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Ancora irrisolto il problema del riorientamento

Pubblicato il: 03/11/2010 14:24:55 -


Il riordino dei cicli ha affrontato alcuni problemi, ma ha lasciato irrisolto il riorientamento. Sono ancora troppi gli studenti che faticano a trovare la loro strada, o la trovano al costo di troppi stop e ripartenze inutili. Per risolvere questo problema occorre concepire in modo differente l’orientamento in entrata e creare un sistema più dinamico di passaggi, che tenga conto delle competenze acquisite dal ragazzo.
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Mi è capitato di incontrare l’altro giorno un ragazzo che ha fatto fatica, in un liceo, per quattro anni, fino a trovare finalmente la sua strada, in quarta, in una scuola per tecnico grafico. Mi chiedo: è davvero così difficile indirizzare un ragazzo verso la sua strada in tempi più brevi? Anzitutto, occorrerebbe rivedere, e perfezionare, l’orientamento della scuola secondaria di primo grado. Se le attività di indirizzamento, nella scuola secondaria di primo grado, fossero fatte bene, il problema del riorientamento nella scuola superiore non esisterebbe neanche. Va riservata una maggiore attenzione alla formazione degli insegnanti al riguardo, poiché occorre evitare ogni spontaneismo. L’attività di orientamento, a mio parere, infatti, non deve essere affidata a esperti esterni, o ridotto a pratiche come i test psico-attitudinali. Dovrebbero essere i docenti, gli stessi insegnanti della classe, ad accompagnare l’alunno nel corso di studi, sapendo cogliere gli indizi di una attitudine, e comunicandolo allo stesso alunno e alla famiglia. Se questa attività fosse svolta con coscienza, la maggior parte degli errori potrebbero essere evitati.

Capita, comunque, che, anche in presenza di un contesto favorevole, il ragazzo faccia una scelta sbagliata, per i motivi più disparati: la contrapposizione preconcetta ai consigli dei docenti, l’invadenza dei genitori, la mancata consapevolezza delle proprie attitudini, l’influsso dei coetanei, che spesso spinge a una scelta non cosciente, causata più dalla suggestione dei propri pari, che non da una predisposizione personale.

Per questo, l’attenzione dei docenti deve essere particolarmente vigile nei primi mesi della classe prima. Quanto più l’intervento, e la presa di coscienza, sono tempestivi, tanto più è possibile rimediare agli errori, reindirizzando l’alunno a un altro istituto, più in linea con le sue attitudini e i suoi interessi, in tempo utile affinché il suo inserimento risulti non traumatico, sia per lui, poiché dovrà riallinearsi a quanto appreso dai compagni nei primi mesi di scuola, sia per il contesto classe in cui si inserisce.

Sappiamo tutti, però, che, malgrado le sollecitazioni dei docenti, la questione si protrae. Spesso è il primo scrutinio, e l’esito comunicato anche alle famiglie, che fa esplodere il problema in tutta la sua evidenza. A questo punto, la soluzione non è mai facile. Incominciano colloqui più serrati dei genitori, non più solo con i docenti, ma anche con il dirigente scolastico, per ricercare una scuola più adatta per l’alunno.

Poniamo il caso che effettivamente esista una scuola più congeniale alle attitudini dell’alunno. Attenzione: non è detto che questa scuola debba essere più facile, cioè collocata più in basso nella scala gentiliana, dura a morire, che va dal liceo classico, poi scientifico, giù giù passando per altri licei, fino ad arrivare agli istituti tecnici e, infine, ai professionali, poco considerati, in Italia, e non considerati come una scuola qualificante, a stretto contatto con la viva realtà del territorio, come dovrebbe essere. Può anche darsi che semplicemente un alunno si accorga di aver fatto la scelta sbagliata, si accorga che le sue capacità convergono su un altro tipo di scuola, a prescindere dalla difficoltà e dall’impegno inferiore, sempre ammesso, e non concesso, che in un istituto tecnico o professionale l’impegno debba essere per forza minore.

Non è detto, infatti, che solo i gravemente insufficienti debbano essere riorientati. Anche i più bravi possono essere reindirizzati, nel momento in cui si percepisce che un altro corso di studi potrebbe maggiormente far emergere le eccellenze.

Qui si intersecano, però, non solo gli interessi dell’alunno, e dei suoi genitori, ma anche complesse questioni di gestione delle scuole, e delle classi. Dobbiamo infatti ricordare che il Dirigente Scolastico viene valutato anche in base al tasso di abbandono della sua scuola. Inoltre, il consiglio della classe in cui l’alunno dovrebbe essere trasferito si mostra spesso restio, poiché il delicato equilibrio e il clima di lavoro della classe potrebbero essere turbati da questa intrusione.

La legge, a partire dalla abolizione delle riforme Berlinguer e Moratti, sembra essere tornata a una maggiore rigidità al riguardo, chiudendo le strade a ogni possibile alternativa.

