Pulcini in fuga
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Una cicala che aveva cantato allegramente tutta l’estate, giunto l’inverno stava per morire di fame. Allora andò da un gruppo di formiche che abitavano nelle vicinanze e le pregò di prestarle un po’ delle loro provviste.
“Che cosa hai fatto durante l’estate?”, le chiesero quelle. “Ho cantato notte e giorno”, rispose la cicala. “Ah, sì, hai cantato? – dissero le formiche – Allora adesso puoi ballare!”. Sotto c’era scritto: “Qual è la morale?”. Quando mi è stata sottoposta quella storia ero stato sul punto di rispondere che la morale era: le formiche non sono caritatevoli. (Peter Hoeg)
Le cattive notizie, com’è noto, corrono a velocità forse maggiore della luce. Il paese è agitato. Un bambino di prima elementare è scappato dalla scuola. Ha chiesto di andare in bagno. È uscito dall’edificio scolastico. Ha attraversato indisturbato l’ampio cortile che separa la scuola dal cancello principale. È riuscito ad aprirsi il cancello. Si è diretto verso casa. Pochi minuti dopo, vicino alla chiesa, alcune signore lo hanno visto camminare da solo. Si sono preoccupate. Hanno accudito il bambino, avvisato i genitori, telefonato alla scuola. Allarme rientrato. Nulla di grave, per fortuna, è successo. Già qualche giorno prima c’erano state segnalazioni da parte di genitori, che avevano scorto alcuni bambini mentre, nei minuti di ricreazione, si arrampicavano sugli alberi presenti nel prato della scuola.
Più volte i responsabili amministrativi e la dirigenza scolastica erano stati avvertiti del potenziale pericolo rappresentato da un cancello non visibile dall’edificio scolastico e spesso a rischio di rimanere in posizione di falsa chiusura. Si apre un’accanita discussione via posta elettronica. Qualcuno propone di tenere sempre chiusi gli accessi alla scuola. Poi riflette sul fatto che non si può fare, che ci sarebbero problemi in caso di evacuazione. Qualcun altro propone di installare videocamere o, almeno, un videocitofono, e di dotare il cancello di motorizzazione. Altri raccomandano di fotografare col telefonino il cancello che fosse rimasto aperto e di inviare la documentazione alla dirigenza scolastica. Altri ancora si offrono per la costituzione di un gruppo di genitori che si occupi della manutenzione, con la supervisione dei tecnici comunali. C’è chi segnala il dato positivo di persone estranee alla scuola che si sono preoccupate del benessere di un bambino che camminava da solo vicino alla chiesa.
Tutti chiedono di veder garantita la sicurezza dei figli e di aver la serenità di sapere che tutti i bambini sono in un luogo sicuro e protetto. Gli accertamenti in corso paiono orientarsi sull’errore umano, sulla mancata sorveglianza. Sarebbero stati i collaboratori scolastici (i bidelli, come qualcuno ricorda), a negligere. Però, come precisa con accuratezza la dirigenza scolastica, in fase di istruttoria di un eventuale provvedimento disciplinare, si è vincolati all’assoluto silenzio. Manca una domanda. Perché? Perché un bambino di sei anni scappa da scuola? “Non è compito nostro dare una risposta” – dicono i genitori degli altri bambini – “noi dobbiamo preoccuparci del fatto che i nostri figli siano sicuri a scuola”. “Non è compito nostro” – dicono i dirigenti scolastici – “noi abbiamo il compito di assicurare la sorveglianza”. “Non è compito nostro” – dicono gli amministratori pubblici e i politici della maggioranza e dell’opposizione – “noi dobbiamo fornire alla scuola le risorse e le condizioni per il corretto funzionamento della macchina organizzativa e dei programmi didattici”. Sono prossime le elezioni amministrative, al paese. Forse sarebbe meglio, penso, candidare a sindaco un buon ferramenta. Magari non sarebbe né di destra né di sinistra, ma garantirebbe la chiusura del cancello.
