento? Se l’“ascolto, accompagnamento, interazione partecipata, mediazione comunicativa, presa in carico del bambino e del suo mondo, sostegno e incoraggiamento all’evoluzione dei suoi apprendimenti verso forme di conoscenza sempre più elaborate e consapevoli”, vale solo per la Scuola dell’Infanzia, allora la cura di cui si parla non è apprendimento. Si intende un’altra cosa, che con il concetto di scuola ha poco a vedere. Vuol dire che quella specificità che vogliono “venderci” per attenzione a questo segmento scolastico (e della quale io personalmente comincerei sinceramente a fare volentieri a meno) continua a essere una minorità, una scuola piccola per bambini piccoli, un pochino meno scuola delle altre, per insegnanti meno insegnanti degli altri. Perché anche a ostinarsi a voler esser ingenui, si torna sempre qui. Mettiamo che la specificità sia attenzione vera, autentica. Che le parole scritte corrispondano a reale interesse ai bisogni e alle esigenze di questa specifica fascia di età. In questo caso dovrebbero tradursi in comportamenti coerenti che mettano al centro i bambini, l’ascolto, l’accompagnamento… E a cosa abbiamo assistito in questi anni? Anticipi chiesti dai bambini? Tempi scuola dilatati per andare incontro alle loro esigenze? A settembre, in una sezione vicino al paese dove abito, che quest’anno ospitava 29 bambini, ce ne saranno 31. Con buona pace dell’ascolto e dell’accompagnamento!!!

No, non si può più essere ingenui: non si deve. Si dovrebbe invece essere onesti e riconoscere che su questa scuola (se proprio vogliamo continuare a chiamarla così) si riversano interessi politici, economici, scelte ideologiche nelle quali i bambini, i loro diritti, le loro legittime esigenze e aspirazioni, non hanno niente a che vedere.

Continuare a parlare di cura in queste condizioni è, come minimo, un’ipocrisia.

Paola Conti

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