Cittadini italiani o cittadini del mondo?
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Modificare i programmi nelle nostre scuole per rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo, in cui la coabitazione tra popoli diversi è una necessità sempre più impellente, oltre che una ricchezza.
Mio figlio, prima media, mi ripete la lezione sugli Arabi: qualcosa sulla vita di Maometto, qualcosa sulla religione e i suoi cinque pilastri; poi la vertiginosa conquista che culmina nello scontro con i Franchi, il dominio sulla Sicilia e la pirateria per i mari. In tre righe conclusive vengono affastellati i vantaggi di cui godette la Sicilia in quel periodo. Mio figlio mi chiede:”Ma perché ce l’abbiamo tanto con gli Arabi?”. Deve aver sentito qualcosa del telegiornale. Che tengono le donne in stato di vergognosa soggezione? Che sono poveri, che ci sono regimi illiberali, che sono terroristi, che sono fanatici. Notizie appunto da telegiornale, approssimative e generalizzanti, sufficienti comunque a istillare un senso di estraneità. In India almeno hanno Gandhi e sono stati i primi a coltivare il cotone, gli Africani sono stati deportati come schiavi, i Cinesi hanno inventato la bussola. Ma gli Arabi che meriti hanno? Questo – immagino – si aggira nella testa di mio figlio e dei miei tanti studenti. Perché anche a scuola, soprattutto a scuola, sento palpitante la diffidenza e l’ostilità. Un minuscolo ricordo: durante una giornata di apertura dell’istituto dove lavoro, una mia alunna vede una ragazza con il foulard, mi cerca con gli occhi e ridacchia. Ma potrei citarvene altri più gravi e, come me, anche voi. Suppongo che anche molti di voi, come me, si affannino a spiegare, convincere, invocare l’art. 3 della Costituzione.
Cerco una soluzione più radicale, frequentando Edumed, un corso di aggiornamento sulla presenza nella mia città di comunità originarie di paesi affacciati sul Mediterraneo (http://www.centroineuropa.it, per maggiori informazioni sui contenuti del corso). Mi colpisce una frase: “le Crociate sono state degli episodi intervallate da lunghi periodi di rapporti proficui sul piano commerciale e culturale”. Nei nostri libri è il contrario: l’ostilità è la regola, la pace una fragile eccezione. Certo è più facile insegnare la guerra: ci sono battaglie da ricordare, date, vincitori e vinti. Che cosa c’è da ricordare della pace?
Avanzo alcune proposte, e le riferisco in primo luogo al negletto mondo arabo (le informazioni di questo paragrafo sono state tratte dal sito http://www.1001inventions.com che invito i colleghi a visitare per la ricchezza della sezione dedicata agli insegnanti e per l’impatto visivo del sito stesso). Vorrei che i miei alunni conoscessero il nome di Al-Astrulabi e Al-Zahrawi, rispettivamente la donna che inventò l’astrolabio e l’uomo che per primo fu in grado di suturare ferite interne. Vorrei che sapessero come mai il nostro pranzo è costituito da tre portate. Vorrei che si chiedessero da chi abbiamo ereditato la forma delle cupole, così usata nelle nostre chiese. Vorrei che vedessero la foto di un testo di medicina di un autore arabo, studiato nelle università italiane per alcuni secoli.
Di fatto la scienza moderna nacque soprattutto a opera degli arabi, che durante il Medioevo in un clima di estrema tolleranza, ripresero i lavori di grandi uomini provenienti dall’Egitto, dalla Persia, dalla Grecia, dalla Cina. E di questa tradizione scientifica universale i nostri ragazzi beneficiano nella vita quotidiana. Che dunque essa sia più importante per loro che non la storia di guerre ormai concluse? Sentirsi eredi di una cultura mondiale che affonda le sue radici in Europa, in Persia, in Cina non è di vitale importanza per i futuri cittadini di un mondo globalizzato, dove non solo l’aria, ma anche le merci e gli uomini passano da un capo all’altro del mondo in poche ore?
I nostri figli dovranno convivere e collaborare con gente di ogni parte del globo per risolvere problemi urgenti. Come potranno farlo se saranno convinti di essere depositari unici e indiscussi della superiore civiltà tecnologica e democratica di matrice europea? E come non potranno crescere con questa convinzione se nella loro mente i soli scienziati degni di questo nome saranno Leonardo, Galileo, Newton e Einstein? Se non conosceranno gli spazi di eterodossia e pluralismo presenti nei regolamenti di imperatori indiani come Ashoka e Akbar (per le tematiche più politiche si veda Amartya Sen, “La democrazia degli altri”, Mondadori, 2010; per quelle scientifiche http://www.scienceinschool.org/print/407 dove viene sottolineato anche quali effetti positivi abbia la rivalutazione delle culture non europee sui nostri studenti immigrati)? Se tra gli eroi dell’avventura e dello spirito libero e intraprendente svetterà Ulisse, ma mancherà Sindbad?
Riceviamo dei bambini e sforniamo che cosa? Patrioti italiani o cittadini del mondo?
Chiara Saracco