Mamma 2.0
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Quando mi è stato chiesto di scrivere cosa voleva dire per me essere una mamma 2.0, come prima cosa mi sono chiesta cosa voleva dire "mamma 2.0". Si tratta forse di una mamma che vive in simbiosi con il suo computer?
Una mamma che non rinuncia ad avere una connessione a Internet ovunque si trovi? Che condivide le sue foto su Facebook o su Flickr, ma non quelle dei bimbi? Che non usa il telefono solo per telefonare? Una mamma speciale, che a volte parla in modo strano (rete, scaricare, aggiornamento, default, email, mailing list, newsletter) ma riesce a farsi capire, quasi sempre. Ma una mamma tecnologica è davvero così speciale, e quali vantaggi porta agli inconsapevoli figli? Intanto vediamo se ho le caratteristiche per essere definita una “mamma 2.0”. Lavoro nel magico mondo di Internet;sono stata un tecnico, ho smontato computer, tirato cavi di rete e configurato server; adesso mi occupo più di parole che di bit, ma resto un’innamorata, un’appassionata di tutto quello che è digitale. Ho la sindrome da ultima versione di software e provo un profondo piacere nel mettere le mani su nuovi marchingegni. Nel mio lavorare troppe ore al giorno, ho trovato il tempo per iscrivere a questo bellissimo gioco che è la vita due simpatici partecipanti: una bimba, Marta, che adesso ha 7 anni, e un bimbo, Marco, di 3 anni. Ma cosa porta in dote una mamma 2.0? Quello che sicuramente già hanno è la familiarità, si potrebbe dire innata, con qualsiasi apparecchio elettronico e digitale: computer, videogiochi, macchine fotografiche, telefoni, ma anche elettrodomestici. Questo è il loro futuro e renderlo anche il loro presente gli permetterà, forse,di essere al passo con quello che succederà intorno a loro fra 10 o 20anni. La scuola cerca faticosamente di stare al passo con i tempi. A volte ci riesce, a volte no. Mi ritengo fortunata: mia figlia, che frequenta il primo anno della primaria, partecipa a un laboratorio di informatica e ha la disponibilità in classe di un PC, un residuato bellico, ma pur sempre un Personal Computer, che a turno riescono a usare anche i bimbi.
Tutto il resto lo conosce e lo usa grazie alla famiglia. All’asilo nido del piccolo hanno messo fra i giocattoli anche una tastiera e un mouse per riprodurre ambienti familiari, ma per lui, così, non collegati a niente, non vanno bene. Ricordo il mio stupore quando Marta, che aveva 2 anni, si impossessò del mouse e cominciò a muoverlo, guardando il monitor e la freccetta. Per lei era naturale la connessione fra lo strumento e l’azione. Anche il fratello quando si impossessa del Nintendo DS, pur non sapendo ancora impugnare una matita per disegnare, prende la pennetta e riesce perfettamente ad accudire ad un cagnolino virtuale. Ma non è solo la facilità del “touch screen”, quando finalmente riesco a mettere le mani sulla mia Sony PSP, (l’avevo comprata alla prima gravidanza per passare il tempo interminabile delle visite mediche), il piccolo mi spiega come devo giocare e cosa devo fare. Azioni naturali, semplici connessioni logiche, anche a 3 anni, che loro hanno la fortuna di considerare naturali. Un’altra azione naturale è scattare foto con una macchina digitale. Sia lui sia la sorella la usano con disinvoltura, ma non si fanno problemi a scattare foto con il telefonino del nonno e renderlo felice.
Ma essere mamma 2.0 vuol dire anche cercare di ridurre al minimo le tante incombenze che essere mamma significa. Si paga tutto via Internet quando possibile, si controllano le graduatorie della scuola materna dal sito del comune, si prenotano le visite mediche dei bambini, si fanno indagini di mercato per qualsiasi acquisto, dal passeggino, ai biberon fino alle scarpe usando le comunità virtuali, oppure si compra direttamente su web approfittando di sconti e offerte. E quando c’è bisogno la mamma 2.0 si mobilita in rete e cerca di condividere i propri problemi con le altre mamme 2.0, come il taglio degli orari per gli asili nido. Considerando tutta la nostra quotidianità, forse non è esagerato dire che una mamma 2.0 può dare una marcia in più ai propri figli, facendoli vivere come nativi digitali in modo naturale per dargli un futuro migliore, probabilmente non in Italia, ma proprio per questo alla pari con il resto dei nativi digitali europei.
Gabriella Paolini