Ma davvero siamo stati tutti così travolti e conquistati dal pensiero unico che , ormai, abbiamo introiettato come sola chiave per interpretare e adattare il mondo la razionalità economica? Ma davvero non c’è più nulla che segni il punto di distinzione tra, da un lato, l’acquiescenza indiscriminata allo stato di cose esistente e, dall’altro, lo scatto di fantasia e di volontà che ci possa far immaginare diverse soluzioni? Proviamo a vedere, ad esempio, la definizione di salute data dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 1978: “La salute è uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o infermità, è un diritto umano fondamentale”. Stato di benessere fisico, in questo caso, dovrebbe voler dire che la garanzia della sicurezza all’interno dell’edifico scolastico è, semplicemente, il prerequisito minimo per l’accesso al diritto allo studio. Facciamo la conta di quanti edifici scolastici in Italia non sono a norma di sicurezza?. Stato di benessere mentale e sociale dovrebbe voler dire che i bambini e le bambine – ma anche i maestri e le maestre, i bidelli e le bidelle – si trovano in un ambiente umano tale da garantirne il massimo dispiegamento delle potenzialità di apprendimento e di costruzione del legame sociale, cioè il massimo sviluppo dell’intelligenza.
Delle intelligenze, per meglio dire. Perché, ad esempio, un bambino che scappa da scuola dimostra, come minimo, di aver spirito di iniziativa, coraggio e anche senso dello spazio, visto il correttissimo percorso da scuola a casa che stava compiendo durante la fuga. Competenze mica da poco, considerata l’età del fuggitivo. Gli amministratori della cosa pubblica, quando si trovano di fronte a decisioni in materia di edilizia, si preoccupano, giustamente, di veder garantiti gli oneri di urbanizzazione. Quelli primari, come strade di accesso ai nuovi lotti edificati, spazi necessari per la sosta e il parcheggio delle automobili, fognature, reti idriche e per l’erogazione e la distribuzione dell’energia elettrica e del gas, reti telefoniche, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato. Quelli secondari, come asili nido, scuole materne, scuole dell’obbligo, mercati di quartiere, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie, aree verdi di quartiere. Si preoccupano, gli amministratori della cosa pubblica, dei contenitori. Potremmo dire, con Cornelius Castoriadis, che si preoccupano che il seno della pubblica utilità sia sempre fornito di latte sano e nutriente. Ma per il neonato che si nutre dalla madre, ci dice il filosofo greco-francese, il seno non è solo una necessaria fonte di alimentazione, ma anche la prima apertura al mondo, la prima creazione di senso.
Nel nostro caso ciò significherebbe – ohibò, ecco un punto di distinzione – che oltre agli oneri di urbanizzazione dovremmo preoccuparci anche di quelli di socializzazione, di costruzione del legame sociale. Il pane e le rose, direbbe qualcun’altra. La produzione e la riproduzione. Le strade e la solidarietà. L’acqua e l’inclusione. I telefoni e i ponti comunicativi fra generazioni. O, come direbbe Aldo Capitini, la ragionevolezza contrapposta alla forza, la persuasione all’autorità, l’apertura all’esclusivismo e all’intolleranza, l’orizzonte mondiale al nazionalismo. Perché il maestro e la maestra che ci convincono, sempre con Capitini, sono quelli che assumono nel loro operare una dimensione profetica: “…il ‘profeta’, il quale è nella comunità e partecipa alle interazioni, ma porta una dimensione singolare: annunciando una verità si pone in aperta polemica con la realtà circostante, e sollecita questa diffidenza verso il presente e apertura al futuro, in nome di valori che non vede dispiegarsi nella loro autenticità se non in antitesi recisa con ciò che è attuale. Questo annuncio perentorio e questa affermazione e garanzia del valore nella sua purezza distingue il profeta dall’insegnante che comunica il sapere raggiunto, invitandone alla concreta esperienza rinnovatrice e ampliatrice” (Aldo Capitini, “L’atto di educare”, La Nuova Italia, Firenze, 1951). O, tornando alla scuola, il POF e l’appassionata considerazione dei PIF (Pulcini In Fuga).
Carlo Ridolfi