Autonomia senza comunicazione
Più l’autonomia scolastica viene percepita come tale dalla società civile, più è necessario avere un sistema comunicativo adeguato. Ma la scuola non ritiene la comunicazione una sua missione. Se la scuola italiana non imparerà a comunicare perderà, una volta di più, il treno dell’innovazione.
Più l’autonomia scolastica viene percepita come tale dalla società civile, più è necessario avere un sistema comunicativo adeguato. Invece il Ministero, gli Uffici scolatici e le Scuole continuano a comunicare in forma dilettantistica, indignandosi quando i mezzi di comunicazione di massa si mostrano più attenti al tubo rotto che allaga una classe piuttosto che allo splendido progetto sulla realizzazione di manufatti adolescenziali che hanno commosso genitori e assessori presenti all’inaugurazione di una mostra. La comunicazione con l’esterno sembra stare in una sorta di luogo inesplorato dalle scuole, molto seccate che quanto di buono viene realizzato (ed è molto) compaia in trafiletti e quanto di cattivo (che però non è poco) conquisti le pagine dei giornali nazionali. Mentre si sta facendo strada lentamente il concetto di accountability, che dovrebbe costituire l’elemento cardine dell’autonomia scolastica, non sembra esserci nella scuola un vero interesse ad apprendere le tecniche della comunicazione mediatica o on line. Lo stupore sincero della scuola per l’oggettiva ignoranza dell’opinione pubblica sulle sue criticità non viene mai messo in relazione con le debolissime competenze comunicative presenti nel sistema dell’istruzione italiana.
Le mele di Ello. Hanno provato a minimizzare il Sindaco, le Maestre e il Dirigente scolastico ma titolo, sottotitolo e occhiello del Corriere della sera del 5 maggio 2009 saranno difficili da dimenticare. Titolo: “A chi tocca sbucciare la mela? Scuola, lo sciopero della frutta”. Sottotitolo: “Genitori contro maestre. E i bambini riducono il pasto”. Occhiello: “In una materna di Ello. Il sindaco: basterebbe un po’ di buon senso”. Io consiglierei di leggere l’articolo e di seguire la vicenda tenendo conto di un dato giornalistico molto semplice: quest’anno il Ministro Gelmini ha annunciato pesanti tagli nel settore docente e ata. Ci sono state proteste per i tagli ai docenti, ma solo i sindacati hanno protestano e non con forza per i tagli ata. Credo che l’analisi congiunta della reazione ai tagli ata dell’opinione pubblica (non c’è stata) e la notizia del Corriere della sera possa portare a chiedersi se la società civile sia ancora disposta a tollerare a lungo i mansionari degli ata, la contrattazione sugli ata, le disponibilità degli ata come condizione necessaria per ogni attività aggiuntiva, gli orari degli ata, le discussioni su quanto dura la preaccoglienza o la postaccoglienza ecc.
I due dell’Omero di Bruzzano. Stesso Corriere della sera, poco sotto la buccia della mela: “La Gelmini indaga sulle botte tra prof davanti agli studenti. Rissa tra il docente di filosofia e quello di scienze”. Quindi i due dell’Omero di Bruzzano non sono due facinorosi presi in discoteca a darsele, ma due docenti che hanno perso la testa. Continuando a seguire la strada secondo cui i docenti non devono essere valutati e caldeggiando valutazioni punitive solo per gli alunni ci si trova di fronte a fatti di docenti che perdono la testa e fanno perdere alla scuola italiana la faccia.
I voti della Longhena. La reintroduzione dei voti numerici nelle scuole è stato un provvedimento demagogico e destinato a produrre un aumento della dispersione. Ma gli 8 o 10 a tutti gli alunni in tutte le materie dati dalle maestre della scuola Longhena di Bologna; le reazioni della dirigente scolastica e degli uffici ministeriali con ispezioni e procedimenti disciplinari; i proclami dei genitori e dei sindacati sono state reazioni al provvedimento governativo che hanno peccato proprio sul piano della comunicazione. La scuola ha bisogno di messaggi rassicuranti e precisi, non di una sorta di guerra ideologica combattuta con proclami che fanno la gioia del giornalismo locale, ma non aiutano a capire il problema.
Io credo che tutto questo avvenga perché la scuola non ritiene la comunicazione una sua missione e si adagia nel ritenere che delibere, verbali, foto, slide e siti in cui ci si automagnifica siano strumenti di comunicazione. Ma la realtà è diversa e se la scuola italiana non imparerà a comunicare credo perderà, una volta di più, il treno dell’innovazione e indebolirà la sua autonomia.
Stefano Stefanel