In principio era… l’alunno?
Perché i nostri ragazzi (non solo ma anche) disabili “apprendono” poco?
Perché i nostri ragazzi disabili “apprendono” poco? Io credo che la risposta risieda nel fatto che, nonostante la vigenza del d.PR. 275/99 che ha introdotto per la prima volta in Italia l’autonomia scolastica, la nostra scuola sia ancora la scuola dei programmi costruiti a misura del docente – che magari da anni si rifà sempre all’unico e al solito libro di testo e non del singolo alunno e della classe che quell’insegnante si trova ad avere di fronte.
E così non c’è quell’“attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell’integrazione degli alunni…” come invece l’attuale normativa richiederebbe. Ma come concretizzare quelle regole quando nella classe è inserito uno studente con disabilità? Anzitutto guardando a tutte le sue capacità e potenzialità, ovvero a ciò che, fermi restando i suoi inevitabili limiti, sa fare e può imparare, conoscere, elaborare, interiorizzare… Solo partendo da qui sarà possibile accrescere l’autostima, l’autonomia personale, lo spirito critico, le possibilità interrelazionali e di interazione con gli altri… Insomma, lavorare per formare e costruire un futuro uomo e cittadino che non solo chiede, ma anche dà alla società in cui vive.
Secondariamente, tarando le attività curricolari in modo da tener conto che nella classe c’è un alunno con qualche “bisogno educativo speciale” in più degli altri per il quale si impone non di rado una specifica programmazione e progettazione. E così se quel ragazzo non riuscirà a fare 10 esercizi di matematica ma solo 5, perché il tempo a disposizione non è abbastanza, pazienza! L’importante è che abbia chiare le regole di base… E, del pari, se non potrà “leggere” una mappa concettuale, uno schema che si affida più alla grafica che alle parole, poco importa: basta rendergli in modo accessibile ciò che si vuol comunicare!
In terzo luogo, favorendo quanto più possibile la sua socializzazione. Se c’è una cosa che non riesco proprio a digerire è la tanto consueta quanto deplorevole abitudine dei docenti di sostegno di portar fuori dalla classe l’allievo disabile, quasi che fosse uno studente di loro proprietà e quasi che il trovarsi a dividere con altri la sua vita scolastica fosse una circostanza fortuita ed occasionale e non il vivere quotidiano! Niente di più sbagliato! Comè possibile diventare un essere sociale se non si sta insieme agli altri? Ed allora cerchiamo di limitare i momenti di distacco dal gruppo al minimo necessario!
E, da ultimo, facendo sì che la particolare situazione di quello studente si trasformi da potenziale fattore problematico a ragione di crescita per tutti. Ricordo che in una scuola elementare era stata programmata un’attività di gruppo che prevedeva la costruzione di una piantina del quartiere in rilievo: tutti gli alunni hanno lavorato davvero bene e ne è uscito uno splendido prodotto! Così come so di una classe in cui il ragazzino non vedente ha insegnato il Braille a docenti e compagni: in luogo del sorpassato esame di quinta elementare, si era tenuta una prova di lettura e scrittura Braille, con la commissione formata da quello studente e da altre persone non vedenti. Anche qui, l’esito è stato ottimo!
Forse, l’educazione alla cittadinanza è anche questo! Diamo ai nostri studenti la possibilità di parlare col linguaggio dell’integrazione, della solidarietà e del rispetto per tutti!
Lorenza Vettor