Di conseguenza, la soluzione del problema viene rimandata, fino al momento in cui non è più possibile trovare rimedio nel corso dell’anno scolastico, e l’alunno rimane nella classe in cui ha iniziato l’anno scolastico. In lui spesso si moltiplicano così disinteresse e mancanza di motivazione, fino a contagiare negativamente anche i suoi compagni.

Scrive al proposito Dario Nicoli: “La visione procrastinante che concepisce l’esperienza degli studi come un periodo nel quale si rinviano continuamente le scelte dei giovani è una delle ragioni che spiegano molti abbandoni precoci come esperienze a sé stanti non dotate di senso né di utilità per il giovane” (Dario Nicoli “Personalizzazione e nuovo orientamento” in Modelli di governance per lo sviluppo del sistema Istruzione-formazione-Lavoro – AgenFor – pag. 69).

Io non propongo il modello finlandese, in cui non esistono le ripetenze (ma non esiste neanche la classe così come tradizionalmente intesa), come la panacea di ogni tipo di problematica scolastica. Io non esalto il modello inglese, in cui l’apprendimento personalizzato è un’idea forte e affermata, come emerge da quanto afferma David Miliband (ex ministro degli esteri inglese e sottosegretario all’istruzione) nel saggio “L’apprendimento personalizzato: scegliere e avere voce in capitolo”, pubblicato nel volume OCSE-CERI Personalizzare l’insegnamento. “Bisogna imboccare la via dell’apprendimento personalizzato, che significa che l’organizzazione della scuola dovrà articolarsi attorno ai bisogni, agli interessi e alle attitudini di ogni allievo”. So solo che una riflessione su quest’argomento è doverosa, magari al fine di trovare una soluzione nuova, diversa, che tenga conto di tutti i fattori, e che impedisca l’anarchia e l’ulteriore abbassamento dei livelli di apprendimento, ma una soluzione che valorizzi la persona, il suo percorso di apprendimento e le competenze acquisite. Scrive infatti Giorgio Chiosso “Se lo scopo dell’educazione è ‘umanistico’, ossia volto prima di tutto ad aprire la via alla valorizzazione di ciò che non è ancora, allora il senso dell’educazione consiste nel far scoprire il senso di sé come persona umana e sperimentare le vie della libertà, dell’imprevedibilità, dell’iniziativa personale, della responsabilità” (Giorgio Chiosso “La personalizzazione dell’insegnamento – un filo rosso tra passato e presente”).

L’Associazione Docenti Italiani ha dedicato all’argomento il seminario di studi “Perché mi bocci? La sfida dell’apprendimento personalizzato” il 26 e il 27 febbraio 2010.

Io non so quindi suggerire facili soluzioni per una situazione del genere. So che il buon senso dei docenti e dei dirigenti scolastici può essere in grado di affrontare queste situazioni. So che ogni situazione è diversa dall’altra, ma so che un intervento legislativo al riguardo potrebbe dare un aiuto ai dirigenti e docenti che vogliono affrontare il problema in termini non semplicistici, con una attenzione alla persona, al suo percorso di formazione, con lo scopo di non perderla, non nel senso amministrativo o ragioneristico del termine (uno studente in più o uno studente in meno) ma nel senso di aiutare quella persona a realizzare il suo progetto di vita.

Il motivo di un riorientamento concepito come valorizzazione delle attitudini personali è lo stesso motivo quello per cui sono d’accordo con un percorso di apprendistato formativo, cioè quello di evitare la dispersione. Probabilmente occorre trovare una soluzione normativa che faciliti i passaggi da un corso di studi a un altro.

È inutile obiettare che la soluzione berlingueriana delle passerelle è una soluzione che moltiplica i problemi. Forse è vero. Ma quale alternativa si propone? Nessuna.

Che fine ha fatto la stagione dei piani di studi personalizzati ispirati da Giuseppe Bertagna? In che modo, visto che la parola portfolio sembra essere diventata un tabù, si intende comunque riconoscere e certificare i crediti maturati per facilitare i passaggi e ostacolare la dispersione?

Concludo citando ancora Nicoli, che “occorre una nuova prospettiva per l’orientamento che miri all’evidenza ed al successo del progetto personale, che concepisca il percorso di formazione in modo olistico e non disciplinare, che metta in luce il rilievo della dotazione di competenze personali come esito della valorizzazione delle capacità di cui il soggetto è portatore, che valorizzi l’alternanza come una strategia in grado di apportare esperienze di apprendimento differenti, che miri alla prospettiva di una formazione continua e permanente lungo tutto il corso della vita” (Dario Nicoli ibidem oppure “Personalizzazione e nuovo orientamento” in Modelli di governance per lo sviluppo del sistema Istruzione-formazione-Lavoro – AgenFor – pag. 69).

Luigi Gaudio

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