L’autonomia incompiuta
Perché continuare a parlare di individualizzazione quando invece si deve parlare di personalizzazione? Perché sperare che le scuole facciano ricerca quando tendono a conservare?
L’intervento di Luigi Berlinguer “L’autonomia incompiuta” (Autonomia & Dirigenza, n° 4-5-6 del 2012) è un documento di grande interesse e che personalmente ritengo condivisibile ed estremamente corretto. Non ho molto da aggiungere a quanto scritto in maniera mirabile da Berlinguer, ma ritengo opportuno segnalare un paio di obiezioni, che riguardano non tanto la sostanza dell’articolo, quanto elementi diversi di valutazione di passaggi ormai divenuti storici.
Nel “narrare” quanto è avvenuto, perché è avvenuto e perché siamo oggi a questo drammatico punto, Berlinguer scrive: “Rispettando le diversità dei discenti: vocazioni, attitudini, stili cognitivi, interessi culturali, propensioni professionali. E quindi individualizzando insegnamento e apprendimento”. In questo passaggio si annida un problema non da poco, perché quanto indica Berlinguer lo si fa personalizzando non individualizzando. In questo Bertagna aveva ragione. Anch’io penso che la Moratti abbia fatto un grave errore eliminando il riordino di cicli e la diminuzione a 7 anni del primo ciclo dell’istruzione, ma ritengo che alcuni passaggi delle Indicazioni nazionali del 2004, combattute e ostacolate dalla scuola in forma unitaria, fossero invece elementi importanti: l’inserimento della valutazione degli apprendimenti dentro un Portfolio, l’introduzione di parti opzionali sia nella scuola primaria che nella secondaria di primo grado, l’idea della tutorialità a favore degli alunni, la generalizzazione dell’inglese nella primaria e l’introduzione della seconda lingua nella secondaria di primo grado. Tutto questo richiedeva (e richiederebbe) di entrare realmente nel campo della personalizzazione. Ma un eccesso di ideologismo da entrambe le parti non permette ancora oggi di chiamare le cose col loro nome e di continuare a scambiare gli obiettivi specifici di apprendimento per obiettivi minimi.
La seconda obiezione che faccio a Berlinguer riguarda quest’altra frase: “Nel decreto 275 c’è un punto che non fu compreso e che è stato assai trascurato: la ricerca didattica”. Io credo che l’unico errore di Berlinguer Ministro sia stato quello di ritenere che, una volta aboliti i programmi, le scuole avrebbero avviato ricerca per redigere curricoli. Le scuole autonome invece hanno avviato conservazione. Gli elementi conservativi uniscono il corpo docente, quelli innovativi connessi alla ricerca didattica dividono. Ancora oggi, davanti alla terza edizione delle Indicazioni nazionali, l’attrazione dei programmi è fortissima. Nel secondo ciclo dell’istruzione attraverso la foglia di fico dell’Esame di Stato tutto viene paralizzato e rimandato ai vecchi programmi ministeriali, quasi che la ricerca di una logica realmente curricolare sia un vezzo didattico del ministero. L’errore che imputo a Berlinguer è quello di aver lasciato scoperto nel 1999 il campo della definizione ministeriale dei compiti previsti dall’art.8 del DPR 275 in modo che, quando quel campo è stato coperto da Bertagna-Moratti, invece di discutere è scoppiato il finimondo. Finimondo simile a quello scoppiato contro il “concorsone” di Berlinguer, cioè contro l’idea di differenziare i docenti in base a competenze e merito. Io credo che se quello spazio teorico fosse stato coperto da Berlinguer ci sarebbero stati dibattito e innovazione didattica insieme all’autonomia scolastica. Lasciarlo ai posteri in attesa che le scuole ricercassero e progettassero è stato un errore ben evidenziato nel Rapporto sulla scuola dell’autonomia (Luiss 2004, pag. 49) secondo cui l’attività di ricerca didattica è diminuita in modo sostanziale con l’avvento dell’autonomia.
Stefano Stefanel